In queste domeniche abbiamo meditato la professione di fede dell’Apostolo Pietro (27 agosto, Mt 16,13-20); la presunzione dello stesso nel pretendere di far cambiare idea al Maestro (3 settembre, Mt 16,21-27); due domeniche sono state invece dedicate al tema del perdono: la prima (10 settembre, Mt 18,15-20) riservata alla pedagogia della misericordia la seconda alla misura del perdono (17 settembre, Mt 18,21-35). Oggi siamo invitati a compiere un ulteriore passo, quello di comprendere che «I pensieri di Dio non sono i nostri pensieri», come ricorda il profeta Isaia nella prima lettura. Il Signore, cioè, segue un’altra logica nel valutare le cose. E ci viene fatto ben comprendere nel testo evangelico di oggi la necessità di allargare gli spazi del cuore, a far nostra la logica con cui Dio stesso pensa ed agisce, una logica che sempre ci sorprende, che a volte ci urta, o ci scandalizza.
vv. 1-7: «Il regno dei cieli è simile a un padrone di casa che uscì all’alba per prendere a giornata lavoratori per la sua vigna. Si accordò con loro per un denaro al giorno e li mandò nella sua vigna. Uscito poi verso le nove del mattino, ne vide altri che stavano in piazza, disoccupati, e disse loro: “Andate anche voi nella vigna; quello che è giusto ve lo darò”. Ed essi andarono. Uscì di nuovo verso mezzogiorno, e verso le tre, e fece altrettanto. Uscito ancora verso le cinque, ne vide altri che se ne stavano lì e disse loro: “Perché ve ne state qui tutto il giorno senza far niente?”. Gli risposero: “Perché nessuno ci ha presi a giornata”. Ed egli disse loro: “Andate anche voi nella vigna”».
Questi primi versetti inquadrano bene la scena, cadenzando momento dopo momento l’intera giornata. Questa presentazione dettagliata serve per comprendere i versetti che seguiranno. Un dato che merita di essere comunque sottolineato è il fatto che ogni qual volta il padrone esce di casa incontra lavoratori «disoccupati», che «se ne stavano lì», oziando. Il padrone non resta indifferente di fronte a questo oziare, non si volta dall’altra parte. Potremmo dire che si fa «buon samaritano» (cfr Lc 10,25-37) nei riguardi di questi lavoratori disoccupati, ossia senza occupazione. Da questa prima scena risulta che tutti quelli che erano sulla piazza del mercato sono stati chiamati dal padrone e che alla sera non vi sono più disoccupati. Un secondo dato che merita di essere segnalato, è il fatto che di solito non erano i padroni ad uscire, ma gli amministratori: questo per non sporcarsi, non avere a che fare direttamente con i poveri. Mentre qui è proprio il padrone a uscire, a voler incrociare i loro sguardi, le loro vite.
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Infine, solo nel primo caso è specificato quanto verrà loro versato per il lavoro, mentre ai secondi il padrone si limita a dire «Quello che è giusto ve lo darò», e nel terzo caso li manda semplicemente a lavorare.
vv. 8-16: «Quando fu sera, il padrone della vigna disse al suo fattore: “Chiama i lavoratori e da’ loro la paga, incominciando dagli ultimi fino ai primi”. Venuti quelli delle cinque del pomeriggio, ricevettero ciascuno un denaro. Quando arrivarono i primi, pensarono che avrebbero ricevuto di più. Ma anch’essi ricevettero ciascuno un denaro. Nel ritirarlo, però, mormoravano contro il padrone dicendo: “Questi ultimi hanno lavorato un’ora soltanto e li hai trattati come noi, che abbiamo sopportato il peso della giornata e il caldo”. Ma il padrone, rispondendo a uno di loro, disse: “Amico, io non ti faccio torto. Non hai forse concordato con me per un denaro? Prendi il tuo e vattene. Ma io voglio dare anche a quest’ultimo quanto a te: non posso fare delle mie cose quello che voglio? Oppure tu sei invidioso perché io sono buono?”. Così gli ultimi saranno primi e i primi, ultimi”.
Durante la giornata i lavoratori non si lamentano del fatto che arrivano «rinforzi», che il padrone abbia scelto anche altre persone per lavorare nella vigna. Il lamento giunge a sera, quando i lavoratori riscuotono il dovuto. E qui emerge lo scandalo. Indipendentemente da quante ore uno abbia lavorato, tutti prendono lo stesso salario. Dato che l’ordine del pagamento viene fatto a partire dagli ultimi, l’evangelista ha modo di evidenziare che i primi «pensarono che avrebbero ricevuto di più». C’era dunque in loro una legittima e umana aspirazione. E invece niente. Come gli ultimi. Qui nasce il “giusto” mormorio, se vogliamo guardarlo sotto il profilo umano: «Li hai trattati uguali a noi!».
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Ecco l’espressione che meglio sintetizza il loro scandalo. Verrebbe da domandarsi se il padrone ha veramente a cuore il lavoro dei suoi operai, perché agendo in questo modo rischia di non trovare più manovalanza disponibile a lavorare per lui l’intera giornata sotto il sole. Ma ciò che interessa al padrone non è tanto il «quanto prendono», ma offrire a tutti la possibilità di lavorare nella sua vigna, di fare esperienza di essere voluti, di essere utili, di essere figli. Si noti che il padrone chiama «amico» l’operaio che protesta (cfr Mt 22,12: come l’invitato a nozze ma senza il vestito appropriato; ma anche Giuda viene così chiamato, cfr Mt 26,50).
