Lungo il nostro cammino pasquale abbiamo fissato lo sguardo in Gesù risorto (Pasqua); abbiamo compreso, grazie all’Apostolo Tommaso, che questa esperienza non è automatica ma chiede tempo e pazienza (II domenica); ci siamo soffermati sulla fatica del dar retta a un testimone che ha cambiato idea ma dietro quella fatica abbiamo scorto che c’è resistenza nel credere in Gesù risorto (III domenica).
Gv 10, 11-18 | don Andrea Vena 56 kb 10 downloads
IV domenica di Pasqua, anno B At 4,1-12 Sal 118 1Gv 3,1-3 Gv 10,11-18 a cura di d….I vangeli pasquali non intendono tratteggiare il profilo di un credente perfetto, ideale, ma un credente concreto, con tutto il suo vissuto. Così oggi ci viene quasi ricordato che non siamo soli, ma che a Capo, a Guida di questa Compagnia di amici, di questa Comunità c’è Gesù stesso, buon Pastore.
Il libro degli Atti, che la liturgia offre come prima lettura, presenta la testimonianza chiara e franca dell’apostolo Pietro, il quale non solo – dopo la sua paura, vigliaccheria e rinnegamento (Mc 14,30) -, “colmato di Spirito Santo” riconosce Gesù quale unico Salvatore – “In nessun altro vi è salvezza” –, ma aggiunge pure che Gesù è quella “Pietra scartata da costruttori e che è divenuta pietra d’angolo”.
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Concetto che ritroviamo nel salmo, dove si evidenzia che solo il Signore/buon Pastore è colui che è capace di fondare la vita su solide fondamenta: “La pietra scartata è divenuta pietra d’angolo. Questo è stato fatto dal Signore: una meraviglia ai nostri occhi” (salmo). Facendo quindi capire che quanti si fondano su altri fondamenti/convinzioni non troveranno stabilità. Parole che permettono di inquadrare e introdurre il tema del vangelo.
v. 11: “Io sono il buon pastore. Il buon pastore dà la propria vita per le pecore”: “Io sono” rimanda alla rivelazione di Dio a Mosè, nel roveto ardente (Es 3,14). Gesù rivendica a sé, qui come in altri passi, il nome di Dio: “Io sono il pane della vita” (Gv 6,35); “Io sono la luce del mondo” (Gv 8,12); “Io sono la porta delle pecore” (Gv 10,7); “Io sono la resurrezione e la vita” (Gv 11,25); “Io sono la via, la verità e la vita” (Gv 14,6); “Io sono la vite” (Gv 15,5). Gesù è dunque “Colui che è”, Colui che cammina sempre con te, che non ti lascia; è l’Emmanuele, il Dio-con-noi (Is 7,14, Natale), fino alla fine dei giorni ( (Mt 28,20). Il buon pastore: il pastore “bello”, cioè autentico, vero, buono. Non “un” ma “il” pastore, colui che fa da modello, da riferimento. Il pastore promesso, capace di arrivare a dare la vita per le sue pecore (Ez 34,1), quale “Agnello immolato” (Ap 7,17).
v. 12-13: “Il mercenario – che non è pastore e al quale le pecore non appartengono – vede venire il lupo, abbandona le pecore e fugge, e il lupo le rapisce e le disperde; perché è un mercenario, e non gli importa nulla delle pecore”: dopo essersi presentato come “pastore”, Gesù presenta il “mercenario”, ossia quanti fanno il loro lavoro per soldi, che non sono proprietari del gregge, non lo amano; (diversamente: cfr Sal 50,15, avere la morte come pastore). Le pecore, dice il testo, non “appartengono” al mercenario, il quale non cura il gregge con amore: “Dov’è il tuo tesoro lì sarà anche il tuo cuore” (Mt 6,21), e il tesoro del mercenario non sono certo le pecore! L’espressione “non gli importa (delle pecore)” appare un’altra volta nel vangelo di Giovanni, quando Giuda denunciò lo spreco d’olio da parte di Maria: “Disse questo non perché gli importava dei poveri, ma perché era un ladro e teneva la cassa…”(cfr Gv 12,6). Ecco, il mercenario è colui che guarda al suo tornaconto, non ha altro interesse. Il vero pastore lo si riconosce nel momento del pericolo, perché lui non scappa, resta, lui “sta” (cfr “Maria “sta” sotto la croce”, cfr Gv 19,25). E offre la vita.
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v. 14-15 : “Io sono il buon pastore, conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me, così come il Padre conosce me e io conosco il Padre, e do la mia vita per le pecore”. “Conosce”: tutto si gioca sul piano della relazione, non del ruolo o della funzione; sul piano dell’amore non del dovere: “Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici” (Gv 15,13). Qualche versetto prima del nostro brano, Gesù così si esprimeva: “Le pecore ascoltano la sua voce; egli chiama ciascuna per nome” (Gv 10,3): “le chiama per nome”, a dimostrare fino a che punto è intensa la relazione tra pastore e pecore. Infatti al mercenario le pecore “non appartengono”, cioè lui manca di “relazione”, non sa prendersi cura, con cuore delle pecore, ciò che invece è caratteristica del pastore, a tal punto che Gesù arriva a far cogliere che questa relazione è riflesso della relazione che intercorre tra Lui e il Padre (GV 17,21).
v. 16-18: “E ho altre pecore che non provengono da questo recinto: anche quelle io devo guidare. Ascolteranno la mia voce e diventeranno un solo gregge un solo pastore. Per questo il Padre mi ama: perché io do la mia vita, per poi riprenderla di nuovo”. La relazione alla quale fa riferimento Gesù, buon pastore, non è riservata a pochi eletti, ma è rivolta a tutti, anche a quanti stanno fuori dal recinto, come ha fatto capire quando disse: “Quando sarò innalzato da terra, attirerò tutti a me” (Gv 12,32). Un tutti che si compirà nel regno dei cieli, quando “L’Agnello sarà il loro pastore” (Ap 7,17). Per questo Egli è amato dal Padre, perché ama tutti “fino all’estremo” (Gv 13,1).
