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don Andrea Vena – Commento al Vangelo di domenica 20 Ottobre 2024

Domenica 20 Ottobre 2024
Commento al brano del Vangelo di: Mc 10, 35-45

Continuiamo il nostro cammino “dietro a Gesù”, il quale non ha fatto in tempo a spiegare quanto sia forte il rischio di lasciarsi “dominare” dalla ricchezza (domenica scorsa), che i discepoli dimostrano quanto ancora siano lontani dal vivere non solo “dietro a Lui”, ma anche e soprattutto “come Lui”.

Continua dopo il video.

Per loro, infatti, la “grandezza” è occupare i primi posti (vangelo di oggi), mentre per Gesù la grandezza è “il servizio”, è l’offrirsi in sacrificio per gli altri. Tema che spiega la scelta della I lettura, tratta dal libro del profeta Isaia: “Al Signore è piaciuto prostrarlo con dolori. Quando offrirà in sacrificio di riparazione… dopo il suo intimo tormento vedrà la luce… il giusto mio servo giustificherà molti”.

Dolore e sacrificio, che agli occhi umani paiono sconfitte, si rivelano vie privilegiate attraverso le quali Dio salva i suoi amici. Una via che Gesù ha percorso fino in fondo e che culminerà a Gerusalemme.

Una via possibile nella misura in cui si riconosce, come recita il salmo scelto dalla liturgia in risposta alla I lettura, che “Retta è la parola del Signore e fedele ogni sua opera… l’occhio del Signore è su chi lo teme, su chi spera nel suo amore…” tanto che “l’anima nostra attende il Signore: egli è nostro aiuto e nostro scudo”.

vv. 35-37: «Gli si avvicinarono Giacomo e Giovanni, i figli di Zebedeo, dicendogli: “Maestro, vogliamo che tu faccia per noi quello che ti chiederemo”. Egli disse loro: “Che cosa volete che io faccia per voi?”. Gli risposero: “Concedici di sedere, nella tua gloria, uno alla tua destra e uno alla tua sinistra”».

Giacomo e Giovanni erano pescatori, chiamati dopo Simone e Andrea (Mc 1,19), a far parte del gruppo dei Dodici (Mc 3,17). Ancora una volta, più Gesù si avvicina a Gerusalemme, più i discepoli dimostrano di non essere sintonizzati con Lui: Hanno orecchi, ma non odono, hanno occhi ma non vedono (cfr Sal 113,13; Is 44,9).

Dettaglio che ritroveremo domenica prossima con la guarigione del cieco nato. Mentre Lui va a Gerusalemme per “donare” la vita in sacrificio per tutti, i discepoli si lasciano ancora una volta prendere dalla tentazione della gloria, dall’ambizione di “sedere” nei posti di “comando”, “sulle nubi”… (cfr Mc 8,38 e 13,26: quando verrà il Figlio dell’uomo sulle nubi con grande potenza e gloria… e giudicherà).

È la terza volta che Gesù parla della sua passione e morte, e ci troviamo di fronte alla terza reazione da parte dei discepoli. Prima: Pietro che pensa secondo gli uomini e non secondo Dio (8,32); seconda: discussione su chi sia il più grande (9,32); e oggi l’ambizione di puntare a determinati privilegi.

vv. 38-40: «Gesù disse loro: “Voi non sapete quello che chiedete. Potete bere il calice che io bevo, o essere battezzati nel battesimo in cui io sono battezzato?”. Gli risposero: “Lo possiamo”. E Gesù disse loro: “Il calice che io bevo anche voi lo berrete, e nel battesimo in cui io sono battezzato anche voi sarete battezzati. Ma sedere alla mia destra o alla mia sinistra non sta a me concederlo; è per coloro per i quali è stato preparato”».

Nella risposta, Gesù rimprovera gli ambiziosi fratelli facendo comprendere la portata della loro richiesta. “Bere il calice” è immagine del destino, in senso buono o cattivo: il calice della sua rabbia (Is 51,17), ripieno di vino d’ira (Is 25,15).

