Continua il nostro cammino alla Scuola della Liturgia. Il mercoledì delle ceneri ci ha ricordato che siamo “polvere” (cfr Gn 2,7), cioè deboli e fragili ma destinatari dell’amore di Dio, e che la vita è il terreno dove si fronteggiano il bene e il male, Dio e satana.
Nella nostra libertà dobbiamo scegliere da quale parte stare (I dom di quaresima, le tentazioni). In questa seconda domenica, detta della Trasfigurazione di Gesù, ci viene indicata la “ragione ultima”, il «perché», la “Meta” per la quale merita lottare ed accettare la fatica sia della “lotta nelle tentazioni”, che della “passione-morte”, perché alla fine ci è assicurata la gloria. Questo orizzonte che mira ad alleggerire la paura ed infondere il coraggio nell’affrontare il cammino, anche impervio, della vita.
Il testo biblico – quello liturgico tralascia le prime parole – avvisa che questa esperienza avviene “sei giorni dopo”: questo particolare temporale ci collega perciò a quanto accaduto sei giorni prima, quando Gesù aveva svelato ai suoi discepoli che a Gerusalemme avrebbe dovuto «soffrire molto ed essere rifiutato dagli anziani, dai capi dei sacerdoti e dagli scribi, venire ucciso e, dopo tre giorni, risorgere» (Mc 8,31). Tale annuncio porterà Pietro a reagire prendendo Gesù in disparte per rimproverarlo, ma Gesù, voltandosi, gli dirà: “Lungi da me, Satana! Perché tu non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini” (Mc 8,33).
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In questo modo l’evangelista fa capire che la lotta contro Satana non è un’esperienza che si chiude dentro 40 giorni, come già ci aveva già fatto intuire domenica scorsa nel testo delle tentazioni, ma attraversa l’intera esistenza. La ribellione di Pietro, così come quella degli altri discepoli, sta nel fatto che Gesù aveva annunciato la sua “passione e morte” e loro non potevano accettare di seguire un Messia la cui vicenda umana si sarebbe conclusa in quel modo.
È alla luce di questa premessa che va quindi colta l’esperienza della trasfigurazione. Gesù aveva parlato della sua morte di croce (cfr Mc 8,31), e le condizioni per seguirlo: “Se qualcuno vuole venire dietro a me prenda la sua croce…” (Mc 8,34); ora Gesù cerca di aiutare i suoi discepoli a capire che è vero che Lui soffrirà e morirà, ma è anche vero che risorgerà. La trasfigurazione li fa “vivere” in anticipo la risurrezione, proprio per prepararli ad affrontare il cammino di mezzo, cioè la passione-morte.
Veniamo ai testi della liturgia.
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Nella prima lettura viene descritta la “seconda Alleanza” tra Dio e gli uomini (domenica scorsa abbiamo meditato sulla prima, quella con Noè), alleanza che Dio chiede di sigillare nel sacrificio di Isacco, il “figlio della promessa” (cfr Gn 15,5). Per capire il “sacrificio di Isacco” è importante tener conto che nel contesto cananeo di allora era normale offrire i figli primogeniti agli dei; quindi per Abramo era “normale” quanto richiesto e quanto stava facendo. Ed è proprio questa “normalità” che Dio utilizza per svelare ad Abramo qual è il suo vero volto.
Nella fedele obbedienza a Dio -“Prendi tuo figlio, il tuo unico figlio che ami, Isacco…e offrilo in sacrificio” (Gn 22,1) -Abramo scopre che questo Dio/Signore non “chiede”, ma “dona”; scopre che non “prende” suo figlio ma, come promesso, glielo dona “moltiplicato”: “Avrai una discendenza numerosa come le stelle cielo” (Gn 15,5). E sarà sempre su un Monte che anche Gesù si rivelerà per quello che veramente è, come ci ricorda il Vangelo odierno. v. 2b “Gesù prese con sé Pietro, Giacomo, Giovanni”: sono i tre discepoli più vicini a Gesù, già scelti come testimoni della resurrezione della figlia di Giairo (cf. Mc 5,37-43), quelli che saranno poi anche i testimoni della sua sfigurazione nell’orto del Getsemani, alla vigilia della passione (cf. Mc 14,32-42).
