don Andrea Vena – Commento al Vangelo di domenica 16 Ottobre 2022

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Celebriamo oggi la XXIX domenica dell’anno liturgico: mancano quindi ancora cinque domeniche per concludere  l’anno liturgico. Se ricordiamo, a fine giugno abbiamo iniziato a “seguire” Gesù che con passo deciso si dirigeva  verso Gerusalemme, dove avrebbe poi trovato la morte in croce. Ma la città di Gerusalemme non era solo una meta  geografica, ma era soprattutto meta simbolica: rimanda alla Gerusalemme del Cielo, dove Gesù è salito alla destra  del Padre, regnando quale Re dell’Universo. Si comprende così il perché di questa festa al culmine dell’Anno Liturgico. Seguire Gesù, lasciarci orientare dalla sua Parola, imitare i suoi gesti… è garanzia per partecipare alla gioia  del Banchetto al quale Gesù stesso, Re, c’invita e che è anticipato nel sacramento dell’Eucaristia.  La prima lettura di oggi, tratta dal libro dell’Esodo, come ogni domenica dà introduzione ed è chiave di lettura del vangelo. 

Il commento continua dopo il video.

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Siamo nel deserto, e Amalek viene a combattere contro il popolo d’Israele. Mentre Giosuè con un gruppo di uomini  combatte, Mosè sul monte prega: “Quando alzava le mani, Israele prevaleva; ma quando le lasciava cadere, prevaleva AmalekPoiché Mosè sentiva pesare le mani, presero una pietra, la collocarono sotto di lui ed egli vi si sedette,  mentre Aronne e Cur, uno da una parte e uno dall’altra, sostenevano le sue mani… Giosuè sconfisse Amalek”. Questa  breve scena fa capire che la battaglia non fu vinta tanto da Giosuè, quanto dalla preghiera insistente di Mosè,  quanto mai convinto – come risponderemo nel salmo – che “Il mio aiuto viene dal Signore”.  

1 : «Gesù diceva ai suoi discepoli una parabola sulla necessità di pregare sempre, senza stancarsi mai».  Gesù non solo invita a pregare, ma a farlo con insistenza, senza stancarsi. Non si tratta quindi semplicemente di  dire alcune preghiere, ma di pregare, che è cosa ben diversa. Recitare alcune preghiere è limitarsi a dire qualche  formula, per poi tornare a immergersi nelle proprie cose. Pregare, invece, significa portare ogni cosa dentro la  preghiera, e da essa lasciarsi guidare, cioè portare/mettere tutto davanti a Dio, in Dio, e da Lui farci guidare. Può  sorgere una domanda: perché questo tema? Perché, come dicevamo, ci stiamo avvicinando al termine del cammino, dell’anno liturgico: e a volte si crede che il più è fatto, e si comincia a rilassarci. Invece è proprio nelle ultime  battute, gli ultimi minuti che si vince. Ecco allora che la preghiera è saper riporre al centro l’amicizia con Dio, essenziale per vincere ogni battaglia.  

2-8: “In una città viveva un giudice, che non temeva Dio né aveva riguardo per alcuno. 3In quella città c’era anche una vedova, che andava da lui e gli diceva: “Fammi giustizia contro il mio avversario”. 4Per un po’ di tempo egli non volle; ma poi disse tra sé: “Anche se non temo Dio e non ho riguardo per alcuno, 5dato che questa vedova  mi dà tanto fastidio, le farò giustizia perché non venga continuamente a importunarmi””. 6E il Signore soggiunse: “Ascoltate ciò che dice il giudice disonesto. 7E Dio non farà forse giustizia ai suoi eletti, che gridano  giorno e notte verso di lui? Li farà forse aspettare a lungo? 8Io vi dico che farà loro giustizia prontamente. Ma il  Figlio dell’uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?”. 

Diciamo subito che questa è la seconda volta che Gesù presenta una parabola per spiegare l’importanza di insistere nella preghiera. La prima volta è stata nel capitolo 11 di Luca, che abbiamo ascoltato il 24 luglio. Lo faceva con una  parabola dedicata all’uomo importuno che va a bussare all’amico nel cuore della notte per chiedere alcuni pani. Ebbene, se all’inizio questi non vuole darglieli, alla fine cede per l’insistenza. Così come questa vedova! E troveremo  un terzo appello al capitolo 21 di Luca, quando Gesù invita a pregare-vegliare in ogni momento: «Vegliate e pregate in ogni momento, perché abbiate la forza di stare in piedi davanti al Figlio dell’uomo» (cf. Lc 21,36). Prima di entrare nel significato del pregare sempre, vorrei porre l’attenzione sulla protagonista di questa parabola,  la vedova. Gesù non sceglie a caso i soggetti. La vedova era un’esclusa, una persona senza diritti: diremmo oggi,  una scartata dalla società. Gesù dunque presenta un caso limite e mostra che chiunque, al di là della condizione di  vita, può pregare e ottenere.

