don Andrea Vena – Commento al Vangelo di domenica 19 Giugno 2022

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Cosa dice la Parola/Gesù

Domenica scorsa abbiamo celebrato la solennità della santissima Trinità: abbiamo colto che quel Dio che pareva lontano e solitario in cielo, in realtà è un Dio-compagnia, Padre-Figlio e Spirito Santo, che ci rende partecipi del gioco divino della vita. Un Dio talmente vicino da farsi Eucaristia, vita spezzata e donata per noi. Il vangelo di Luca ci presenta la moltiplicazione dei pani e dei pesci o, se vogliamo dire meglio, la “condivisione” di quanto c’era a disposizione. Dice il testo che Gesù “Prese a parlare alle folle del regno di Dio e a guarire quanti avevano bisogno di cure”. Giunta la sera, i Dodici gli si avvicinarono dicendo: “Congeda la folla perché vada nei villaggi e nelle campagne dei dintorni, per alloggiare e trovare cibo: qui siamo in una zona deserta”.

I discepoli si dimostrano saggi, realistici, premurosi nei riguardi della folla, ma lo fanno nell’unico modo che sono capaci: calcolando quanta gente c’è, e valutando di non poter dare loro da mangiare. Gesù invece invita a lasciare il puro orizzonte di saggezza e ad agire nell’ottica della fede: “Voi stessi date loro da mangiare”. Sprona i discepoli ad aprire a Colui che sta bussando alla porta dei loro cuori: “Sto alla porta e busso. Se qualcuno ascolta la mia voce e mi apre la porta, io verrò da lui, cenerò con lui ed egli con me” (Ap 3,20). Ciò che serve, fa capire Gesù, non è tanto il mero calcolo, ma è la fantasia dell’amore. Ma anche il dare tutto, pani e pesci!

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Un invito che porta i discepoli a riconoscere la loro povertà: “Non abbiamo che cinque pani e due pesci, a meno che non andiamo a comprare viveri per tutta questa gente”. Un dato che possiamo cogliere è l’estrema situazione di fragilità presente nel testo che rispecchia la fragilità, la precarietà della realtà della vita umana: tanta gente, tanta fame, poco cibo. Tutto è portato al limite. Sembra che non ci siano vie d’uscita, non ci sono soluzioni. Ciò che emerge è la sproporzione tra il bisogno della folla e le reali possibilità dei discepoli. E per i discepoli l’unica soluzione è congedare la folla.

Di fronte allo smarrimento dei discepoli, al loro sentirsi frustrati di fronte alle loro “reti vuote”, ancora una volta Gesù prende l’iniziativa, come un tempo la prese in riva al lago invitandoli a prendere il largo (cfr Lc 5,1-11). Dice loro di far sedere tutta la gente e poi “Egli prese i cinque pani e i due pesci, alzò gli occhi al cielo, recitò su di essi la benedizione, li spezzò e li dava ai discepoli perché li distribuissero alla folla” (v 16). Parole che riecheggiano l’eucaristia: prese, benedì, spezzò, distribuì. Un’azione che possiamo collegare a tre fatti biblici.

A Eliseo, quando sfamò folla in tempo di carestia (cfr 2Re 4,42-44); all’ultima Cena di Gesù, quando al termine dirà “Fate questo in memoria di me” (cfr Lc 22,19: di questa Cena san Paolo ne parla nella II lettura); all’offerta a Dio di Mechisedek narrata nella prima lettura, e il dono di Abramo a lui. Poi c’è anche Emmaus, quando alla fine i due discepoli riconobbero Gesù nello spezzare il pane (cfr Lc 24,29). In tutti e tre questi eventi c’è un dato in comune: la gente ha fame di Dio, e a questa fame oggi Gesù risponde con la sua vita spezzata e donata per tutti. Gesù si fa pane, si fa cibo per tutti. E si fa abbondanza: “Tutti mangiarono a sazietà e furono portati via i pezzi loro avanzati: dodici ceste” (v. 17). Il poco diventa sufficiente per tutti, come un tempo con la vedova di Zarepta di Sidone (cfr 1Re 17), ma pensiamo anche a Gesù stesso, il quale, ricorda Paolo “Da ricco che era, si è fatto povero per voi, perché voi diventaste ricchi per mezzo della sua povertà” (2 Cor 8,9).

