don Andrea Vena – Commento al Vangelo di domenica 18 Giugno 2022

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Con la solennità di Pentecoste (4 giugno) si è concluso il tempo pasquale ed è ripreso il Tempo Ordinario che avevamo  sospeso il 19 febbraio, entrando nel tempo forte della Quaresima e quindi in quello di Pasqua. Chi partecipa all’Eucaristia feriale se ne è accorto, dato che il sacerdote ha ripreso a utilizzare i paramenti di colore verde, mentre chi partecipa solo alla domenica non ha notato la differenza, perchè le prime due domeniche dopo Pentecoste sono dedicate a due  solennità che vedono ancora i sacerdoti con i paramenti bianchi, come nel tempo di Pasqua, quella della Santissima  Trinità e quella del Corpus Domini.

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Da oggi, invece, anche la domenica si sintonizza a tutti gli effetti con il Tempo Ordinario, riprendendo la lettura semicontinua del vangelo di Matteo, in modo tale che nell’arco dell’anno liturgico lo ascolteremo per intero. In questo modo la Chiesa – attraverso la Liturgia, cattedra di vita cristiana -, ci prende per mano e  nell’arco di tre anni ci fa ascoltare i tre vangeli sinottici (Marco, Matteo e Luca), mentre il vangelo di Giovanni invece è distribuito nei tre anni in occasioni di particolari festività o periodi. Scusate per questa parentesi, ma questo ci aiuta a  comprendere che la Liturgia ha un suo preciso e prezioso disegno che chiede di essere compreso per essere rispettato  e amato. Il vangelo che mediteremo oggi è ripreso dal capitolo 9 di Matteo; la prima lettura offre sempre la  chiave attraverso la quale leggere e interpretare il testo in quella determinata domenica.

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Oggi ci viene proposto  un tratto preso dal libro dell’Esodo: «Voi stessi avete visto ciò che io ho fatto all’Egitto e come ho sollevato  voi su ali di aquile e vi ho fatti venire fino a me». L’autore ricorda al popolo che Dio li ha liberati dalla  schiavitù dell’Egitto, li ha come sollevati su ali d’aquila per far loro attraversare indenni il deserto. Un’esperienza che si fa preghiera nelle parole del salmo: «…Solo il Signore è Dio: egli ci ha fatti e noi siamo suoi,  suo popolo e gregge del suo pascolo». Qui sta il fondamento della fiducia che va data a Dio: Egli è il vero  pastore, colui che si prende cura con verità e amore del suo popolo: «Dio ascoltò il loro lamento – per il fatto  che erano schiavi in Egitto -, Dio si ricordò della sua alleanza con Abramo, Isacco e Giacobbe. Dio guardò la  condizione degli israeliti, Dio se ne diede pensiero» (Es 2,24). E non lo fece una volta soltanto; infatti: «Quando  venne la pienezza del tempo, Dio mandò il suo Figlio, nato da donna… per riscattare… perché ricevessimo l’adozione a figli» (Gal 4,4-5). Ecco dunque l’approccio con il quale accostarci al testo del vangelo.

v. 36: «Vedendo le folle, ne sentì compassione, perché erano stanche e sfinite come pecore che non hanno pastore».  Come un tempo Dio ascoltò con compassione il lamento del popolo immerso nelle tenebre della schiavitù, così Gesù  ha ascoltato il popolo immerso nelle tenebre del peccato e, senza voltarsi dall’altra parte, ha accettato di ascoltare e  guardare fino a sentirne «compassione». Gesù si è lasciato dunque prendere interiormente: non un’emozione passeggera, ma profonda, viscerale. Non si è accontentato di mettere un like! La prima cosa che Egli ci insegna oggi è saper  coltivare uno sguardo attento, profondo, amorevole. Saper guardare all’altro non per quello che ha o vuol far vedere,  ma quello che è; non perché è utile e ne possiamo trarre guadagno, ma perché fratello di cammino.  Il testo sottolinea anche un secondo dettaglio: Gesù vide il popolo come «pecore che non hanno pastore». Vuoi perché  il pastore le ha abbandonate (cfr Ez 34), vuoi perché le pecore hanno scelto il pastore sbagliato! Noi siamo oggi quelle  pecore spesso senza pastore, sempre affannati nel rincorrere la moda del momento per sentirci moderni, senza accorgerci che ci facciamo rubare l’anima! Noi siamo quelle pecore che ci lasciamo accecare dai luccichii del mondo e non  accettiamo di lasciarci guidare dal vangelo di Gesù, luce del mondo.  

vv. 37-38: «Allora disse ai suoi discepoli: “La messe è abbondante, ma sono pochi gli operai! Pregate dunque il  signore della messe, perché mandi operai nella sua messe!».  

