Con il mercoledì delle Ceneri abbiamo iniziato la Quaresima, uno dei “tempi forti” della liturgia. S’interrompe quindi il Tempo Ordinario che riprenderemo dopo Pentecoste (quest’anno il 19 maggio). La Quaresima, ricordava don Tonino Bello, è come la nostra vita in scala, in miniatura. Un cammino incastonato tra due riti: le ceneri e la lavanda dei piedi. Cenere e acqua. Una strada apparentemente lunga poco meno di due metri. Ma in verità, molto più lunga e faticosa. Perché si tratta di partire dalla propria testa per arrivare ai piedi degli altri. A percorrerla non bastano i quaranta giorni che vanno dal mercoledì delle ceneri al giovedì santo. Occorre tutta una vita, di cui il tempo quaresimale ne è la riduzione in scala».
Il cammino della Quaresima è dunque, specchio della vita. Perché la vita è un cammino lungo il quale si gioisce e si lotta, si cade per la nostra fragilità e si viene rialzati per grazia di Dio; la vita è il luogo dove a tastoni, nel cuore delle sue notti, si cerca Dio, e con sorpresa scopriamo che già Lui ci viene incontro. E quando ci sentiamo “finiti”, con Lui scopriamo che in realtà sta germogliando qualcosa di nuovo. Quando la morte giungerà, la nostra vita/chicco di grano finalmente fiorirà nella Vita Nuova. Per questo la liturgia educa all’essenzialità del vivere. Il colore viola invita a un sincero cammino di conversione; niente fiori e niente Gloria e Alleluia.
La prima lettura è il racconto della fine del diluvio, la conclusione del tempo della purificazione e l’inizio della nuova alleanza: “Io stabilirò la mia alleanza con voi” (Gn 6,18). Una sorta di “ripartenza”: nel capitolo 1 di Genesi, vv. 6-7, Dio aveva separato le acque dalla terra; con il diluvio è come se Dio annullasse questa separazione per purificare e quindiricominciare con Noè, sigillando così una nuova alleanza, indicata dal segno dell’arcobaleno. Una ripartenza che avviene a partire dal deserto, dove Gesù vince sul diavolo.
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v. 12: “E subito lo Spirito lo sospinse nel deserto…”: nei vv. 9-11 è stata descritta la scena del battesimo di Gesù (che abbiamo meditato nella domenica del Battesimo). Allora lo Spirito discese su Gesù come una colomba e una voce dal cielo disse: “Tu sei il Figlio mio…”. Ora, questo stesso Spirito, sospinge Gesù nel deserto: scelta che esprime piena solidarietà con quanti vivevano nel deserto, poveri e insicuri, deboli e fragili, lebbrosi…: “Egli doveva rendersi in tutto simile ai fratelli… per esser stato messo alla prova e aver sofferto personalmente, è in grado di venire in aiuto a quelli che subiscono la prova” (Eb 2,17ss).
v. 13: “…rimane quaranta giorni, tentato da Satana”: questo numero è simbolico. Per 40 giorni Mosè rimane con il Signore sul Sinai, digiunando (Es 34,28); per 40 giorni Elia, rinvigorito dal cibo dell’angelo, cammina verso il monte di Dio, l’Oreb (1Re 19,1-8); per 40 anni Israele è condotto da Dio verso la Terra promessa (Dt 8,2); per 40 giorni Gesù appare ai discepoli prima di ascendere al cielo (At 1,1ss). Un numero che indica un periodo lungo, fondato sul ritmo della vita.
Tentato da Satana: la tentazione avviene lungo tutto il tempo di permanenza nel deserto e punta sul suo essere Figlio di Dio e quindi sulla sua missione, come emergerà poi anche in altri passaggi (Mc 3,23 “Come può Satana scacciare Satana?.”; 8,33 “…va dietro a me, satana, tu non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini”). Ritroveremo questa stessa lotta sul monte degli Ulivi, e ancora una volta andrà a toccare la “sua missione” (cfr Mt 26,36ss).
