La I lettura, tratta dal libro del profeta Ezechiele, ci presenta una sorta di paradosso. Dio è capace di prendere un ramoscello di un cedro e piantarlo sulla cima di un monte affinché diventi un grande albero. In natura questo non è possibile, almeno per il cedro, ma quello che il Signore vuole far capire è che il risultato non dipende dalle regole ma dalla Sua forza, come si evince dalla conclusione del testo: “Io, il Signore, ho parlato e lo farò”. Non ci sono altre ragioni: semplicemente così ha voluto Dio. Perché Egli non guarda all’apparenza, ma al cuore (1Sam 16,7). Ed è proprio la fantasia di Dio, il suo sorprenderci che si fa lieta notizia, si fa preghiera di lode nelle parole del salmo: “E’ bello rendere grazie al Signore… per la sua fedeltà”. In questa cornice, ci accostiamo al testo del vangelo.
Ascolta “don Andrea Vena – Commento al Vangelo di domenica 16 Giugno 2024” su Spreaker.v. 26: “Il regno di Dio: come un uomo che getta il seme sul terreno; dorma o vegli, di notte e di giorno, il seme germoglia e cresce. Come, egli stesso non lo sa”.
Quest’uomo si ritira dopo aver compiuto il lavoro del campo e lascia il seme a se stesso. Non viene dato peso e valore al lavoro dell’uomo: arare, seminare, irrigare…: l’attenzione è data a quel “seme gettato”.
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v. 27: “Il terreno produce spontaneamente prima lo stelo, poi la spiga, poi il chicco pieno nella spiega; e quando il frutto è maturo, subito egli manda la falce, perché è arrivata la mietitura”. L’uomo ritorna nel campo solo alla fine, quando il frutto è maturo: la crescita del seme che diventa frutto chiede fiducia e capacità di attesa. A tale riguardo, torna utile rileggere il testo di Mc 13,33- 37, dove Gesù invita alla vigilanza, affidando a ciascuno dei servi il proprio compito, e ordinando di vegliare perché nessuno sa quando lui tornerà. Non un’attesa vissuta nell’ozio, dunque, ma nella vigilanza, che è un’arte difficile da coltivare e vivere.
v. 31: “Il regno di Dio è come un granello di senape che quando viene seminato sul terreno è più piccolo di tutti i semi che sono sul terreno; ma quando viene seminato, cresce e diventa più grande di tutte le piante…”.
Un esempio che fa ripensare all’esperienza di Davide contro Golia (cfr 1Sam 17,33ss), dove il più piccolo e debole alla fine vince perché sa su Chi contare, a Chi affidarsi.
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Nel riprendere il cammino ordinario, dopo aver gioito e goduto della risurrezione di Gesù e del dono dello Spirito Santo, il Signore vuole farci comprendere che, pur nel mondo, non dobbiamo appiattirci alla logica del mondo e ai suoi pensieri (cfr Gv 17,14; cfr Is 55,8). Nelle due parabole descritte nel vangelo il Signore ci ricorda che, con la Sua venuta, il Regno di Dio è già presente, ma non tutti lo individuano perché non sanno usare i giusti strumenti per cercarlo e trovarlo. Il regno di Dio, ricorda san Paolo, “Non è questione di cibo o di bevanda, ma è giustizia, pace, gioia nello Spirito Santo” (Rm 14,17).
Il profeta Ezechiele ce lo ha ben ricordato: non è per un germoglio che quell’albero cresce e diventerà grande, ma perché “Dio lo ha detto e lo ha fatto”; e così non è perché l’uomo del vangelo ha lavorato di più, che quel seme ha portato frutto, ma perché in quel seme c’è già l’energia che Dio ha immesso nella sua creazione. Nelle cose di Dio c’è sempre qualcosa di spontaneo, che noi però non cogliamo. Non significa che non si debba lavo rare, ma che non è sufficiente. Servono anche alcuni atteggiamenti di fondo da custodire e colti vare, e che danno il ritmo alla vita: “Prima lo stelo, poi la spiga, poi il chicco pieno nella spiga”.
Due sono gli aspetti da considerare: l’attesa riguardo al seme, tenuto conto che ha un’ener gia sua propria, grazie alla quale porterà frutto; in secondo luogo il terreno perché questo custo disce il seme e gli permetterà di giungere a maturazione.
Con questa “grammatica” dell’agricoltura, Gesù vuole offrirci un insegnamento importante. Quell’uomo sono io, siamo noi che di fronte al “terreno” della vita possiamo decidere di restare chiusi e ripiegati nei nostri interessi, nel nostro peccato, nei nostri fallimenti e paure, oppure aprirci a Lui e quindi alla salvezza, sapendo che ogni “terreno” è “cosa molto buona” (Gn 2), al di là di quello che pensiamo. Il “terreno”, come un grembo, custodisce un seme di vita nuova e di eternità che non dipende da noi, ma è un dono che Dio ha già posto in noi.
Basterebbe aprire gli occhi della fede! Quante volte siamo portati a giudicare o etichettare le persone ritenendole distratte, vuote di valori, incapaci di “fiorire”, e poi ci sorprendiamo quando vediamo che operano nel nascondi mento! Anche san Filippo Neri faceva tante stravaganze per far credere di essere un po’ folle, solo perché tutti lo reputavano santo! Non dobbiamo allora abbatterci perché non valiamo niente o affannarci chissà per cosa (cfr Lc 10,38ss), ma riconoscere che a Dio nulla è impossibile, che Lui inter viene con la sua forza e la sua fantasia: “Io, il Signore, ho parlato e lo farò”.