Di fronte allo smarrimento delle pecore e mosso dalla sua compassione, Gesù invita a pregare: lo chiede esplicitamente:  «Pregate… perché mandi operai nella sua messe!». Uno solo è il Padrone della messe, e solo da Lui possiamo avere/ricevere operai nella sua messe. Se oggi ci sono ancora pecore smarrite, se ci sono comunità senza pastori…è certamente  perché i giovani non rispondono, ma forse anche perché non si prega a sufficienza, affidandoci a dinamiche sociologiche, statistiche, ricreative… che poco hanno a che fare con la logica del vangelo! D’altro canto, però, tornano quanto mai attuali le parole di san Gregorio Magno a commento di questo versetto: «Per una grande messe gli operai sono pochi;  non possiamo parlare di questa scarsità senza profonda tristezza, poiché vi sono persone che ascolterebbero la buona parola, ma mancano i predicatori. Ecco, il mondo è pieno di sacerdoti, e tuttavia si trova di rado chi lavora nella messe del  Signore; ci siamo assunti l’ufficio sacerdotale, ma non compiamo le opere che l’ufficio comporta… Spesso infatti la lingua  dei predicatori perde la sua scioltezza a causa delle loro colpe; spesso invece viene tolta la possibilità della predicazione a  coloro che sono a capo per colpa dei fedeli… Vi sono altre cose, fratelli carissimi, che mi rattristano profondamente sul modo  di vivere dei pastori… Ci siamo ingolfati in affari terreni, e altro è ciò che abbiamo assunto con l’ufficio sacerdotale, altro ciò  che mostriamo con i fatti. Noi abbandoniamo il ministero della predicazione… Coloro che ci sono stati affidati abbandonano  Dio e noi stiamo zitti. Giacciono nei loro peccati e noi non tendiamo loro la mano per correggerli». I pastori che Gesù sceglie  sono chiamati per prendersi cura delle pecore, non di strutture o altro: il cammino sinodale che stiamo vivendo come  Chiesa ci aiuti a tornare all’essenziale, a recuperare la verità di ciascun carisma nella Chiesa, affinché ognuno torni a fare  ciò per cui è stato chiamato.  

vv. 1-8: «Chiamati a sé i suoi dodici discepoli, diede loro potere sugli spiriti impuri per scacciarli e guarire ogni  malattia e ogni infermità. I nomi dei dodici apostoli sono: primo, Simone, chiamato Pietro, e Andrea suo fratello;  Giacomo, figlio di Zebedeo, e Giovanni suo fratello; Filippo e Bartolomeo; Tommaso e Matteo il pubblicano; Giacomo, figlio di Alfeo, e Taddeo; Simone il Cananeo e Giuda l’Iscariota, colui che poi lo tradì. 5Questi sono i Dodici  che Gesù inviò, ordinando loro: “Non andate fra i pagani e non entrate nelle città dei Samaritani; rivolgetevi piuttosto alle pecore perdute della casa d’Israele. Strada facendo, predicate, dicendo che il regno dei cieli è vicino. Guarite gli infermi, risuscitate i morti, purificate i lebbrosi, scacciate i demòni. Gratuitamente avete ricevuto,  gratuitamente date».  