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v. 13b: “Stava con le bestie selvatiche e gli angeli lo servivano”: che il deserto fosse abitato da briganti e bestie/rettili selvatici è nell’ordine delle cose e attraversare il deserto comportava sempre il rischio di incappare in essi (cfr Lc 10, parabola del samaritano). Ma questo dettaglio che l’evangelista Marco riporta, indica ben altro: richiama il profeta Isaia quando dichiara che “Il lupo dimorerà insieme con l’agnello, il leopardo si sdraierà accanto al capretto” (11,6-8). Un modo per esprimere che Gesù non solo vince su Satana, ma che con Lui ha inizio il tempo nuovo, il tempo escatologico. L’armonia degli inizi, quando Adamo-Eva furono posti nel mezzo del giardino (cfr Gn 2,15), viene ricomposta dalla presenza-vittoria di Gesù, una sorta di “arcobaleno” che segnala che è finito il tempo della persecuzione-solitudine ed è iniziato il tempo della riconciliazione-salvezza: “Il lupo dimora con l’agnello” (Is 11,6). Questa affermazione riecheggerà nelle parole stesse di Gesù: “Vi mando come pecore in mezzo ai lupi… quando vi consegneranno, non preoccupatevi di come o di cosa direte, perché vi sarà dato in quell’ora ciò che dovrete dire… lo Spirito del Padre vostro che parla in voi” (Mt 10,16ss).
vv. 14-15: “Dopo che Giovanni fu arrestato, Gesù andò nella Galilea proclamando il vangelo…”: questo testo lo abbiamo già incontrato e commentato nella III domenica del tempo ordinario. Gesù, vincitore su Satana, inizia a predicare nel “deserto”, ossia nelle periferie geografiche e sociali del suo tempo. Cuore del messaggio è l’affermazione il “tempo è compiuto”: ormai non c’è più nulla e nessuno da attendere, ed è giunta l’ora di “convertirsi e credere al vangelo”, di capire che è giunto il tempo di cambiare mentalità, di convertirsi, di pensare secondo Dio e non secondo gli uomini (cfr Mc 8,33).
Convertirsi perché il “tempo è compiuto”: se con Noè (I lettura) è sorto l’arcobaleno, qui è sorto Gesù, il Figlio di Dio! Se l’acqua del diluvio ha purificato e dato inizio a una nuova storia, qui abbiamo la nuova ed eterna alleanza in Gesù attraverso l’acqua del Battesimo (II lettura). Non c’è più motivo di attendere, ma solo da fidarsi e chiedere “Signore, fammi conoscere le tue vie, insegnami i tuoi sentieri” (salmo).
I testi di questa prima domenica di quaresima mi mettono fin da subito di fronte la consapevolezza che, come per Gesù, il cammino della vita è contrassegnato dalla lotta, dal recuperare e custodire continuamente la “verità” del mio essere sì fragile, ma pur sempre “figlio amato dal Padre” (cfr Mc 1,11) e che Satana, come ha fatto con Gesù, tenta continuamente di mettere in dubbio. Il fatto che Gesù sia stato sospinto nel deserto non è scontato, dato che Lui non aveva bisogno di conversione: lo ha fatto sia per obbedire alla volontà del Padre, sia per darci l’esempio di come vincere le tentazioni.
Questo mi obbliga a fermarmi un attimo e cercare di capire cosa voglia dirmi questo suo raggiungermi nel mio deserto. Lo ha fatto per stare al mio fianco, per dirmi che non sono solo, non sono dimenticato nel mio lottare e nel mio cedere. Lo ha fatto per ricordarmi che lungo il cammino, nel deserto della vita, non c’è solo la voce del Padre, ma c’è anche un’altra voce, che parla di altro: lì dove il Padre parla di sacrificio, l’altra parla di realizzazione di sé (cfr Mc 8,27-33, “Pietro… lungi da me, Satana, tu non pensi secondo Dio ma secondo gli uomini”); lì dove il Padre parla di servizio umile, l’altra voce parla di potenza e successo (cfr Gv 13,1ss “Non mi laverai i piedi in eterno”; Lc 9,51ss “vuoi che facciamo scendere un fuoco dal cielo?”; Mt 26,52sss “…Pietro, rimetti la tua spada nel fodero… pensi che io non possa pregare il Padre mio, che mi darebbe subito dodici legioni di angeli?”).