Uscendo dalla metafora, Gesù vuol far capire che non si entra nel Regno dei cieli per meriti acquisiti, ma perché amati e scelti dal Padre del cielo. Certo che è importante rimboccarsi le maniche, non restare nell’ozio, dare senso allo scorrere delle giornate. Ma ciò che conta di più è il sentirsi parte di una «compagnia», di un’amicizia. Il cuore non si riempie per la sola logica di giustizia: chiede altro. Vivere nell’ozio, senza far nulla, in fondo, significa vivere lontano dall’amore del Padre. Ciò che Gesù sta cercando di far capire è che come Dio ha donato tutto se stesso per la salvezza degli uomini, così anche noi siamo chiamati a fare: ciò che conta è entrare nei «pensieri di Dio», così distanti dai nostri. Se torniamo alla pura logica di «giustizia», i primi hanno ricevuto «quanto pattuito», ossia una moneta. Non hanno quindi subito alcuna ingiustizia. Il problema, allora, è che gli altri sono stati trattati in ugual misura!
Qui sta il problema. Il Padrone ha trattato primi ed ultimi in maniera uguale. Ha azzerato le differenze. Qualunque differenza: buono o cattivi, giusti e ingiusti, fedeli e infedeli, vicini e lontani… tutti uguali! E questo suo modo di agire crea disagio, sconcerta. Si tratta di comprendere che ciò che conta non è il merito per qualcosa che hai conquistato, ma è il dono. Domenica scorsa il primo servo, perdonato dal padrone, non è stato capace di fare altrettanto con il fratello mancante; così oggi. I primi non colgono il fatto che il padrone è libero di fare ciò che crede del suo patrimonio, che l’importante è partecipare alla festa gioia del padrone che è felice per aver dato lavoro ad un gran numero di lavoratori.
E’ un’esperienza che richiama la parabola del Padre misericordioso, dove il padre esce ad accogliere il figliol prodigo e pure il fratello maggiore, ma questi rifiuta di entrare a far festa, perché prigioniero dei «risultati» e di un suo «tornaconto», dimenticando che la gioia non sta nei beni, ma nello stare nella casa del Padre: «Tu sei sempre stato con me» (cfr Lc 15,31). Gesù fa così comprendere che il partecipare al lavoro della vigna non è in vista di una ricompensa a breve scadenza: «Quando avrete fatto tutto quello che vi è stato ordinato, dite: “Siamo servi inutili. Abbiamo fatto quanto dovevamo».
Dove «inutile» non significa che non serviamo a nulla, ma che quanto si fa non lo si fa per interesse personale, ma inutile, senza utilità, senza altro scopo se non la gioia di farlo per Dio e gli altri. Certo, si tratta di una dinamica difficile, direi molto difficile ancor più quando siamo anche motivati ad accettare una proposta cercando di agire con spirito evangelico, ma coltiviamo forti sospetti e quindi resistenze quando comprendiamo che chi chiede una cosa in realtà sta lavorando per «trame umane» e non per logica evangelica. Verrebbe da dire, non tanto solidali con Gesù, quando complici di Giuda!
Eppure il Signore invita ad andare oltre, a scegliere di abbracciare la sua Croce, a prediligere la logica di Dio che è senza logica; la misura di Dio, che è senza misura. Perché Dio non può che amare, non può che perdonare, non può che donare perché Egli è Amore, è Misericordia, è Dono. E invita a fare altrettanto: «Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date» (Mt 10,8). La ricompensa più importante, infatti, è la salvezza. E Gesù è venuto per tutti. indistintamente per tutti. Ed è morto in croce per poi risorgere non solo per alcuni, ma per tutti. La salvezza è dono, non conquista per meriti o virtù proprie, tanto che Gesù stesso concluderà dicendo: «Gli ultimi saranno i primi e i primi, ultimi» (Mt 20,16).
Di fronte a questa logica così illogica, due sono le possibilità: scandalizzarsi, fino a restare prigionieri della gelosia; oppure lasciarsi stupire e così partecipare alla stessa logica di Dio, imparando a coltivare i suoi pensieri e percorrere le sue vie (cfr prima lettura). Imparare a coltivare il suo sguardo così attento ad ogni dettaglio, capace di compromettersi con l’altro senza timore pur di renderlo partecipe della sua gioia. Gesù lo fa senza calcolo, senza interessi di parte. Lo fa per amore. Lo sguardo di Gesù è uno sguardo che suscita fascino, attenzione; che chiama, invita ad alzarsi, a mettersi in cammino, a lasciare il bordo della strada della vita, sapendosi mettere in gioco fino in fondo. Questo è l’amore di Dio. Questo è l’amore che siamo chiamati a coltivare. Perché come il Signore – recita il salmo – è vicino a chi lo invoca anche con il solo silenzio, così anche noi siamo chiamati a metterci in ascolto dei tanti silenzi di oggi, delle tante presenze senza voce che gridano dai bordi delle strade della vita. È una sfida, quella che Gesù ci affida. Ma se lo fa, è perché ha bisogno di noi oggi, qui ed ora. Perché noi oggi siamo quello sguardo, quella parola, quell’attenzione di solidarietà di cui la gente ha bisogno. A noi, però, lasciare la logica umana per abbracciare, fino in fondo, la logica della Croce. La logica dell’Amore.
Mt 20,1-16 | don Andrea Vena 67 kb 9 downloads
XXV domenica del tempo ordinario, anno A (24 settembre 2023) Is 55,6-9 Sal 145 Fil…Per gentile concessione di don Andrea Vena. Canale YouTube.