don Andrea Vena – Commento al Vangelo di domenica 23 Aprile 2022

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Siamo giunti alla III domenica di Pasqua. La Liturgia ci sta prendendo per mano per aiutarci cogliere i tratti che con traddistinguono il profilo del credente, di colui che ha scelto di mettersi dietro a Gesù, Crocifisso e Risorto. Non solo il  profilo del singolo, ma della Comunità dei discepoli del Risorto, perché non esistono i cristiani solitari, ma ogni credente  nasce nel solco, direi nel grembo, di una Comunità. E c’è un dato che sta subito emergendo in queste domeniche: i  discepoli del Risorto non sono perfetti, ma amici che si lasciano sedurre dall’amore del Signore e accettano di lasciarsi  educare dalla sua proposta di vita.  

Il cammino è iniziato da una tomba vuota: ciò che poteva apparire la fine di tutto, si è rivelato l’inizio di una nuova storia  di salvezza, una nuova storia d’amore. Una storia che non ti lascia indifferente, ma ti smuove, ti illumina, ti rincuora, ti  incoraggia e ti spinge a camminare. Di più, a correre (cfr vangelo della notte di Pasqua: le donne «corrono dai discepoli»). 

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Una corsa che non esonera dalla fatica del capire e che porta pure a dubitare, come Tommaso; perché la fede non è un  dato acquisito, ma è un divenire: si impara ad amare il Signore sempre di più nella misura in cui si impara a consocerLo  sempre di più (cfr II domenica). Un progressivo processo interiore che bene si riflette nei discepoli di Emmaus, prima  impauriti e delusi, e poi, come avessero un fuoco acceso nel cuore, ritornano sui loro passi e condividono con gli altri  discepoli la gioia dell’Incontro, affrontando la fatica della testimonianza, come cercheremo a breve di capire dal vangelo  odierno (III domenica).  

In questo cammino di crescita, di consapevolezza, non si è mai soli: il Signore è sempre accanto e, come buon pastore,  guida, incoraggia, cerca chi è perduto (IV domenica). Il Signore risorto ti rende capace di fare quanto ti chiede, promettendoti il dono dello Spirito Santo (V domenica) e svelandoti – è questa la sua più grande eredità – che il tratto più  autentico per essere riconosciuti suoi discepoli è amarsi come Lui ci ha amati (VI domenica). E perché tutto questo si possa realizzare, sale al cielo (Ascensione) e dall’alto dona lo Spirito (Pentecoste) vero e primo dono ai credenti. In questo sintetico sguardo d’insieme possiamo ritrovare i tratti del profilo del credente e della Comunità dei credenti.  

Liturgia del giorno 

Come appena ricordato, Gesù trova i suoi discepoli chiusi per paura, increduli, dubbiosi. I vangeli non nascondono questi  tratti di debolezza, e questo rende storicamente ancora più vera la loro testimonianza, perché se si vogliono presentare  modelli perfetti, in genere, si omettono le situazioni critiche. Gli evangelisti, invece, sanno di non dover difendere nulla,  ma di presentare l’Avvenimento di Gesù per quello che è: Lui è il Signore! Inoltre questi stati d’animo dei discepoli si  rispecchiano in ciascuno di noi, fanno parte del bagaglio di ciascun credente. Non dobbiamo averne paura o timore.  L’incontro con il Signore, dunque, non è mai scontato né tanto meno acquisito una volta per sempre: il dono della sua  amicizia chiede di essere coltivato e custodito. Sempre (cfr Mc 16,11.13; Mt 28,17ss). Gesù risorto non è un «pezzo da  museo» da ammirare, ma è un’Esperienza che chiede di farsi vita ogni giorno in ciascuno di noi, come descritto oggi  nell’esperienza dei discepoli di Emmaus. 

I due si stanno allontanando da Gerusalemme e sono concentrati nel loro discutere animatamente: «Erano in cammino  verso Emmaus… e conversavano tra loro di tutto quello che era accaduto» (v 14). Il movimento dei discepoli li porta  lontani da Gerusalemme, lontani dalla Comunità. E il loro procedere è stanco e deluso.  

Gesù aiuta i discepoli a uscire dal tunnel di delusione che li vede protagonisti e incapaci di vedere. Infatti sono «impediti»  di vedere, dice il testo e il loro sguardo è smarrito: «Si fermarono col volto triste» (v. 17). Triste è lo sguardo, come triste  e senza speranza è il racconto che riportano allo sconosciuto, in quanto tutto si ferma di fronte al sepolcro vuoto. Gesù  è morto. Tutto è finito. Svanito. I discepoli conoscono bene la Scrittura, ma la loro mente è offuscata, incapace di  coglierne il nesso.

