Domenica scorsa abbiamo ascoltato la terza e ultima parabola dedicata al Regno di Dio: nella XXVI domenica (1° ottobre) la Liturgia ci ha proposto la parabola dei due figli, dei quali uno si rifiuta ma poi fa quanto richiesto, l’altro accetta ma non fa; nella XXVII domenica (8 ottobre), la parabola della vigna, dove i vignaioli non rispondono del loro lavoro al padrone; domenica scorsa, il banchetto di nozze, dove alla fine uno si presenta senza l’abito nuziale. Tre parabole per far riflettere i farisei di ieri – e oggi noi! – sulla chiusura o le storture che custodiamo di fronte alle cose del Regno di Dio. Con il brano di oggi, invece, inizia una serie di dialoghi e discussioni tra Gesù e i suoi avversari, gli stessi che troveremo al processo di Gesù come si può ben cogliere nell’incipit del vangelo odierno: «I farisei se ne andarono (il riferimento è alla festa di nozze narrata domenica scorsa) e tennero consiglio per vedere come cogliere in fallo Gesù nei suoi di scorsi».
Questa sarà la prima delle tre argomentazioni che incontreremo in queste domeniche: oggi la discussione sull’obbligo del tributo a Cesare; domenica prossima quella sul più grande dei comandamenti (Mt 22,34-40); tra due domeniche, la critica verso coloro che caricano di inutili fardelli il popolo (Mt 23,1-12). Attraverso queste discussioni Gesù vuole far emergere quanto c’è nel cuore dei suoi interlocutori, incapaci di cogliere i segni di Dio dentro la loro vita, solo perché prigionieri dei loro calcoli e interessi. Le ultime due domeniche, infine, torneremo a proiettarci verso la Meta, quando nella XXXII domenica saremo invitati a essere come vergine sagge (Mt 25,1-13) e servi capaci di trafficare con sapienza e fiducia i talenti ricevuti nell’attesa del ritorno del Re, il Signore (Mt 25,14-30). Per giungere così all’ultima domenica, solennità di Cristo Re dell’Universo, quando ci confronteremo con il giudizio universale: «Avevo fame, e mi avete dato da mangiare…» (Mt 25,31-46).
L’impegno del cammino e l’assunzione di responsabilità, dunque, non sono fine a se stessi, ma è finalizzati a farci trovare pronti, vigilanti e responsabili per entrare nel banchetto del Regno di Dio. Tornando ai tre testi sui quali mediteremo in queste domeniche, i farisei sottovalutano un dato fondamentale, che bene è inquadrato dalla prima lettura scelta per questa celebrazione. Come il Re Ciro – pur pagano – è stato scelto da Dio per liberare il suo popolo così Gesù, il Figlio di Dio, guiderà il suo popolo verso la libertà: «Scelto… per abbattere davanti a lui le nazioni… per aprire davanti a lui i battenti delle porte e nessun portone resterà chiuso… Dio lo ha eletto, chiamato per nome… Non c’è altro Signore, altro dio…». Esperienza che si fa canto di lode nelle parole del salmo: «Cantate al Signore un canto nuovo… grande è il Signore e degno di ogni lode… date al Signore la gloria… il Signore regna! Egli giudica i popoli con giustizia».
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vv. 15: «I farisei se ne andarono e tennero consiglio per vedere come coglierlo in fallo nei suoi discorsi». Il versetto si collega direttamente alla scena meditata domenica scorsa, quando Gesù raccontò la parabola della festa di nozze organizzata dal Re. Comprendendo che Gesù si stava riferendo a loro, «se ne andarono e tennero consiglio… per trovare come coglierlo in fallo nei suoi discorsi»: è interessante questo dettaglio perché è sempre tra le pieghe di un discorso che una sola parola può smontare tutto. Basti ricordare Genesi 3, dove il serpente ingannò Eva proprio distorcendo una parola!
vv. 16-17: Mandarono dunque da lui i propri discepoli, con gli erodiani, a dirgli: “Maestro, sappiamo che sei veritiero e insegni la via di Dio secondo verità. Tu non hai soggezione di alcuno, perché non guardi in faccia a nessuno. Dunque, di’ a noi il tuo parere: è lecito, o no, pagare il tributo a Cesare?”.
