don Andrea Vena – Commento al Vangelo di domenica 21 Maggio 2022

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La notte di Pasqua la liturgia ci ha fatto ascoltare un brano tratto dal vangelo di Matteo: «L’angelo disse alle  donne: “Voi non abbiate paura! So che cercate Gesù, il crocifisso. Non è qui, è risorto… Presto, andate a  dire ai suoi discepoli: è risorto dai morti, ed ecco, vi precede in Galilea, là lo vedrete”» (Mt 28,5-7).  v. 16: Oggi il testo riprende da qualche versetto dopo e ci porta in Galilea: «Gli Undici discepoli andarono in  Galilea, sul monte che Gesù aveva loro indicato». 

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La Galilea è il punto di partenza, il luogo dal quale tutto ha avuto inizio: «Mentre camminava lungo il mare di  Galilea, vide due fratelli…» (Mt 4,18ss). Con questo appuntamento Gesù vuole ricordare ai discepoli, e oggi a  noi, che il compito della missione deve sempre tener presente che tutto ha avuto origine in Lui, nella sua libera  e gratuita decisione: «Li vide… li chiamò» (Mt 4,19). All’origine della chiamata e della missione c’è la libera e  gratuita iniziativa di Dio: nell’indicare la «Galilea» Gesù suggerisce di tornare sempre con il cuore e la memoria  questo fatto basilare: Dio ci ha amati per primo (cfr 1Gv 4,19). La missione è e resta sua: noi siamo chiamati a  collaborare. In secondo luogo, la Galilea è lo spazio e l’orizzonte della missione: «Galilea delle genti» (Mt  4,12ss): la zona era un crocevia di gente, e quindi da una parte non c’era tempo di andare alla Sinagoga, dall’al tra, incontrando gente pagana, non nessuno poi poteva partecipare alla preghiera: si trattava di una terra  impura da cui «non poteva uscire nulla di buono» (cf Gv 1,46). Gesù fa iniziare la missione ai discepoli lì dove  l’ha cominciata Lui: in periferia, lì dove c’era il maggior concentrato di gente «scartata»: sì, perché non solo la  missione richiedeva di «dire le cose di Gesù», ma anche di fare come Lui.

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Ma qui è importante sottolineare un  ultimo aspetto: parlando di Galilea non s’intende solo la dimensione geografica, ma anche esistenziale. C’è  una Galilea, una zona di periferia anche nei nostri cuori, nelle nostre menti…una zona dove confiniamo quella  parte di noi stessi che non ci piace, che vorremmo evitare, dimenticare. Gesù ci chiede di raggiungere ogni  confine, di rendere partecipi della missione ogni persona che s’incontra e altresì tutto noi stessi, anche quella  parte che non vorremmo avere. Lui già conosce tutto (cfr Salmo 139), e tutto in Lui è salvato. … Dentro la  storia, e la nostra stessa piccola storia interiore, siamo chiamati a scorgere i segni della presenza di Dio. 

v. 17: «Quando lo videro, si prostrarono. Essi però dubitarono. Gesù si avvicinò loro…».  Di fronte al timore dei discepoli, è ancora Gesù, come un tempo, che prende l’iniziativa e fa un passo in avanti  verso di loro. Con quel suo muoversi, Gesù desidera rassicurare i suoi, quasi a voler colmare la distanza creatasi tra loro per l’abbandono lungo la via della Croce.  

v. 20: In secondo luogo, un’assicurazione: «Ed ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo».  Gesù, l’Emmanuele, il Dio-con-noi, adorato nella grotta di Betlemme è e ci sarà accanto fino alla fine del  mondo. Tra il suo farsi vicino e la promessa di restarci accanto per sempre, c’è una dichiarazione: «A me è  stato dato ogni potere in cielo e sulla terra. Andate… fate discepoli tutti i popoli battezzandoli nel nome  del Padre, del Figlio e dello Spirito santo…» (v. 17b-19). Il potere che Gesù ha ricevuto è stato sigillato dalla  Croce che ha dovuto affrontare e patire, quasi a ricordare ai suoi, e oggi a noi, che ogni «potere» chiede di  passare attraverso il «calice amaro» della sofferenza: «Potete bere il calice che io sto per bere?» (Mt 20,22; Mt  26,39.42). E’ il potere d’aver vinto il male, il peccato, la morte. In questo modo la missione di andare, di fare  discepoli, di battezzare chiede di avere l’impronta della Croce, l’impronta dell’amore. Non c’è potere che non  nasca dal Padre del cielo, come ricorda Gesù a Pilato: «Non avresti alcun potere su di me se non ti fosse stato  dato dall’alto» (cfr Gv 19,11).