Gesù da buon educatore si affianca, domanda e si pone in ascolto. Non si fa riconoscere subito, attende di ascoltare e  capire, aiuta i due discepoli a tirar fuori tutta la loro amarezza e delusione. Solo al termine del loro umano sfogo, Gesù  interviene aiutandoli a comprendere rettamente le Scritture.  

La prima cosa però che Egli segnala è la loro incredulità: «Stolti e lenti di cuore a credere in tutto ciò che hanno detto  i profeti! Non bisognava che il Cristo patisse queste sofferenze per entrare nella sua gloria? E cominciando da Mosè  e da tutti i profeti, spiegò loro in tutte le Scritture ciò che si riferiva a lui…» (vv. 25-27).  

Come un tempo Gesù guarì il cieco nato (cfr IV domenica di Quaresima), così oggi dona luce agli occhi di questi due  discepoli. Gesù risveglia il loro cuore – come testimonieranno al termine i discepoli, «Non ci ardeva forse il cuore men tre conversava con noi?». La Parola riscalda i loro cuori, illumina le loro menti e con questa luce i discepoli rileggono la  storia in modo nuovo, sotto un’altra luce. La Parola che ascoltano è la stessa di sempre, quella dei Profeti, ma non la  ricevono più come un dato “di una volta”, storico, ma come esperienza di Parola viva, efficace adesso. Un’esperienza  affascinante, bella a tal punto che giunti presso una locanda i discepoli chiedono: «Resta con noi, ormai si fa sera e il  giorno ormai al tramonto» (29).

Un invito che svela un desiderio e dice quanto è bello stare con questo Sconosciuto,  ascoltare la sua Parola. «Quando fu a tavola, prese il pane, recitò la benedizione, lo spezzò e lo diede loro. Allora si  aprirono i loro occhi e lo riconobbero» (vv 30-31). E Gesù scomparve dalla loro vista. Non ha bisogno di restare per  parlare: ha riacceso in loro amore e passione per poter imparare a riconoscerLo dentro la vita. Ed è proprio nel suo scomparire che riappare la Comunità: «Partirono senza indugio e fecero ritorno a Gerusalemme, dove trovarono riuniti gli Undici e gli altri…: Davvero il Signore è risorto!».  

Si potrebbe dire che non è Gesù ad essere diverso o fuori dalla realtà, dalla vita: siamo noi che forse non viviamo piena mente la realtà della vita dove il Signore ci ha dato appuntamento per essere riconosciuto dentro le esperienze della  quotidianità. Finché restiamo chiusi nelle nostre conoscenze, prigionieri delle nostre certezze sarà difficile «vedere» il Signore. 

Come abbiamo notato, l’esperienza dei discepoli avviene lungo il «cammino». C’è un viaggio, contrassegnato dal passo  pesante e dal dialogo animato, chiuso nei propri fallimenti, prigionieri dello sconforto e schiacciati dal peso della sconfitta, e poi c’è un secondo viaggio, contraddistinto dalla corsa, dalla gioia e dalla condivisione di fede. Due cammini  diversi che suggeriscono che anche noi siamo in cammino e siamo invitati a domandarci da quale parte stiamo andando.  Se siamo chiusi attorno al nostro «io» o se invece ci stiamo confrontando sul serio con il Signore Gesù e con le persone  che ci stanno accanto…  

Per recuperare la gioia della vita basta imparare ad ascoltare col cuore, scoprendo che la Parola di Dio libera perché è  liberante. Infatti solo il cuore libero dal proprio «io» saprà riconoscere la compagnia di Gesù: certo, «nello spezzare il  pane», ma perché prima ha «ascoltato la Parola»: «Non ci ardeva forse nel cuore… mentre conversava con noi lungo il  cammino?».  

Un’esperienza che ancora oggi è possibile sperimentare ogni qual volta ci ritroviamo «insieme» nello «spezzare il pane»:  l’Eucaristia è l’antidoto che solo può guarire la nostra cecità e testardaggine. È il collirio che meglio di tutti può aprire i  nostri occhi per guardare alla vita sotto una luce diversa. È la scintilla che riaccende il fuoco nel cuore e infonde fiducia  e coraggio nel portare agli altri la gioia della fede: Gesù è vivo ed è in mezzo a noi! A conferma di tutto questo, si noti  che i due discepoli di Emmaus, come domenica scorsa l’apostolo Tommaso, erano lontani dalla Comunità, e questo li  ha resi increduli e incapaci di riconoscere il Signore risorto. Solo la Comunità si rivela quale habitat dove fare esperienza  autentica di Gesù – «dove due o tre sono riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro» (Mt 18,15-20). 

Leggi qui la preghiera per questa domenica.

Il commento al Vangelo di domenica 23 aprile 2023 curato da don Andrea Vena. Canale YouTube.