“Li condusse su un alto monte”: “La montagna – ricorda il profeta Isaia – è dimora del Signore elevata al di sopra dei monti” (Is 2,2; Mi 4,1). In questa salita sul monte riecheggiano altre “salite” e altre esperienze di manifestazione di Dio: il monte Oreb/Sinai (Es 3,1; 24,12-18), la salita e la discesa di Mosè (cfr Es 19-34), l’esperienza di Elia (cfr 1Re 19,1-18). Sul monte, Gesù svela ai suoi tre discepoli che la sua vita è molto più profonda di quanto “vedono” e di quanto “sanno”. Ma ciò che maggiormente interessa, è che Gesù svela che la passione e morte verso le quali va incontro, non sono la distruzione, la fine, ma la piena realizzazione della sua persona, perché passaggio alla gloria.
v. “Fu trasfigurato”: l’evangelista è molto asciutto nel segnalare questo dato. Sappiamo da Luca che Gesù salì per pregare: la trasfigurazione è dunque un avvenimento di preghiera, dove Gesù mostra il suo essere una cosa sola col Padre (cfr Gv 10,30). E in questo dialogo, dove “le sue vesti erano bianchissime” -, Gesù si rivela luce del mondo (Gv 12,46).
v. 4: “Apparve loro Elia con Mosè e discorrevano con Gesù”: Elia, padre dei profeti, Mosè, custode della Legge. In loro si raccoglie l’intera storia dell’Antico Testamento. Mosè aveva ricevuto in dono diverse manifestazioni di Dio e proprio in questa intimità di amicizia, il suo volto brillava (cfr Es 34,29-35). Ma sappiamo anche che Mosè era l’atteso: “Il Signore tuo Dio susciterà per te, in mezzo a te e tra i tuoi fratelli, un profeta pari a me: ascoltatelo!” (Dt 18,15). E Mosè è anche colui che pregò Dio dicendo: “Fammi vedere la tua gloria” (Es 33,18), sentendosi rispondere: “Non è possibile vedere… e restare in vita” (Es 33,20-23). Segnalo tutto questo perché sul monte con Gesù, Mosè può finalmente vedere la gloria di Dio, che è Gesù Cristo, il “Signore della gloria” (1Cor 2,8), colui sul quale “brilla lo splendore della gloria di Dio” (2Cor 4,6): Gesù, il nuovo Mosè.
Accanto a Mosè, Elia, il padre dei profeti che, anche lui salito sul monte, sente Dio “nella voce di una brezza/vento sottile” (1Re 19,12). Egli rappresenta la sintesi ideale di tutta la schiera dei profeti che Giovanni Battista chiuderà, essendo lui l’ultimo profeta, il “nuovo Elia” (cfr Mt 11,14).
In questo discorrere (l’evangelista Luca aggiunge “discorrevano della sua dipartita che avrebbe portato a compimento a Gerusalemme, Lc 9,31) Gesù si rivela come l’autentico interprete della Legge e della Profezia, colui che “Cominciando da Mosè e da tutti i profeti, spiega in tutte le Scritture ciò che si riferisce a Lui” (cfr Lc 24,27, Emmaus). E l’evangelista Luca fa coincidere con Mosè ed Elia i “due uomini” presso la tomba vuota del giorno di Pasqua: “Mentre le donne erano ancora incerte, ecco due uomini apparire vicino a loro in vesti sfolgoranti” (Lc 24,4): coloro che interpretano le parole dette da Gesù nella sua vita e proclameranno che Gesù, il Crocifisso, è risorto (cfr Lc 24,4-7).
v. 5 “Maestro, è bello per noi stare qui… Facciamo tre capanne”: Pietro esprime certamente la gioia per quanto vissuto, ma altresì svela quanto non abbia ancora compreso! Forse pensa alla gioia di poter incontrare Dio nella “tenda” (cfr Es 33,7-11)? O fa riferimento alla festa delle Capanne/Sukkot, dimenticando che sarà comunque Dio a “costruire” la tenda (cfr 2Sam 7; Is 66,1ss) così come si coglie dallo stesso prologo di Giovanni: “E il Verbo si fece carne e pose la tenda in mezzo a noi” (1,14). (Sukkot: festa celebrata in autunno, al termine della vendemmia (cfr Lv 23,33-36).All’inizio tale celebrazione veniva realizzata per i vignaioli (Es 23,16), ma acquistò presto un significato simbolico ricordando i 40 anni trascorsi sotto le tende dal popolo d’Israele dopo essere uscito dall’Egitto (Dt 16,13- 15).