Attraverso queste parole Gesù fa capire ai discepoli, e oggi a noi tutti, che non  c’è nulla di nuovo da inventare: il messaggio c’è già. Per i discepoli di un tempo e per quelli di oggi c’è solo da accogliere l’invito a partecipare alla missione del Signore Gesù, nient’altro. I cristiani sono invitati a prolungare nel tempo quanto Gesù ha vissuto e ora ha affidato ai suoi discepoli, a noi, alla Chiesa: andare fino ai  confini della terra, ossia rendere partecipi «tutti i popoli» (Mt 28,19). È l’universalità del messaggio del van gelo affinché la Chiesa diventi “cattolica”. La Galilea ci ha ricordato l’importanza del tornare agli inizi, al mo mento sorgivo della missione e altresì ci ricorda che nessuno va escluso dall’annuncio. Questo versetto ci suggerisce quanto sia importante far memoria dello stile di Gesù, il quale non ha imposto a nessuno il suo messaggio, ma è sempre stato una proposta affidato alla libertà di ciascuno. Ecco allora che la «Galilea» assume varie sfumature che chiedono di essere tenute insieme. 

Con queste parole Gesù lascia i suoi discepoli e viene «elevato in alto e una nube lo sottrasse ai loro occhi»,  ricorda il testo degli Atti scelto come I lettura. Quindi Gesù prima da appuntamento in Galilea, ricorda ai discepoli Chi sta all’origine della loro missione e qual è il contenuto e stile da assumere, e poi si accinge a salire  al cielo. Questa elevazione, questo salire al cielo non deve però ingannare o distoglierci: «Uomini di Galilea,  perché state a guardare il cielo?» (cfr Atti). La vita cristiana non è un guardare in alto, ma un lasciarsi animare  dall’alto, dalle cose alte del cielo, vivendo quaggiù, nella nostra Galilea: cittadini del cielo con i piedi ben saldi  in terra. La qualità della nostra fede non si misura nell’inseguire chissà quali apparizioni, ma nel tenere il cuore  ben saldo nelle cose del cielo, assumendo le responsabilità della vita quotidiana: «Fratelli, se siete risorti con  Cristo, cercate le cose di lassù, dove è Cristo, seduto alla destra di Dio; rivolgete il pensiero alle cose di lassù… 

Fate morire ciò che appartiene alla terra: impurità, immoralità, passioni, desideri cattivi» (Col 3,1-5). L’ascensione di Gesù non è tanto questione di «assenza», ma di «presenza nuova»: Gesù non si è separato da noi, ma  nella sua umanità ha portato in cielo anche la nostra umanità. È come aver già messo un piede in paradiso! La  nostra umanità è ormai assunta in cielo, è portata all’altezza di Dio. Quante volte si dice che l’erba del vicino  è sempre più bella: un modo per indicare che osserviamo a ciò che manca e non a ciò che in realtà già abbiamo.  Ecco, se solo ci rendessimo conto che abbiamo già un piede in paradiso, non staremmo a lamentarci del piede  immerso nelle vicende della vita, spesso precarie. A noi, ricorda la II lettura, coltivare «Uno spirito di sapienza  e di rivelazione per una più profonda conoscenza di lui… il Signore illumini gli occhi del vostro cuore per farvi  comprendere a quale speranza vi ha chiamati, quale tesoro di gloria racchiude la sua eredità…». 

Come canteremo nel salmo, il Signore Gesù è entrato nella gloria: «Alzate le porte…entri il re della gloria… Il  Signore forte e valoroso… Alzate la vostra fronte, il Signore dell’universo è il re della gloria»· Egli vi è giunto,  Lui solo è la Verità che può condurci lungo la Via per giungere alla Vita. A noi crederci, a noi dargli retta.

Il commento al Vangelo di domenica 21 maggio 2023 curato da don Andrea Vena. Canale YouTube.