In me, in ciascuno di noi sono seminati e custoditi dei semi che, a contatto con il messaggio del Vangelo, sprigionano tutta la loro forza e bellezza, al di là di tanti stratagemmi: “dorma o vegli di notte o di giorno il seme germoglia e cresce come egli stesso non lo sa”. L’uomo rimane una potenzialità di amore e di vita, che non basta però “capire”, ma chiede di essere colta e quindi di “cambiare vita”. Troppo spesso, invece, a livello personale, familiare, ecclesiale… siamo talmente presi dai nostri progetti… illusi che il Regno di Dio dipenda solo dai nostri sforzi, dalle nostre analisi, dai nostri stratagemmi e, perché no, dai nostri piani pastorali… e non ci accorgiamo o sottovalutiamo che il Regno di Dio è già presente.
Si tratta di scoprire, stupirsi e adorare. Vorrei qui servirmi di due citazioni: una la traggo da sant’Ignazio di Loyola: «Agisci come se tutto dipendesse da te, sapendo poi che in realtà tutto dipende da Dio»; la seconda la prendo da Il Piccolo Principe, quando dice “L’essenziale è invisibile agli occhi”. Due citazioni che bene sintetizzano e offrono una bella chiave di lettura. Faccio un esempio: Madre Teresa di Calcutta non aveva chissà quale potere o quali possibilità economiche, eppure ha segnato la storia. A dimostrazione che il germoglio di vita eterna posto dal cielo, agisce in silenzio e con piccole cose.
Ma vorrei fare un ulteriore passaggio. Se è vero che nulla capita “per caso” ma tutto è provvidenza, ripensiamo per un istante al cammino fin qui compiuto, anche perché la logica del Natale e della Pasqua non va archiviata con facilità. Se oggi Gesù ci chiede di farci piccoli, non è per lanciare una moda. Gesù stesso, “germoglio di Jesse” (Is 11,1), si è fatto piccolo e povero nel Bimbo di Bet lemme (Natale), a tal punto che i Magi, seguendo la “logica degli uomini”, inizialmente lo hanno cercato nel palazzo di Gerusalemme, e solo poi, fissando nuovamente lo sguardo alla “stella”, lo hanno trovato in una grotta a Betlemme.
Così oggi Gesù continua a farsi “piccolo” nell’Eucaristia, per aiutarci a dilatare il cuore, e ritrovarlo presente “nei piccoli” (cfr Mt 25). Il nostro farci piccoli, quindi, è seguire le orme di Colui che è l’Infinitamente Piccolo. In secondo luogo la passione e morte di Gesù parevano fallimentari agli occhi degli uomini, tanto che i discepoli han cercato prima di di stogliere Gesù da una tale fine (passione e crocifissione), e poi sono scappati. Solo alla fine han capito che la vittoria doveva necessariamente passare per quel percorso (Risurrezione/Pasqua).
In questi primi mesi, Gesù ci ha insegnato “la grammatica della vita spirituale” e ora chiede di applicarla: non possiamo ridurre il farsi piccolo di Gesù all’emozione di un giorno (Natale), ma il suo atteggiamento chiede di farsi in noi criterio di vita. Il farsi “piccoli” come Lui è condizione essenziale per entrare o essere esclusi dal Regno: “Se non vi convertirete e non diventerete come bam bini non entrerete nel regno dei cieli”(Mt 18,3).
Una scelta che chiede di essere assunta senza il timore di “perdere”, di essere “crocifissi” dalle logiche del mondo, dagli insulti, perché di tutto questo Gesù ci ha già informato: “Chi vuole venire dietro a me rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua” (Lc 9,23); “Hanno perseguitato me perseguiteranno anche voi”, Gv 15,20: è la dinamica pasquale). Non è via fallimentare il “farsi piccoli”, ma via evangelica, via di salvezza: “Chiunque diventerà piccolo come questo bambino, sarà il più grande nel regno dei cieli” (Mt 18,4); I piccoli “vi passano avanti nel regno di Dio” (Mt 21,31; cfr Mt 5: “beati i poveri in spirito”; Sal 131: “Non vado in cerca di cose grandi, né meravigli più alte di me. Come bimbo svezzato…è l’anima mia”) Se non troviamo i segni/germogli del Regno dei Cieli qui in terra forse è perché, come i Magi, cerchiamo nei posti sbagliati, dove siamo attratti per comodità, piacere, interessi. Allora oggi ci viene ricordato di uscire “dai nostri palazzi” fatti di illusioni e sogni, e cercare il Signore dentro la storia, forti di una certezza: Lui è fedele alla sua promessa, “Io sono con voi fino alla fine”. Ma noi siamo fedeli a Lui e alla sua Logica evangelica?
Custodiamo nel cuore il mistero del Natale, ci facciamo piccoli?
Custodiamo nel cuore il mistero d’amore della passione-morte-risurrezione di Gesù, Pasqua, per affrontare con fiducia e speranza anche le fatiche e le resistenze della vita? Custodiamo nel cuore il mistero della Pentecoste, ascoltando il Maestro interiore/lo Spirito Santo, che parla nel nostro cuore? In una battuta: stiamo custodendo la gioia nella consapevolezza che la nostra vita è immersa in un mistero di Amore (Santissima Trinità), sostenuta dal Pane degli Angeli, l’Eucaristia/Corpus Domini, il pane dove i peccatori trovano sollievo, consolazione e forza per divenire ciò che sono: cristiani. Innamorati del Signore! Forse il mondo non se ne accorgerà, ma il credente sarà quel “germoglio” di vita nuova capace di cambiare la storia (cfr Is 43,11).
Per gentile concessione di don Andrea Vena. Canale YouTube.