Diventerà poi festa messianica, riferendosi al raduno di tutte le nazioni che si recano fino a Gerusalemme (Zc 14). Per noi cristiani coinciderà con la “tenda” della Croce, sotto la quale tutti veniamo attratti e salvati: “Elevato da terra, attirerò tutti a me” Gv 12,32) e attraverso la quale Gesù distruggerà “il tempio” fatto di pietra e lo farà risorgere in tre giorni (Gv 2,19). È il Corpo glorioso/trasfigurato di Gesù la nuova tenda. Si tenga presente che tra la festa della trasfigurazione (6 agosto) e la festa dell’esaltazione della santa croce (14 settembre) trascorrono 40 giorni (vedi domenica scorsa, sul numero 40).
v. 7: “Venne una nube dal cielo..”: continua a fare da sfondo l’esperienza dell’Esodo: la faticosa marcia del popolo nel deserto, guidato da una nube (Es 13,21ss); la nube sul monte Sinai (Es 19,16); la nube che accompagna “il tabernacolo” (Es 40,34-35) che custodiva “la legge” di Dio e, infine, la nube che scende su Gesù, il quale dirà “i veri adoratori adoreranno il Padre in Spirito e nella verità” (Gv 4,23), perché non serviranno più né monti né tabernacoli particolari.
v. 7b: “Una voce dal cielo: questi è il figlio mio, l’amato: ascoltatelo!”: nel momento del battesimo, la voce dal cielo fu udita solo da Gesù (Mc 1,11), ora invece questa stessa voce viene udita anche dai discepoli. Ascoltatelo: è l’eco dello Shema’ “Ascolta, Israele” (Dt 6,4) e delle parole di Mosè: “Il Signore tuo Dio, susciterà per te, in mezzo a te, tra i tuoi fratelli, un profeta pari a me. A lui darete ascolto (Dt 18,15). La voce sul monte indica in Gesù, lui solo, colui che ora va ascoltato: Lui è la Parola vivente, Parola di vita, di verità (cfr Gv 14,6). È Lui cioè il metro di misura con il quale ascoltare Mosè ed Elia: è cambiato il baricentro. E questo crea non poco imbarazzo nei discepoli, perché Gesù non corrisponde all’immagine che si erano fatti del Messia. Eppure, Lui va ascoltato, senza vergognarsi di Lui e della sua Parola (cfr Mc 8,38).
v. 8: “Guardandosi… non videro più alcuno se non Gesù solo”: i discepoli sono confusi, cercano i loro punti di riferimento, Elia e Mosè. Invece c’è solo Gesù, colui che è venuto a portare a compimento la legge e i profeti (cfr Mt 5,17).
v. 9: “Mentre scendevano dal monte, ordinò loro di non raccontare a nessuno”: il divieto è dovuto al fatto che ancora non hanno tutti gli elementi per capire quanto è avvenuto. Finché Gesù non risorgerà, i discepoli non capiranno quanto stanno vivendo con il loro Maestro. Non hanno ancora capito cosa sia realmente avvenuto a causa della loro poca fede (cfr Mc 9,19.29).
Nell’esperienza della trasfigurazione Gesù anticipa di fatto la Pasqua, si mostra come il Vivente e il Vincitore. Ecco perché, come ricorda san Paolo nella II lettura, “Se Dio è con noi, chi sarà contro di noi?… Egli, che non ha risparmiato il proprio Figlio, ma lo ha consegnato per tutti noi… Egli è alla destra del Padre, e intercede per noi”. Animati da questa certezza potremmo anche dire “Ho creduto anche quando dicevo: sono troppo infelice… A te offrirò un sacrificio di ringraziamento e invocherò il nome del Signore” (salmo).