Proprio di fronte alle pecore afflitte e senza pastore, Gesù volge il suo sguardo attento verso alcuni uomini, nel suo  amore li sceglie e li chiama a prolungare nel tempo la sua stessa missione di pastore. Nella scelta dei Dodici non emergono chissà quali personalità, quali talenti: Gesù li chiama per un suo misterioso disegno d’amore. Nient’altro. Sappiamo che tra questi ci sarà chi tradirà, rinnegherà, scapperà… non perché Gesù ha sbagliato nello scegliere, ma perché  si sono lasciati ingannare da illusioni umane facendo quello che sostenevano di non voler mai fare (cfr Gen 4,7; Rm 7,20); dimenticando che all’origine della chiamata c’è una scelta del Signore: «Non temere… ti ho chiamato per nome» (cfr Is  43,1). E di fronte alla paura di sentirsi piccoli e peccatori o di sentire sproporzionata alle loro forze la missione affidata,  ancora una volta è il Signore a rassicurare: «Ti basta la mia grazia: la mia potenza infatti si manifesta nella debolezza»  (1Cor 12,9), esperienza che ha portato a dire: «Tutto posso in colui che mi da forza» (Fil 4,13). Allora con e come Maria anche noi possiamo sussurrare: «Eccomi, sono la serva del Signore, avvenga di me secondo la tua parola» (Lc 1,38). 

Come per i Discepoli, così oggi per noi: nel Battesimo siamo resi popolo sacerdotale. Tutti siamo invitati a divenire  pastori l’uno dell’altro, ciascuno col proprio carisma, col proprio dono: «Vi sono diversi carismi, ma uno solo è lo Spirito… Come il corpo è uno solo e ha molte membra… così anche il Cristo. Infatti noi tutti siamo stati battezzati un solo Spirito in  un solo corpo… E infatti il corpo non è formato da un membro solo, ma da molte membra. Se il piede dicesse: “Poiché non  sono mano, non appartengo al corpo”, non per questo non farebbe parte del corpo…tutto il corpo fosse occhio, dove sarebbe  l’udito? Se tutto fosse udito, dove sarebbe l’odorato? Ora, invece, Dio ha disposto le membra del corpo in modo distinto,  come egli ha voluto… Invece molte sono le membra, ma uno solo è il corpo. Non può l’occhio dire alla mano: “Non ho bisogno  di te”; oppure la testa ai piedi: “Non ho bisogno di voi”… Ora voi siete corpo di Cristo e, ognuno secondo la propria parte, sue  membra. Alcuni perciò Dio li ha posti nella Chiesa in primo luogo come apostoli, in secondo luogo come profeti, in terzo  luogo come maestri; poi ci sono i miracoli, quindi il dono delle guarigioni, di assistere, di governare, di parlare varie lingue…»  (1Cor 12,12-30).

Ciò che conta è imparare a coltivare uno sguardo puro e bello su noi stessi, prima di tutto: perché a volte  quelle pecore smarrite siamo noi stessi. Pecore smarrite sono i nostri sentimenti abbattuti e delusi da un momento di  crisi e difficoltà; sono i nostri pensieri che vanno dove noi non vorremmo che andassimo… Noi siamo chiamati a guardarci con amorevole compassione. A volerci bene, perché Dio, nostro pastore, ci vuole bene per primo! (1Gv 4,19). Non  dobbiamo domandarci se Dio ci vuole bene, ci ha già voluti bene! Dobbiamo partire da questo sguardo, da questa certezza. E così, sapremo volgere uno sguardo amorevole e compassionevole anche verso quanti incontriamo: «…Passandogli accanto, vide e ne ebbe compassione. Gli si fece vicino, gli fasciò le ferite… lo caricò sulla sua cavalcatura» (Lc  10,33).  

In questi mesi abbiamo sperimentato la premura di Dio: ci ha visti smarriti, ha provato compassione e si fatto Uomo per  noi pur di aiutarci a ritrovare il cammino verso il Cielo (Natale); ci ha insegnato lo stile del buon pastore che non scappa ma è pronto a dare la vita per le sue pecore (Pasqua); ha tracciato la Via di Verità che conduce alla Vita vera e ha donato  lo Spirito per renderci idonei alla missione (Pentecoste). Ora tocca a noi… fare altrettanto. Possiamo leggere tutto questo come una coincidenza, ma per il credente tutto è segno, tutto è provvidenza.  

Il commento al Vangelo di domenica 18 giugno 2023 curato da don Andrea Vena. Canale YouTube.