Si faccia attenzione che non si parla di “un solo ovile/recinto”, ma di “un solo gregge e un solo pastore”: un dettaglio non da poco, perché pur indicando in Gesù l’unico Pastore con l’obiettivo di “un solo gregge”, non si fa cenno di un solo “ovile/recinto”. Un dettaglio che forse dovrebbe aiutarci ad aprirci di più verso gli altri, anche se non sono del «nostro» ovile, della nostra comunità cristiana, della nostra comunità religiosa, fino a ritenere che non sono della nostra Chiesa. Il bene è seminato ovunque, spetta a noi scorgerlo, accoglierlo, da esso lasciarci arricchire.
Gesù, buon pastore, è Colui che “guida” le pecore (come un tempo ha guidato il popolo dalla schiavitù alla libertà cfr Es 16) non tanto verso un unico ovile/recinto, ma verso una unità fondata nell’amore. In Gesù non ci sono recinti, non ci sono fortini inviolabili, come ricorda la lettera agli Efesini: “Egli è la nostra pace, colui che ha fatto dei due un popolo solo, abbattendo il muro di separazione che era frammezzo” (Ef 2,14). Il testo continua fino all’affermazione “Offro la mia vita per riprenderla di nuovo” (“per riceverla di nuovo”). L’offrire la vita, da parte di Gesù, sta nello spazio della “fede”, non di una assicurazione anticipata! Il Padre vuole che Gesù “offra” la vita, perché così potrà riceverla, perché “chi perde la sua vita la ritroverà, ma chi vuole salvarla la perderà” (Mc 8,35). Un dono, quindi, fatto nella libertà e per amore, perché quando si ama si è capaci di dare la vita per gli amati.
Gesù, buon Pastore, sa prendersi cura di me, di ciascuno di noi. Un prendersi cura che comporta il rispetto di quei limiti che abbiamo tratteggiato nelle meditazioni precedenti. È importante questo, direi consolante. Gesù si fa Pastore per guidarmi verso un significato pieno della vita e lo fa con la sua stessa vita. Potrò essere incredulo come i discepoli di fronte alla testimonianza delle prime donne (Mc 16,1-7, Pasqua), sarò dubbioso come Tommaso (Gv 20,19-31, II domenica di Pasqua), o faticherò come la Comunità di fronte alla testimonianza dei due discepoli di Emmaus (Lc 24,35-48, III domenica di Pasqua), ma il Signore, mio buon pastore, non dubiterà mai di me e mai mi abbandonerà ai “lupi” della storia, perché Lui è pastore, non mercenario. Lui è venuto a servirmi, non a servirsi di me; Lui non mira a suoi interessi, ma ai miei: mira alla mia salvezza. E come Lui, così dovrò essere io. E la «prima pecora» che il Signore affida alle mie cure sono io stesso: imparare a prendermi cura, con cuore. Sapermi amare come Gesù mi ama, nella mia concretezza, non per come io vorrei essere…Ecco, oggi siamo invitati a domandarci se stiamo veramente seguendo Gesù buon Pastore, accettando di uscire dai nostri schemi, dai nostri pregiudizi…se siamo veramente capaci di farci prossimi verso quanti sono usciti, sono fuori, lontani…dal recinto del cuore, prima di tutto, perché è facile amare chi è lontano, ma quanto è difficile amare chi ti sta a fianco.
In fondo Gesù si è preso cura di me, di noi, con tutto il suo cuore: per Lui la mia e nostra vita vale a tal punto da donare tutto se stesso per portarmi dove Lui è. È proprio questa “offerta” che rende Gesù Buon Pastore. È venuto per questo! Per salvarci, per guarirci, per perdonarci… Come Lui, così noi.
Mentre i mercenari illudono ma poi deludono, perché usano e scappano, Gesù buon Pastore dice a me e a ciascuno: “Tu mi interessi. Sei importante per me”. Oggi va di moda lo slogan «I share» (condivido/ti seguo…lo si usa per i programmi televisivi, senza contare i like nei social) quando invece dovremmo recuperare proprio il motto «I care» (Tu mi interessi, sei importante). Stiamo attenti allora i nostri recinti, spesso trasformati in fortini! Perché Gesù è venuto per tutti, per fare di noi “Una cosa sola con Lui” (Gv 17,9).
Come nell’amore Gesù recupera Pietro: “Mi ami tu?…pasci le mie pecorelle” (Gv 21), così fa con ciascuno di noi: “Ti condurrò nel deserto e parlerò al tuo cuore” (Os 2,16). Ecco, credo che Gesù buon Pastore oggi ci stia provocando a sufficienza: quando usciamo dai nostri recinti (o fortini!), ma altresì quanto il nostro sguardo e la nostra parola è accogliente e misericordiosa quando qualcuno ritorna (pensiamo alla parabola del figliol prodigo: il fratello maggiore rifiuta questo ritorno, non accetta di partecipare alla gioia del Padre, cfr Lc 15). Esperienze che ci ricordano che il cammino è lungo, perché possiamo seguire Gesù buon Pastore continuando a seguire i nostri schemi e progetti (cfr Mt 16,21-23: Pietro che non accetta di permettere a Gesù di salire verso Gerusalemme).
Per gentile concessione di don Andrea Vena. Canale YouTube.