don Andrea Vena – Commento al Vangelo di domenica 23 Ottobre 2022

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Proseguiamo il nostro cammino dietro a Gesù (“Gesù prese la ferma decisione di mettersi in cammino  verso Gerusalemme”, Lc 9,51, XIII domenica – 26 giugno). Desidero ribadire questo concetto in quanto tutto il van gelo di Luca è un cammino, un pellegrinaggio verso la Città Santa, dove Gesù darà la sua vita per noi. E’ lungo  questo cammino che Egli educa, fa miracoli, predica… Il nostro stare dietro a Lui, di domenica in domenica, è dunque uno stare in amicizia con il Signore; un imparare da Lui per poter vivere come Lui.  Ormai mancano quattro domeniche al termine dell’Anno Liturgico: conclusione del cammino liturgico, ma simbolo  del termine del cammino della vita, dove Gesù – Re – ci accoglierà in Cielo.  

Il commento continua dopo il video.

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Il tempo dunque stringe, e Gesù sta educando i discepoli, e oggi ciascuno di noi, ad andare all’essenziale. A con centrare l’attenzione su ciò che conta pur di essere accolti nella sua Casa.  

In queste ultime domeniche siamo stati invitati a sintonizzarci col cuore stesso di Dio, che è Misericordia (XXIV-XXVI  domenica). A questo paradosso che ci coglie sempre impreparati, sono seguite due domeniche dedicate al tema  della fede (XXVII-XXVIII domenica), senza la quale difficilmente si può comprendere l’agire di Dio. E quindi il tema della  preghiera (XXIX e oggi), esperienza di amicizia a tu per Tu con l’Amico Dio, a tu per Tu con l’Infinito a cui posso abbandonarmi. Una triade che bene esprime le colonne portanti che dovrebbero contraddistinguere ogni discepolo  di Gesù.

Un uomo/donna sedotto dalla misericordia di Dio e per questo animato a coltivare un rapporto con Lui (è  la fede), coltivato in un costante dialogo di amicizia (preghiera). Ma c’è un dato che Gesù sta facendo emergere.  Non basta dire di essere misericordiosi, di aver fede o di pregare…se poi non riempiamo di contenuto queste parole. In fondo, se ricordiamo, il serpente sapeva ben parlare con Adamo ed Eva, ma nel suo gioco di parole c’era  l’inganno (cfr Gen 3). Così Gesù ci sta educando a coltivare la verità delle cose, ci insegna ad andare al cuore di ogni  esperienza.  

L’odierno testo del vangelo viene preceduto dalla prima lettura tratta dal libro del Siracide: “Il Signore…per lui non  c’è preferenza di persone… Non trascura la supplica dell’orfano, né la vedova… La preghiera del povero attraversa le  nubi”. E nel salmo, preghiera di risposta alla prima lettura, l’autore così si esprime: “Il Signore è vicino a chi ha il  cuore spezzato, egli salva gli spiriti affranti… non sarà condannato chi in lui si rifugia”.  

Con questa chiave di lettura, entriamo così nel testo del vangelo.  

9: “Disse ancora questa parabola per alcuni che avevano l’intima presunzione di essere giusti e disprezzavano gli altri”.

Domenica scorsa è stato introdotto il tema sulla necessità di pregare sempre (Lc 18,1-8). Oggi, ripartendo dallo  stesso punto in cui ci siamo interrotti domenica scorsa, il Signore aggiunge che non basta “pregare sempre” se poi  interiormente coltiviamo sentimenti sbagliati: “Disse questa parabola per alcuni che avevano l’intima presunzione di  essere giusti e disprezzavano gli altri”. Se non c’è un atteggiamento corretto a nulla vale la preghiera che diventa  ostentazione della propria presunzione!  

10-14: 10“Due uomini salirono al tempio a pregare: uno era fariseo e l’altro pubblicano. Il fariseo, stando in piedi, pregava così tra sé: “O Dio, ti ringrazio perché non sono come gli altri uomini, ladri, ingiusti, adùlteri, e neppure come questo pubblicano. 12Digiuno due volte alla settimana e pago le decime di tutto quello che possiedo”. 13Il pubblicano invece, fermatosi a distanza, non osava nemmeno alzare gli occhi al cielo, ma si batteva  il petto dicendo: “O Dio, abbi pietà di me peccatore”. 14Io vi dico: questi, a differenza dell’altro, tornò a casa sua  giustificato, perché chiunque si esalta sarà umiliato, chi invece si umilia sarà esaltato”. 

I protagonisti di questa parabola sono un fariseo e un pubblicano: entrambi salgono al tempio a pregare, ma colti vano due sguardi differenti.  