L’Eucaristia, però, non può essere ridotta al rito, alla Messa domenicale. Ma è paradigma, ispirazione, modello. L’eucaristia chiede di farsi vita nella nostra vita, fino a divenire vita eucaristica. Quando nelle lectio divine dico che ci troviamo alla “Cattedra dell’Eucaristia” è proprio perché l’Eucaristia deve diventare stile di condivisione nella vita quotidiana: se non c’è amore, se non c’è fraternità, se non c’è accoglienza, se non c’è condivisione…non c’è Eucaristia, è un rito vuoto: “Sento dire che, quando vi radunate in assemblea, vi sono divisioni tra voi, e in parte lo credo….quando dunque vi radunate insieme, il vostro non è più un mangiare la cena del Signore. Ciascuno infatti, quando siete a tavola, comincia a prendere il proprio pasto e così uno ha fame, l’altro è ubriaco…Volete gettare il disprezzo sulla Chiesa di Dio e umiliare chi non ha niente?…In questo non vi lodo!” (cfr 1Cor 11,18-22: il brano che precede il testo della II lettura odierna: infatti Paolo prima critica il loro modo di fare, e poi ricorda quanto Gesù ha fatto, indicando la Cena del Signore).

Gesù abbatte ogni steccato, apre a tutti le porte, rende tutti partecipi del banchetto nuovo. Non può più sussistere la logica del “ricco epulone” che mangia senza condividere con il povero Lazzaro (cfr Lc 16,19-31)! La logica dell’Eucaristia, la chiave d’interpretazione della Cena del Signore è data da quanto riporta l’evangelista Giovanni: “Si alzò da tavola, depose le vesti, lavò i piedi”. Se non c’è accoglienza e non ne segue il servizio ai fratelli, la nostra, ci dice Gesù, non è la Cena del Signore, ma è il nostro banchettare lautamente come il ricco epulone! Nell’Ultima Cena Gesù ha inaugurato un nuovo modo di ritrovarsi, di offrire, di donare: non possiamo vivere col lievito vecchio! Macol/nel pane e il vino che diventeranno Corpo e Sangue di Gesù, siamo chiamati noi stessi a divenire, per misericordia di Dio, quindi per sua grazia, dono: “Offrite i vostri corpi come sacrificio vivente, santo e gradito a Dio: è questo il vostro culto spirituale.” (Rm 12,1-2). E Paolo, sapendo le resistenze e le scuse, aggiunge: “Non conformatevi a questo mondo, ma lasciatevi trasformare rinnovando il vostro modo di pensare, per poter discernere la volontà di Dio, ciò che è buono, a lui gradito e perfetto” (Rm 12,3ss). Il discernimento, la valutazione – ricorda Paolo – non vanno compiute seguendo logiche di saggezza e calcolo umano, ma chiedono di essere un atto di fede, un mettersi davanti al Signore per capire che cosa per Lui è buono, gradito e perfetto. La povertà con la quale si è aperto il testo, alla conclusione diventa sovrabbondanza, perché tutto è possibile in chi crede (cfr Mc 9,23).