Gesù mi ricorda una cosa: un figlio è libero nella misura in cui impara a scegliere e interiorizzare la volontà del Padre. Scegliere comporta dubbio, turbamento, preghiera, memoria, discernimento… è una lotta continua per la libertà. Un impegno che mi chiede anche di rispettare i tempi di Dio, perché non sempre il mio impegno nel mettere a frutto i suoi doni corrisponde a un risultato immediato; ed è proprio in questo “scarto” di tempo che spesso Satana s’insinua facendomi sorgere il dubbio, spingendomi a non fidarmi della bontà di Dio fino a spingermi a prendere scorciatoie dove il risultato appare più a portata di mano. Ma è solo inganno! (cfr Gn 3).
Ripenso allora ai miei/nostri deserti nel tempo dell’aridità della fede, quando incontro/incontriamo fatiche e sofferenze. Ripenso al deserto che attraversiamo quando ho/abbiamo fame di amicizie vere, quando ci lasciamo abbattere dalle nostre fragilità o miraggi di benessere non raggiunti. Ripenso anche ai serpenti d’oggi che c’invitano a pensare solo a noi stessi e a “eliminare” quanti non ci permettono di sentirci liberi, contribuendo alla “cultura dello scarto”. Ebbene, Gesù mi raggiunge in questo concreto deserto per condividere con me la lotta, insegnarmi a vincere, aiutarmi a vincere.
L’evangelista Marco dice solo che Gesù lotta e vince. Non dice altro. Quasi a suggerire che in fondo il “peccato” è uno solo, quello di allontanarmi da Dio, Padre nostro, e dalla sua volontà. Il resto sono solo conseguenze. Come a dire che non sono chiamato a lottare contro i “dettagli”/le “conseguenze” del peccato, ma appoggiandomi a Gesù, devo lasciare che Lui combatta in me e per me contro Satana! Il diavolo m’inganna proprio così: spingendomi a concentrare attenzione e forze sul “singolo peccato”, ma non è così che si vince la più astuta di tutte le creature! (cfr Gn 3,1). Satana è solo un grande illusionista, un fine adulatore: punta a distogliermi dal Signore, a farmi credere che Lui sia avversario della mia gioia, e m’illude che devo “vincere” da solo sui dettagli dei peccati. Satana è sempre pronto a farmi credere giusto ciò che non lo è, e sbagliato ciò che è buono ma faticoso (cfr Rm 7,18ss “Faccio quello che non voglio…”).
Dopo il mercoledì delle ceneri, che mi ha ricordato che sono “debole/cenere” e che devo puntare la mia attenzione nel Signore (preghiera-digiuno-carità), oggi mi viene ricordato che la conversione non è conquista. È opportunità di scegliere da quale parte stare, con Chi stare. E’ abbandono nel Signore. E con Lui, posso vincere. La Quaresima si rivela allora una sorta di “palestra spirituale” durante la quale, attraverso gli esercizi della “preghiera, del digiuno e della carità” vengo allenato per imparare a vincere il male, a cogliere la voce del Padre che sussurra nel cuore (cfr 1Re 19,12ss, Elia riconosce Dio nella brezza).
APPENDICE (il cammino quaresimale)
Mercoledì delle ceneri: ci è stato ricordato che siamo “polvere” (cfr Gn 2,7), chiamati continuamente a “convertirci e a credere al vangelo” (l’imposizione delle ceneri ricorda questo). Gli strumenti/esperienza che ci vengono indicati sono: la preghiera, per fare spazio a Dio; il digiuno, perché l’amicizia con Dio m’insegna a recuperare ciò che è essenziale; la carità, perché illuminato da Dio e recuperato ciò che veramente conta, saprò condividere con gli altri quanto “non mi appartiene”.
I domenica (Mc 1,12-15):l cammino di conversione e adesione al vangelo è costellato da tentazioni e lotte. In questa esperienza che accompagna la vita, Dio è con noi perché, in Noè salvato dalle acque del diluvio (I lettura) ha stabilito un’alleanza che troverà il punto più alto in Gesù, ora alla destra del Padre, che ci salva grazie all’acqua del battesimo (II lettura). Per questo sempre possiamo cantare con il salmista: Ricordati Signore della tua misericordia, per la tua bontà, Signore.