La condizione della vedova ci suggerisce un altro aspetto. Sebbene “scartata”, lei non ha né temuto né si è vergognata di portarsi davanti al giudice. Così anche noi, non dobbiamo né temere né vergognarci di stare davanti al Signore col carico della nostra debolezza e fragilità, della nostra condizione di peccatori.  Siamo invitati a manifestare la nostra debolezza al Signore e lasciarci trasfigurare dal Suo amore misericordioso.  Infine, dall’insistenza della vedova, possiamo cogliere anche la sua fede. Lei non si stanca di chiedere al giudice ciò  che le aspetta per diritto. Così anche noi non dobbiamo stancarci di chiedere, sapendo che la preghiera non serve  tanto a far cambiare idea a Dio, quanto a far e cambiare idea a noi, nel senso di farci comprendere che al di là di  quello che viviamo, che Dio non si stanca di noi. E’ con noi, al di là di quello che possiamo fare a causa della fragilità  umana. La preghiera continua, quindi, serve ad educarci alla consapevolezza che viviamo in Lui e con Lui. E solo  questo ci aiuterà poi a vivere per Lui.  

Se ripensiamo e riprendiamo il messaggio della prima lettura, a far vincere Israele in battaglia non è stato Giosuè  con i suoi uomini, quanto le mani alzate di Mosè. È l’immagine di cosa può fare la preghiera insistente. Per far  fronte alla stanchezza, a Mosè viene offerta una pietra dove sedersi e i due amici accanto a lui gli sostengono le  braccia. Domandiamoci: qual è la pietra della nostra vita che ci permette di trovare ristoro? Chi sono i “due amici”  che ci sostengono durante la lotta affinché il nemico non vinca? 

La vedova si reca innanzi al giudice e affronta la sua battaglia affinché sia fatta giustizia. Anche nel nostro cuore c’è una continua battaglia affinché sia fatta giustizia. C’è in noi una costante lotta tra il bene e il male,  tra la dimensione carnale e quella spirituale. Riprendendo l’immagine della vedova, potremmo dire che la dimensione spirituale bussa con insistenza alla porta del cuore di Dio affinché la dimensione carnale non abbia il sopravvento. La dimensione spirituale chiede il suo spazio nella vita, chiede di essere riconosciuta e rispettata, perché sa  bene che non siamo solo un grumo di cellule, ma siamo il Sogno di Dio! Di quel Dio che ci ha fatti come un prodigio,  a sua Immagine e somiglianza. E che ora attende – per un diritto di giustizia – di veder sprigionare dal nostro cuore  tutto il bene, il vero, il bello ivi custodito. Pregare incessantemente significa non dimenticare mai questa verità.  Non lasciarci mai mettere all’angolo dalla dimensione carnale o da quanti vorrebbero classificarci semplicemente  come peccatori, scarti, impossibilitati nel bene. 

Nella parabola, il giudice tarda a dare risposte, così come l’amico tardava a dare risposte all’amico importuno; in questo “ritardo” possiamo vedere la nostra dimensione creaturale, legata alla terra che, pur di non  cambiare, “tarda” a dare risposte all’anelito dello spirito che vive in noi, e noi ci ritroviamo come sospesi. La dimensione carnale crede di potersi gestire come ritiene, facendo finta che non ci sia una dimensione superiore, quella  spirituale. Capita un po’ come nella società odierna, dove si da poco spazio allo spirituale perché lo si reputa cosa  privata, e così capita in noi. Il maligno opera per confondere, ma la preghiera insistente può rompere questa con dizione di stallo. Ma bisogna crederci! E non importa se questo avviene pian piano, se ci sono o ci saranno ricadute… non dobbiamo demordere, non dobbiamo dimenticare ciò che ci spetta di diritto. Come la vedova, non demordiamo: “Se lo Spirito di Dio abita in voi, non siete più nulla carne ma nello Spirito…Avete ricevuto lo Spirito di adozione  per il quale gridiamo ‘Abbà, Padre’… Se siamo figli, siamo anche eredi, eredi di Dio…” (Rm 8,9). Nessuno potrà quindi  separarci da questa certezza (cfr Rm 8,31ss). A noi, come ricorda san Paolo a Timoteo nella seconda lettura, “re stare saldi in quello che abbiamo imparato e che crediamo…” (2Tm 3,14).  

Ma come nella vita interiore, questa dinamica si sviluppa nella vita sociale e politica, dove i piccoli e i  poveri, gli scartati della società bussano e gridano alle porte di coloro che “lautamente mangiano”. Ma ci sono i  poveri e i Paesi poveri che gridano, e i ricchi e i Paesi ricchi che tentennano, che calcolano, che valutano… per  difendere interessi e non la dignità delle persone. E anche se apparentemente pare che Dio non risponda, che sia  da un’altra parte, in realtà ascolta questo grido, e arriverà sempre il momento in cui darà a ciascuno secondo le sue  opere, come ci è stato ricordato domenica scorsa con il ricco epulone e Lazzaro.  

8b: Ma il Figlio dell’uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?”.

Gesù conclude il brano con una domanda provocatoria. Siamo talmente appiattiti sull’oggi, presi dalle cose effi mere della vita che ci dimentichiamo di amministrare correttamente il bene della vita che abbiamo ricevuto (cfr  due domeniche fa); ci dimentichiamo che siamo Fratelli tutti e non possiamo permetterci di voltarci dall’altra parte  (cfr domenica scorsa)… E Gesù oggi ci sprona ancora una volta. In fondo, ciò che emerge, non è tanto il fatto che  Dio risponda o meno. Ciò che conta è un’altra domanda: dove siamo noi? Dov’è il nostro desiderio di Lui?

Il commento al Vangelo di domenica 16 ottobre 2022 curato da don Andrea Vena. Canale YouTube.