L’Anno Liturgico si conclude con la solennità di Gesù Re e Signore dell’universo. Il cammino che abbiamo intrapreso dalla prima domenica di Avvento del 2022 ci ha condotto a incontrare il Signore Gesù, l’Emmanuele, il Dio con noi (Natale), il quale ha condiviso in tutto, eccetto il peccato, la nostra condizione umana (le domeniche del tempo ordinario abbiamo meditato su questi fatti). Processato innanzi a Ponzio Pilato, è morto in croce per la nostra salvezza, ed è risorto vincendo sulla morte e il peccato (Pasqua), è salito al cielo (Ascensione), ha donato lo Spirito Santo (Pentecoste) e ora regna glorioso alla destra del Padre.
Un Anno che riproduce in miniatura la logica della nostra vita, che aiuta a comprendere che la nostra esistenza è tutta protesa verso l’incontro con il Risorto e passa attraverso momenti carichi di commozioni e letizie (vedi il tempo del Natale); attraverso momenti di fatica, turbamento, sofferenza, lotta… (vedi tempo di Quaresima); attraverso momenti di vittorie (vedi tempo di Pasqua) e per la gran parte attraverso tempi ordinari, ripetitivi, apparentemente noiosi ma, se colti nel loro nucleo, essi sono carichi di messaggio.
Ecco l’Anno Liturgico! Nella prima domenica di Avvento di un anno fa – inizio del nostro cammino – la Parola di Dio c’invitava a vivere in un atteggiamento vigilante. Il testo che ci era stato proposto era tratto dal capitolo 24 di Matteo, versetti 37-44: «Come furono i giorni di Noè, così sarà la venuta del Figlio dell’uomo. Come nei giorni che precedettero il diluvio mangiavano e bevevano… fino al giorno in cui Noè entrò nell’arca, e non si accorsero di nulla… e travolsero tutti: così sarà alla venuta del Figlio dell’Uomo. Allora due uomini saranno nel campo: uno sarà portato via e l’altro lasciato…». Un testo, dunque, che non rimproverava il fatto che si lavorava, ma il fatto che qualcuno lavorava, mentre qualcun altro si lasciava appiattire dalle cose della vita, conducendo una vita superficiale lascia imprigionare dalle cose del momento.
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Potremmo dire che c’era chi era guidato dalla sete del guadagno o del piacere, e chi dalla stella del buon senso e dell’orizzonte ultimo. Insomma, nulla viene per caso, e tutto può aiutare a crescere e migliorare. La domanda di un anno fa era: so lasciarmi interpellare dagli eventi della vita? Riconosco che tutto è dono e in ogni attimo Dio mi parla? Bussa alla porta del mio cuore, della mia intelligenza, della mia attenzione… e chiede di essere riconosciuto? Sì, perché Dio mi raggiunge dentro ogni incontro ed evento della vita.
Così, se un anno fa sembrava un testo fuori contesto, in realtà al termine dell’Anno Liturgico comprendiamo che quell’invito era finalizzato a prepararci all’incontro con il Signore glorioso, Re dell’Universo. Così nella Liturgia, così nella vita: stiamo andando incontro al Signore che viene: è venuto gracile e indifeso nel Bimbo di Betlemme; viene oggi in contro a noi in ogni fratello e sorella che incrociamo lungo il cammino della vita (tema del vangelo odierno); verrà in contro a noi un giorno nella gloria, come anche recitiamo dopo la consacrazione: «Annunciamo la tua morte, Signore, proclamiamo la tua risurrezione, nell’attesa della tua venuta». Non sono parole buttate là: sono il cuore della nostra fede. La ragione ultima della nostra fede.
Entriamo così nel testo di Matteo, che bene sintetizza e chiarisce chi è il cristiano e quale responsabilità lo attende al termine del cammino:
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vv. 31-32 «Quando il Figlio dell’uomo verrà nella sua gloria, e tutti gli angeli con lui, si siederà sul trono della sua gloria. Davanti a lui verranno riuniti tutti i popoli. Egli separerà gli uni dagli altri, come il pastore separa le pecore dalle capre…».
Egli «giudicherà» perché è Re. Ad animarlo nel suo agire sarà lo stile del pastore, descritto nel libro di Ezechiele (prima lettura): «Io stesso cercherò le mie pecore e le passerò in rassegna… le radunerò da tutti i luoghi… le condurrò al pascolo… Andrò in cerca della pecora smarrita… Giudicherò tra pecora e pecora, fra montone e capri». Come fa il pastore, così farà il Figlio dell’Uomo/Gesù al termine della vita, il quale non è un re cattivo, ma è proprio il buon pastore. vv. 34-36: «Allora il re dirà a quelli che saranno alla sua destra: “Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla creazione del mondo, perché ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere, ero straniero…nudo…malato…in carcere».A quanti erano alla sua sinistra, invece, disse:
«Via, lontano da me, maledetti nel fuoco eterno, preparato per il diavolo e per i suoi angeli, perché ho avuto fame e non mi avete dato da mangiare…» (vv. 41-43).
Se facciamo un attimo di attenzione, il giudizio ultimo non verterà tanto su questioni morali, liturgiche, teologiche… No, la salvezza dipende dall’aver o meno servito i fratelli e le sorelle, dipende dalle relazioni che sono stato capace di costruire o ignorare, come emerge dalle risposte che Gesù darà ad entrambi i gruppi: «Quando mai ti abbiamo visto affamato e ti abbiamo dato da mangiare, o assettato e ti abbiamo dato da bere?…» (vi. 38-39.44): «Tutto quello che non avete fatto a uno di questi più piccoli, non l’avete fatto a me» (v. 45).