La trasfigurazione di Gesù non riguarda solo Lui, ma suggerisce anche il mistero della “mia/nostra” trasformazione. Il mio/nostro corpo è chiamato alla trasfigurazione, a diventare “altro”, come ricorda san Paolo: “Egli trasfigurerà il nostro misero corpo per conformarlo al suo corpo glorioso…” (cfr Fil 3,21); così come varrà per la creazione che “geme e soffre nelle doglie del parto” (Rm 8,22), fino a trasformarsi in “cielo e terra nuova” (Ap 21,1). In attesa di questo momento glorioso, ricorda san Paolo, ciascuno di noi vive “come in uno specchio la gloria di Dio, e viene trasfigurato in quella medesima immagine attraverso l’azione dello Spirito santo” (cfr 2Cor 3,18).
Tre spunti.
Mi soffermo ad osservare i discepoli: hanno vissuto un’esperienza unica, sbalorditiva… eppure non è servita a loro per vivere con fiducia, forza e coraggio al momento della passione: Pietro resterà scandalizzato, lo rinnegherà… Elementi che ci suggeriscono che l’esperienza del Tabor/della trasfigurazione, non ci custodisce dalla paura, perché la fede non è solo questione di “testa”, ma soprattutto di cuore, di vita. Non bastano cioè le categorie umane per capire il Signore: solo dentro l’esperienza della vita, anche fallimentare, si potrà comprendere la forza del messaggio salvifico di Gesù. Così è accaduto anche ad Abramo: è necessario arrivare al “dunque”, perché il Signore non lo si può conoscere per sentito dire (cfr Gb 42,5). Sarà necessario accettare fino in fondo di vivere l’invito di Gesù, “Venite e vedrete” (Gv 1,39).
Gesù necessita di confrontarsi sulla “sua dipartita” (passione-morte-risurrezione). Sa di non poterlo fare con i suoi discepoli, i quali non capiscono. Così sceglie due “amici” di grande levatura, Mosè ed Elia. Due amici della Scrittura. Un modo con il quale Gesù suggerisce a me e a ciascuno di noi, che su certe cose dobbiamo saper scegliere con chi confidarci e confrontarci, perché non tutto è alla portata di tutti. Gli amici della Scrittura, così come anche i Santi, che la Chiesa ci indica come “amici e modelli di vita”, bene possono aiutarci con i loro scritti e i loro esempi a capire il senso della vita e a darne un giusto orientamento. Infine “l’amico Abramo”. Oggi sono io quell’Abramo al quale viene rivolto l’invito a salire sul Monte, che è Gesù stesso: Lui è il santo Monte. Sono io quell’Abramo al quale il Signore sta chiedendo di sacrificare il “mio figlio Isacco”, cioè il “mio futuro”, la mia carriera, le mie ambizioni e aspirazioni, i miei sogni e i miei umani progetti…Abramo giunge ai piedi del monte.
Qui dirà ai suoi servi: “Restate qui…saliremo solo io e mio figlio Isacco”. Sembra quasi far capire che la salita e l’offerta non possono avere altra “compagnia” se non quella di Dio. Il momento della prova e della scelta non possono che essere vissuti a tu per tu con Dio, senza altre mediazioni. Gli amici, le sicurezze… nessuno può sostituirsi alla mia/nostra responsabilità di accettare di arrivare fino in fondo con Dio. Scesi dal monte, Abramo e Isacco ritroveranno comunque i loro servi ed amici, ma quell’incontro sarà stato certamente diverso, i loro volti certamente avranno brillato di una luce nuova (cfr Es 34,29).
Dicevamo che “Isacco” rappresenta il futuro di Abramo che ora lui deve sacrificare. Isacco mette alla prova il padre Abramo: «dov’è l’agnello?»: è la domanda che sorge in ciascuno ogni qual volta accettiamo di seguire la logica di Dio e non quella degli uomini. È la domanda del “buon senso umano” che tenta di soffocare sul nascere ogni ispirazione divina:“ma è saggio quanto stai facendo?”, “è prudente?”, “avrai garanzie?”… A quella domanda, Abramo risponde: “Dio stesso provvederà”, come a dire: lasciamo fare al Signore. È l’atto di fiducia e di abbandono che viene richiesto a quanti desiderano crescere nel e con il Signore.