Il comando “fate questo in memoria di me” non può essere ridotto a una filastrocca da recitare, ma deve diventare criterio di vita. Il “fare” Eucarestia chiede le nostre mani, il nostro impegno, il nostro lavoro, come ci ricorda la preghiera offertoriale: “Frutto della terra e del nostro lavoro”, come Gesù aveva già detto: “Voi stessi date loro da mangiare”. Offrire il nostro poco nelle mani di Dio per poi “spezzare” e “distribuire” per tutti. Come Gesù si “spezza” per noi, noi siamo chiamati a “spezzarci” per gli altri. “Spezzarsi” nella vita quotidiana, sapendo che ogni gesto quotidiano per gli altri è “dono”-“offerta” gradita a Dio. In casa, al lavoro, nel tempo libero…tutto diventa “offerta” se entra nella logica eucaristia. Quanti “spezzano” il tempo per gli altri, a cominciare dai genitori; quanti “spezzano” il tempo per educare”; quanti “spezzano” il pane con gli affamati, quanti “spezzano” il loro impegno a favore dei più deboli, dei più bisognosi; quanti “spezzano” l’impegno per cercare giustizia, pace, verità. Quando si parte dall’Eucaristia non si può che vivere secondo la logica eucaristica, che è fatta di accoglienza, di fraternità, di condivisione e non di esclusione: “Non mescolate a favoritismi personali la vostra fede nel Signore…Supponiamo che entri in una vostra adunanza qualcuno con un anello d’oro al dito, vestito splendidamente, ed entri anche un povero con un vestito logoro. Se voi guardate a colui che è vestito splendidamente e gli dite: “Tu siediti qui comodamente”, e al povero dite: “Tu mettiti lì in piedi”…non fate in voi stessi preferenze e non siede giudici dai giudizi perversi?” (Gc 2,1ss).

Prendendo spunto da questo testo possiamo chiederci: quando celebriamo l’Eucaristia celebriamo la “Cena del Signore” o l’appuntamento è occasione per pavoneggiarci nella nostra vanagloria, abbuffandoci del nostro sentirci migliori degli altri? La Cena del Signore è ben altro: è offerta, è spezzarsi, è donarsi per tutti, a cominciare dagli ultimi, dagli esclusi, da coloro che di fronte alla legge non sono in regola (storpi, ciechi, zoppi…), ma lo sono nella logica di Dio, nella logica dell’amore, nella logica eucaristica. Senza Eucaristia non possiamo vivere, dicevano i martiri di Abilene. Ma senza Eucaristia non possiamo neppure comprendere cosa significhi vivere con la logica eucaristica. Se ci pensiamo bene, c’è stato un divorzio tra rito eucaristico e poveri/peccatori; abbiamo ridotto l’Eucaristia a premio dei perfetti – e poi chi è perfetto? – anziché pane/sostegno dei peccatori – e lo siamo tutti. Ricordiamoci una cosa: Chi dice nell’Ultima Cena “Questo è il mio Corpo” è lo stesso Gesù che dice “Ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi fratelli più piccoli, l’avete fatto a me” (Mt 25,40).

Allora sì che potremmo dire che l’Eucaristia fa la Chiesa. Perché, come ricordava don Tonino Bello, “Se la fede ci fa essere credenti e la speranza ci fa essere credibili, è solo la carità che fa essere creduti”.

Cosa rispondo io oggi alla Parola/Gesù

Colletta anno C

Signore del cielo e della terra, che ci raduni in festosa assemblea per celebrare il sacramento pasquale del Corpo e Sangue del tuo Figlio, fa’ che nella partecipazione

all’unico pane e all’unico calice impariamo a condividere con i fratelli i beni della terra e quelli del cielo. Per il nostro Signore Gesù Cristo.

Signore Gesù,

sei realmente presente nell’Eucaristia:

adoro Te, Signore.

Signore Gesù,

sei realmente presente nell’Eucaristia:

nutrimi di Te.

Signore Gesù,

sei realmente presente nei poveri:

servo Te, Signore.

Signore Gesù

aiutami a tenere sempre in considerazione quanto sia importante

adorare Te, nutrirmi di Te, servire Te.

Perché la fede ci fa essere credenti, la speranza ci fa essere credibili, ma solo la carità ci fa essere creduti

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Il commento al Vangelo di domenica 19 giugno 2022 curato da don Andrea Vena. Canale YouTube.