Potremmo dire che il «povero» è l’ottavo sacramento! È l’ottava esperienza certa nella quale incontriamo e serviamo il Signore, anche se non lo riconosciamo direttamente: «L’amore è da Dio: chiunque ama è generato da Dio e conosce Dio. Chi non ama non ha conosciuto Dio, perché Dio è amore» (cfr 1Gv 4,7-9). Alla fine saremo dunque giudicati sull’amore che abbiamo coltivato verso quanti il Signore stesso ci avrà fatto incontrare: ecco che torna il tema della prima domenica di Avvento: le mie relazioni e occasioni le ho vissute lasciandomi interpellare da esse o ho vissuto in modo superficiale le cose, accontentandomi del minimo: «Signore, quando ti abbiamo visto?» (Mt 25,37.38.39). Ecco la domanda ultima che rivolgeremo con animo colmo di stupore: «Quando?». Alla fine scopriremo che la vera fede è lo stupore che sgorga dallo spalancare gli occhi di fronte al Signore che si presenta a noi in mille sorprese e occasioni.
Scopriremo allora che avremo fatto molti gesti d’amore senza neppure rendercene conto, e avremo altresì commesso omissioni senza rendercene conto! Una cosa è certa: non sono i gesti liturgici, teologici o morali a essere soppesati, dicevamo poco sopra, ma i gesti concreti e quotidiani: dar da mangiare, da bere, vestire, visitare… Dentro ogni gesto così umano siamo chiamati a riconoscere la presenza di Dio. Non che non serva pregare, partecipare ai sacramenti, crescere in una vita buona… Tutto questo serve, ci aiuta, ci sostiene per imparare ad «amare come Cristo ha amato noi» (cfr Gv 15,9).
I sacramenti sono incontro con il Signore vivo e risorto, sono palestra e nutrimento di vita: ma poi tutto questo va vissuto nel quotidiano; diversamente è tempo perso! Lo spiega chiaramente Gesù: «Non chiunque mi dice: “Signore, Signore”, entrerà nel regno dei cieli, ma colui che fa la volontà del Padre mio che è nei cieli». Qualcuno mi dirà… «Signore, Signore…» ho recitato tanti rosari ogni giorno, ho partecipato alla Messa ogni giorno, ho fatto tante novene, pellegrinaggi… ma, aggiunge Gesù, «Io dichiarerò: “Non vi ho mai conosciuti!”» (cfr Mt 7,21-23). Non basta dunque pregare, partecipare alle celebrazioni se tutto questo non si fa vita quotidiana, non diventa offerta: «Questo è il “mio” corpo», cioè la mia vita donata agli altri, come Gesù. Perché il Signore Gesù alla fine della vita domanderà a ciascuno: «Sei stato un buon pastore, come io lo sono stato con te?». E ancora: «Ti sei preso cura di me che ero quel povero, quell’affamato, quel carcerato…?». Ecco perché l’indifferenza è il peccato più grande: questo vivere ripiegati solo su se stessi, quando invece dovremmo essere come il buon Samaritano (cfr Lc 10,25ss).
Farsi prossimi, vicini è la logica di vita che ci viene chiesta, è lo stile di vita nuova e buona che Gesù ha inaugurato e chiede a noi, oggi, di portare avanti. Fare spazio al prossimo significa allora fare spazio a Dio! Gesù ha fatto spazio a ciascuno di noi, si è messo a nostro servizio dandoci un esempio (cfr Gv 13): questo è essere re secondo il vangelo. Un «re» che non pretende che gli altri si inginocchino di fronte a lui, ma è lui stesso a inginocchiarsi di fronte e a noi; non attende che la pecorella smarrita torni a casa, va lui a cercarla. Ecco perché conviene lasciarsi governare da Lui, anche se poi Lui chiede di fare come Lui ha fatto! Certo che è difficile, perché nel nostro tempo essere “re” è ben altro, ma spetta a noi decidere da quale parte stare: se viviamo impauriti di cosa dirà il mondo, se non ci scrolliamo di dosso le attese di chi ci mostra “altro”…non saremo mai liberi e non riusciremo mai a testimoniare la verità del vangelo; ma se sceglieremo la verità del vangelo, che è Gesù stesso, allora sì che saremo veramente liberi: «La verità vi renderà liberi» (Gv 8,32).
Quando? Lo ricorda san Paolo: «Poi sarà la fine, quando egli consegnerà il regno a Dio Padre, dopo aver ridotto al nulla ogni Principato e Potenza e Forza. E’ necessario che egli regni finché non abbia posto tutti i nemici sotto i suoi piedi. L’ultimo nemico ad essere annientato sarà la morte» (seconda lettura). Come a dire… attenzione ai poteri che vogliamo servire, perché alla fine tutti verranno posti sotto i piedi di Colui che solo è il vero e Re e Salvatore: Gesù Cristo, nostro Signore.
Mt 25, 31-46 | don Andrea Vena 65 kb 4 downloads
XXXIV domenica anno A – Cristo Re dell’Universo (26 novembre 2023) Ez 34,11-12.15-17…Per gentile concessione di don Andrea Vena. Canale YouTube.