APPENDICE (il cammino quaresimale)
[…]
II domenica (Mc 9,2-10): La lotta della vita non è mai fine a se stessa, ma finalizzata a raggiungere una vita autentica/trasfigurata dalla Parola: “Ascoltatelo”. Gesù è il Figlio prediletto del Padre “offerto” in sacrificio per noi. Vorrei che si notasse ora la corrispondenza tra la voce dalla nube Mc 9,7 e le parole di Dio ad Abramo Gn 22,2: “il figlio unigenito che ami”. L’offerta di Isacco da parte di Abramo, perché si rinnovi l’alleanza con Dio (I lettura), è figura dell’eterna alleanza che Dio stabilirà nel suo Figlio unigenito “consegnato in sacrificio per tutti noi”, il quale “per noi farà ogni cosa” (II lettura), tanto da poter dire con il salmista: “Ho creduto anche quando dicevo…”. III domenica (Gv 2,13-25): per giungere a questa vita “trasfigurata/autentica” è necessario passare attraverso la “purificazione” del tempio della nostra vita, un eliminare gli idoli. Non si tratta di un’opera umana, ma è la morte risurrezione di Gesù a purificare “il tempio”, inaugurando il tempio nuovo nel suo stesso corpo risorto. In questo modo il culto non sarà più un attenersi alla legge, quanto a una vita di fede espressa da una condotta bella e coerente. La legge data a Mosè, viene dunque portata a compimento/pienezza da Gesù risorto, Legge/Parola vivente, che porta il salmista a cantare: “La legge del Signore è perfetta, rinfranca l’anima” e a “predicare Cristo, crocifisso e risorto” (II lettura).
IV domenica (Gv 3,14-21): qualcuno potrebbe sentirsi “escluso” ma sbaglia. Il Signore è venuto per dare la vita per tutti, per salvare tutti noi: basta fare una scelta di fede, evitando di lasciarsi contaminare dalle opere di quanti vivono nelle tenebre (I lettura), e abbracciando colui che è la nostra Luce, Gesù, grazie al quale siamo salvati (II lettura): questa è la nostra gioia! Per questo “Mi si attacchi la lingua al palato se lascio cadere il tuo ricordo, Signore” (salmo).
V domenica (Gv 12,20-33): Gesù si presenta come quel chicco di grano che chiede di essere gettato per morire e portare frutto. È la sua “ora” di obbedienza totale al Padre, che lo glorificherà. In questo modo si concluderà l’alleanza nuova e definitiva e Dio non ricorderà più il peccato dell’uomo (I lettura). Imparando l’obbedienza, Gesù divenne causa di salvezza per tutti, sigillando l’eterna alleanza (II lettura) non su tavole di pietra, ma direttamente nei cuori: “Crea in me o Dio, un cuore puro” (salmo).
Domenica di Passione, “Portale” della settimana santa. Compreso che siamo “deboli” (Le ceneri), sempre in lotta tra il bene e il male (I dom), ma senza rinunciare a puntare sempre verso l’alto (II dom), forti della gioia che il Signore ci ha salvati (IV dom), e consapevoli che tutto questo lo abbiamo ricevuto gratuitamente da Gesù (V dom), non resta che accettare di partecipare alla sua “passione” (Le palme).
Si tratta, cioè, di accettare di mettersi “dietro a Lui” nel momento più cruento, evitando di rinnegare, di tradire, di scappare. Ne vale la credibilità della nostra testimonianza.
Triduo Pasquale: Lo “stare dietro”, comporta entrare nella sua logica.
Giovedì santo: partecipare al banchetto dove Lui si fa dono: qui impariamo a renderci capaci di farci noi stessi dono gli uni per gli altri, sapendo comprendere e vivere, come suggeriva don Tonino Bello, la “grammatica dell’Eucaristia”, ossia la Messa come la intendiamo; ma anche la “logica dell’Eucaristia” che è farsi servizio, espressa nella lavanda dei piedi: “Vi ho dato l’esempio…perché lo facciate anche voi”.
Venerdì santo: “stare dietro”, che chiede di imparare a seguire Gesù e, sull’esempio della Vergine Maria, stare “ritti in piedi” anche sotto la croce.
Sabato santo: camminare chiede anche la capacità di fermarsi, di attendere, di ritrovarci. Il silenzio di questo giorno è forse il più difficile. Vivere nell’attesa.
La notte tra il sabato e la domenica: Pasqua! Solo chi vive nell’attesa, incontra il Risorto, come la Maddalena. E, incontrato, non si può che andare ad annunciare di averLo visto e toccato. È la gioia della testimonianza della vita.
Per gentile concessione di don Andrea Vena. Canale YouTube.