La domanda è un trabocchetto: «E’ lecito o no…». Vocabolo che abbiamo già trovato in Mt 14,4, quando il Battista dice a Erode che non gli è lecito tenere con sé la moglie di suo fratello». Dobbiamo subito dire che al tempo di Gesù la Palestina era sotto la dominazione dell’impero romano e questo non era ben visto dagli ebrei che lì abitavano, sia per motivi politici – erano governati da una forza straniera -, sia per motivi religiosi – Cesare si riteneva dio!-. Nella domanda trabocchetto, quindi, si tenta di far in modo che Gesù esca allo scoperto, anche se Gesù aveva già chiarito la questione quando di fronte alla critica che lui non pagava le tasse, aveva mandato Pietro a pescare un pesce trovando nella sua bocca la moneta da consegnare (Mt 17,24-27). Ora se Gesù risponde di «si», sarebbe stato accusato di sostenere l’occupazione dei romani; se dice «no», allora si metterebbe contro i romani!
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vv. 18-22: «Ma Gesù, conoscendo la loro malizia, rispose: “Ipocriti, perché volete mettermi alla prova? Mostratemi la moneta del tributo”. Ed essi gli presentarono un denaro. Egli domandò loro: “Questa immagine e l’iscrizione, di chi sono?”. Gli risposero: “Di Cesare”. Allora disse loro: “Rendete dunque a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio”. A queste parole rimasero meravigliati, lo lasciarono e se ne andarono».
Gesù, ben conoscendo la loro malizia, non risponde direttamente alla domanda, ma spiazza i suoi interlocutori chiedendo loro perché vogliono metterlo alla prova e, in secondo luogo, avviando un dialogo a partire dalla moneta stessa: «Questa immagine e iscrizione, di chi sono?». La risposta è ovvia, di Cesare, e da qui Gesù risponde: «Restituite a Cesare quello che è di Cesare, e a Dio quello che è di Dio»: con questa espressione Gesù si tiene ben lontano dal rendere onori fuori luogo a Cesare, e così non entra nella sfera politica; nello stesso tempo non sconfessa la fede nell’unico Dio, non offrendo alcun appiglio a chi sta tentando di coglierlo in fallo nella sfera religiosa. Questo però non toglierà il fatto che Gesù sarà condannato perché «sobilla il popolo e impedisce di pagare i tributi a Cesare» (cfr Lc 23,2)!
A questo punto possiamo domandarci quale messaggio possiamo cogliere da questa disputa per il nostro oggi. Se la moneta porta impressa l’effige di Cesare, a lui va dato quanto gli si deve: la moneta. Ma proprio a partire da questa logica, dato che l’uomo porta in sé l’immagine di Dio (Gen 1,27), allora a Dio si deve restituire la propria vita attraverso una lodevole condotta di vita. Coltiveremo un’autentica libertà interiore nella misura in cui sappiamo che la vita viene da Dio ed è custodita nelle sue mani. È in forza di questa libertà interiore che Paolo domanderà ai cristiani – a quel tempo perseguitati – di sottomettersi alle autorità civili (cfr Rm 13,1-17) e così farà l’apostolo Pietro: «Agite da uomini liberi,… quali servi di Dio. Onorate tutti, amati i vostri fratelli, temete Dio, rispettate il re” (1Pt 2,16-17).
Ciò che emerge, dunque, è divenire cittadini leali verso lo Stato, anche pagando le tasse, che è il primo atto di giustizia e di carità che dobbiamo fare, perché attraverso le tasse noi ci assicuriamo il servizio nella scuola, nella sanità per tutti. Ecc…Certo, che poi spetta allo Stato far sì che il carico fiscale sia equilibrato, ma questo non deve spingere a sotterfugi. Pensare di fare i furbi a discapito dei più deboli è un peccato! Quindi leali, ma non servi, nei confronti dello Stato e di chi lo rappresenta, e adoratori-servi di Dio solo, perché di Lui abbiamo impresso nel cuore l’immagine.
Detto in altre parole, vivere ben saldi dentro la storia, ma animati da un cuore ben saldo nelle cose di Dio. Sarà questo rispettoso equilibrio che permetterà di portare con libertà e gioia il nostro contributo nella costruzione della civiltà dell’amore, animandola con il Vangelo della giustizia, della fraternità, della misericordia. Non si tratta di fuggire dalla storia o di estraniarsi attraverso un vago spiritualismo, ma di vivere nel mondo ben sapendo di non essere del mondo (cfr Gv 17,14).
Mt 22, 15-21 | don Andrea Vena 73 kb 24 downloads
XXIX domenica del tempo ordinario, anno A (22 ottobre 2023) Is 45,1.4-6 Sal 96 1Ts…Per gentile concessione di don Andrea Vena. Canale YouTube.