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Espressioni che indicano sventura e infelicità: “Nella mano del Signore è un calice; esso porge vino aspro che fermenta. Tutti i malfattori della terra lo devono bere” (Sal 75,9; Ger 51,7…). Tanto che alla fine l’immagine verrà usata per indicare non solo la passione e la morte del Signore Gesù, ma anche il fatto che Gesù “berrà il calice” per tutti i malfattori.

“Calice” talmente duro che anche Gesù chiederà che gli sia evitato: “Abbà, Padre… allontana da me questo calice! Però non ciò che voglio io, ma ciò che vuoi tu” (14,36).

Come “bere il calice”, così “ricevere il suo battesimo” va inteso in senso metaforico, riferito al “male” che travolge la vita: “Mi circondavano flutti di morte, mi travolgevano torrenti infernali” (2 Sam 22,5). Bere il calice e partecipare al suo battesimo è dunque accettare di partecipare alla missione di Gesù, che è venuto per “bere il calice” e “immergersi” nel male del mondo per la salvezza di tutti.

Il desiderio disordinato dei due discepoli, una volta purificato, verrà esaudito a tempo debito, conclude Gesù. Nell’anno 44 Giacomo verrà martirizzato da Erode a Gerusalemme (cfr At 12,2) e Giovanni vivrà nell’isola di Patmos una lunga passione di prigioniero esiliato.

vv. 41-44: «Gli altri dieci, avendo sentito, cominciarono a indignarsi con Giacomo e Giovanni. Allora Gesù li chiamò a sé e disse loro: “Voi sapete che coloro i quali sono considerati i governanti delle nazioni dominano su di esse e i loro capi le opprimono. Tra voi però non è così; ma chi vuole essere il primo tra voi sarà schiavo di tutti. Anche il Figlio dell’uomo infatti non è venuto per farsi servire, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti”».

La reazione degli altri discepoli svela che in realtà tutti coltivavano ambizioni simili! Segno di quanto difficile sia il “cambiare dentro”, il seguire Gesù non solo con i piedi ma con tutto se stessi.

Gesù coglie questo attrito come occasione per educare ancora una volta i Dodici, e lo fa a partire dall’atteggiamento che i sovrani del mondo assumono. Gesù indica che altra è la logica e la legge che deve invece ispirare i discepoli. Non è tanto l’ambizione a occupare posti di privilegio che li deve contraddistinguere, quanto servire l’altro.

Ma c’è un ulteriore dettaglio da considerare. I discepoli, provengano dai ceti nobili o dalla categoria degli schiavi, se scelgono di stare dietro a Gesù sono tutti alla pari, una cosa sola (cfr Gv 17,21).

Fa da sfondo a tutto questo non tanto un’idea, ma la persona stessa di Gesù, il quale incarna la profezia di Isaia che la liturgia ci fa ascoltare come I lettura: “Il giusto mio servo giustificherà molti”. Gesù si offre in “riscatto per molti”.

Termine che designa il riscatto della persona divenuta schiava per debiti o prigioniero di guerra. Gesù, il Figlio dell’uomo, “paga” il riscatto al posto nostro. Lo paga “per molti”, cioè per una moltitudine. Per tutti. E ci salva.

Giacomo e Giovanni – ma in loro tutti i Dodici – dimostrano quanto sia duro e difficile sintonizzarsi con il pensiero di Gesù. Nonostante il cammino di discepolato proceda e Gerusalemme si avvicini, non sono ancora capaci – loro e tutti noi – di capire ciò che attende Gesù.

Coltivano aspirazioni e desideri personali, puntano – e forse non puntiamo anche noi? – a far sì che Gesù faccia la “nostra” volontà e non la sua, quasi a illuderci di poter addomesticare Dio.

Gesù comunque non rimprovera, ma ancora una volta educa i suoi, e lo fa formando i loro desideri, aiutandoli a purificarli affinché imparino a coltivare i suoi stessi sentimenti. Perché in fondo Gesù sa cogliere che alla radice di quel desiderio disordinato, c’è comunque una radice di bene, di bello, di buono (Rm 8,28: “Tutto concorre al bene per coloro che amano Dio”).

Per gentile concessione di don Andrea Vena. Canale YouTube.

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