II domenica (Mc 9,2-10): La lotta della vita non è mai fine a se stessa, ma finalizzata a raggiungere una vita autentica/trasfigurata dalla Parola: “Ascoltatelo”. Gesù è il Figlio prediletto del Padre “offerto” in sacrificio per noi. Vorrei che si notasse ora la corrispondenza tra la voce dalla nube Mc 9,7 e le parole di Dio ad Abramo Gn 22,2: “il figlio unigenito che ami”. L’offerta di Isacco da parte di Abramo, perché si rinnovi l’alleanza con Dio (I lettura), è figura dell’eterna alleanza che Dio stabilirà nel suo Figlio unigenito “consegnato in sacrificio per tutti noi”, il quale “per noi farà ogni cosa” (II lettura), tanto da poter dire con il salmista: “Ho creduto anche quando dicevo…”. III domenica (Gv 2,13-25): per giungere a questa vita “trasfigurata/autentica” è necessario passare attraverso la “purificazione” del tempio della nostra vita, un eliminare gli idoli. Non si tratta di un’opera umana, ma è la morte risurrezione di Gesù a purificare “il tempio”, inaugurando il tempio nuovo nel suo stesso corpo risorto. In questo modo il culto non sarà più un attenersi alla legge, quanto a una vita di fede espressa da una condotta bella e coerente. La legge data a Mosè, viene dunque portata a compimento/pienezza da Gesù risorto, Legge/Parola vivente, che porta il salmista a cantare: “La legge del Signore è perfetta, rinfranca l’anima” e a “predicare Cristo, crocifisso e risorto” (II lettura).
IV domenica (Gv 3,14-21): qualcuno potrebbe sentirsi “escluso” ma sbaglia. Il Signore è venuto per dare la vita per tutti, per salvare tutti noi: basta fare una scelta di fede, evitando di lasciarsi contaminare dalle opere di quanti vivono nelle tenebre (I lettura), e abbracciando colui che è la nostra Luce, Gesù, grazie al quale siamo salvati (II lettura): questa è la nostra gioia! Per questo “Mi si attacchi la lingua al palato se lascio cadere il tuo ricordo, Signore” (salmo).
V domenica (Gv 12,20-33): Gesù si presenta come quel chicco di grano che chiede di essere gettato per morire e portare frutto. È la sua “ora” di obbedienza totale al Padre, che lo glorificherà. In questo modo si concluderà l’alleanza nuova e definitiva e Dio non ricorderà più il peccato dell’uomo (I lettura). Imparando l’obbedienza, Gesù divenne causa di salvezza per tutti, sigillando l’eterna alleanza (II lettura) non su tavole di pietra, ma direttamente nei cuori: “Crea in me o Dio, un cuore puro” (salmo).
Domenica di Passione, “Portale” della settimana santa. Compreso che siamo “deboli” (Le ceneri), sempre in lotta tra il bene e il male (I dom), ma senza rinunciare a puntare sempre verso l’alto (II dom), forti della gioia che il Signore ci ha salvati (IV dom), e consapevoli che tutto questo lo abbiamo ricevuto gratuitamente da Gesù (V dom), non resta che accettare di partecipare alla sua “passione” (Le palme).
Si tratta, cioè, di accettare di mettersi “dietro a Lui” nel momento più cruento, evitando di rinnegare, di tradire, di scappare. Ne vale la credibilità della nostra testimonianza.
Triduo Pasquale: Lo “stare dietro”, comporta entrare nella sua logica.
Giovedì santo: partecipare al banchetto dove Lui si fa dono: qui impariamo a renderci capaci di farci noi stessi dono gli uni per gli altri, sapendo comprendere e vivere, come suggeriva don Tonino Bello, la “grammatica dell’Eucaristia”, ossia la Messa come la intendiamo; ma anche la “logica dell’Eucaristia” che è farsi servizio, espressa nella lavanda dei piedi: “Vi ho dato l’esempio…perché lo facciate anche voi”.
Venerdì santo: “stare dietro”, che chiede di imparare a seguire Gesù e, sull’esempio della Vergine Maria, stare “ritti in piedi” anche sotto la croce.
Sabato santo: camminare chiede anche la capacità di fermarsi, di attendere, di ritrovarci. Il silenzio di questo giorno è forse il più difficile. Vivere nell’attesa.
La notte tra il sabato e la domenica: Pasqua! Solo chi vive nell’attesa, incontra il Risorto, come la Maddalena. E, incontrato, non si può che andare ad annunciare di averLo visto e toccato. È la gioia della testimonianza della vita.
Per gentile concessione di don Andrea Vena. Canale YouTube.