Il fariseo sta in piedi, nella posizione di chi è sicuro di sé, e in una sorta di monologo elenca con sicurezza  le sue bravure. Sono parole in cui si cela uno stravolgimento della preghiera, il suo sguardo è rivolto a se stesso, non a Dio. Il fariseo sostituisce il suo «io» a «Dio» e rende grazie non per ciò che Dio, nel suo amore fedele, ha fatto  per lui, ma per ciò che lui stesso ha compiuto per Dio! È come se si guardasse allo specchio auto celebrandosi:  digiuna…paga le decime/le offerte…”. Si comporta esteriormente secondo la Legge, ma è solo facciata! La fede  non è un privilegio e l’osservanza della legge non è garanzia per sentirsi giusti o superiori agli altri! Una preghiera  che Gesù bollerà come non gradita e che bene richiama un passo dell’evangelista Matteo: “Signore, Signore, non  abbiamo noi profetato nel tuo nome e cacciato demòni nel tuo nome e compiuto miracoli nel tuo nome? Io però dichiarerò loro: Non vi ho mai conosciuti; allontanatevi da me, voi operatori di iniquità(Mt 7,22-23).  

Diverso è lo sguardo del pubblicano: non osa alzare gli occhi verso Dio, vede se stesso nella propria  verità di peccatore, si batte il petto. Possiamo dire che prova lo stesso sentimento di Pietro di fronte alla santità di  Gesù: “Signore, allontanati da me che sono un peccatore(Lc 5,8). A suggerirci che l’autentico incontro con Dio e con  Gesù Cristo coincide con lo svelamento all’uomo del proprio essere peccatore, ed ecco perché la preghiera: “O Dio,  abbi pietà di me peccatore” è quella che meglio esprime la nostra condizione: siamo chiamati a riconoscere le nostre  cadute e ad accettare che Dio le ricopra con la sua inesauribile misericordia, l’unica cosa veramente necessaria  nella nostra vita… Per capire ancor di più questo atteggiamento, pensiamo a un altro sguardo, quello sul Calvario,  dove la folla “che ha visto Gesù morire come un giusto” si batte il petto: la gente si sente guardata da quest’uomo  innocente che dà la vita e di conseguenza riconosce il proprio peccato (cfr Lc 23,48).  

Se domenica scorsa siamo stati invitati a pregare sempre, con insistenza, oggi veniamo educati al “come pregare”.  E la prima cosa che emerge è che la vera preghiera nasce dal lasciarsi guardare dal Signore Gesù che è morto per  noi, figli prodighi. La preghiera nasce dallo stupore di fronte a un Dio che mi aspetta, mi cerca e muore per me!  Uno stupore che si fa contrizione di cuore (battersi il petto). Che si fa mendicante di amore (“Abbi pietà di me peccatore”). 

Gesù concluderà dicendo che solo il pubblicano tornerà a casa giustificato. Una conclusione che richiama l’esperienza dell’offerta-preghiera dei fratelli Caino e Abele: il Signore Dio che scruta il cuore, accolse con favore quella  di Abele, ma non quella di Caino, tanto che lui “ne fu molto irritato” (cfr Gen 4,1-4). L’invidia, purtroppo, acceca e fa  emergere ciò che di brutto uno si porta dentro: Caino, infatti, ucciderà il fratello. Come il fariseo, che uccide il fratello pubblicano con il suo tagliente giudizio.  

La preghiera, insegna oggi Gesù, non è un parlarsi addosso, un riconoscere quante cose di buono ho fatto, ma un  guardare al Signore e riconoscere quanto Lui di buono ha fatto per me! Si tratta di lasciarsi sedurre dallo sguardo  del Signore, il solo capace di cambiare il cuore e quindi la vita. Un invito affidato alla nostra libertà che può dire di  si – “Mi hai sedotto, Signore, e mi sono lasciato sedurre” (cfr Ger 20,7) – ma anche di no – “…se ne andò via triste  perché aveva molti beni” (cfr Mc 10,21).  

Solo chi ha «il cuore spezzato» (Sal 51,11) perché consapevole di essere stato “guardato con misericordia”, può  rivolgere a Dio «la preghiera dell’umile che penetra le nubi» (Sir 35,17, prima lettura).  

Recuperando la “triade” con la quale abbiamo iniziato la nostra riflessione, l’esperienza della fede è proprio quella  di sapere di aver bisogno dell’amicizia con il Signore, di sentire il bisogno di averLo al proprio fianco, di poter stare  e dialogare con lui (preghiera) sapendo di essere accolti e capiti non per ciò che si vuol mostrare, ma per ciò che si  è, perché Dio è Misericordia.

Il commento al Vangelo di domenica 23 ottobre 2022 curato da don Andrea Vena. Canale YouTube.