Cosa dice la Parola/Gesù
Siamo giunti alla V domenica di Pasqua. L’itinerario liturgico – Scuola di vita fin qui compiuto ci ha permesso innanzitutto di prendere atto che Gesù è risorto, è vivo! Questo è il fondamento della nostra fede: come la pietra del sepolcro è stata ribaltata, così non ci sarà pietra – che siano le fatiche, le difficoltà, le cadute… a impedirci di vivere una vita di gioia e di speranza: nulla potrà più inchiodarci nelle nostre fragilità: il Signore sempre è pronto a rialzarci per riprendere il cammino (Domenica di Pasqua). Certo, non si tratta di una “bacchetta magica”, ma di un itinerario che chiede tempo, crescita, fiducia e aiuto del Signore risorto, come ci ha testimoniato l’esperienza di Tommaso, grazie al quale abbiamo compreso che non serve vedere-toccare per credere, ma che credendo possiamo vedere-toccare la presenza di Dio in ogni momento (II domenica di Pasqua, 24 aprile). Questo è possibile nella misura in cui impariamo a vivere con profondità, maturità, vigilanti per cogliere la presenza di Gesù lungo la riva della nostra vita (III domenica, 1° maggio). Un cammino lungo il quale non saremo soli e disorientati, ma dove Gesù stesso si fa nostra Guida, nostro buon pastore (IV domenica, 8 maggio).
A noi è chiesto di restare uniti, crescere nella fiducia reciproca, facendo della condivisione un tratto distintivo del nostro essere discepoli del risorto, come ci ricorda l’esperienza dei primi discepoli raccontataci nella I lettura di oggi, tratta dagli Atti degli Apostoli: “Riunirono la Chiesa e riferirono tutto quello che Dio aveva fatto per mezzo loro e come avesse aperto ai pagani la porta della fede”. Si noti che il protagonista è Dio: “Quello che Dio aveva fatto…”: il discepolo del risorto riconosce che la trama della vita è Dio a tesserla. Non un Dio-padrone, ma Padre amorevole, come emerge dal testo di Giovanni: “Figlioli”, dove il termine originale è ancor di più grande impatto: “Figliolini”. E’ un appellativo che sta ad indicare la confidenza tra Gesù e i suoi discepoli. Con questa premessa, che ci ha concesso di contestualizzare il vangelo, entriamo nel testo.
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vv. 31-32: «“Quando Giuda fu uscito dal cenacolo, Gesù disse: “Ora il Figlio dell’uomo è stato glorificato, e Dio è stato glorificato in lui. Se Dio è stato glorificato in lui, anche Dio lo glorificherà da parte sua e lo glorificherà subito”».
L’avverbio di tempo “Ora” rivela che Gesù ha glorificato Dio e che Lui stesso, il Figlio, è stato glorificato. Se notiamo con attenzione, questo avviene quando Giuda tradisce e quando Pietro rinnega. Insomma, è incastonato da due momenti di fragilità, di buio. Ebbene, la gloria di Dio sta nel fatto che Gesù anziché reagire al male col male, reagisce con misericordia, secondo il comandamento dell’amore che Lui stesso vive e mostra come vivere. Questo è il modo con cui Gesù glorifica il Padre: amando. E, «“subito” – dice il testo – Dio lo glorificherà”». Ancora oggi il cristiano, il discepolo del risorto, è invitato a glorificare Dio sull’esempio di Gesù, obbedendo al Padre del cielo. Un’obbedienza che pare illogica agli occhi umani, ma è nell’unica logica di Dio che è amore.
vv. 33: «”Figlioli, ancora per poco sono con voi”».
Non si tratta di una semplice durata cronologica, come a dire “tra poco vado via”, quanto un’espressione che richiama i profeti quando annunciavano che il “tempo si fa breve” prima che giunga la salvezza (cfr Is 10,25). In Giovanni questa espressione la troviamo più d’una volta (cfr Gv 7,33, 12,35, 14,19). Anche per noi dunque il tempo si fa breve, è tempo di abbracciare la causa del Vangelo, la causa stessa di Gesù: “il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino: convertitevi e credete al vangelo” (Mc 1,15).
34-35: «”Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri. Come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri. Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli: se avete amore gli uni per gli altri”».
Prima che essere un comandamento l’amore è un dono: “Vi do”: “Come il Padre ha amato me, così anch’io ho amato voi” (Gv 15,9). La sorgente dell’amore è dunque il Padre che ama Gesù, il quale nel suo “vi do” dona tutta la sua vita, quella che vive dall’eternità con il Padre e lo Spirito: Gesù dà la vita per noi. La novità di questo comandamento sta nel fatto che è legato alla “nuova alleanza”: “Questo calice è la nuova alleanza del mio sangue, che è versato per voi” (Lc 22,20, che realizza la profezia di Geremia. “Ecco, verranno giorni, oracolo del Signore, nei quali…concluderò un’alleanza nuova”, Ger 31,31 ). Gesù ha inaugurato la “nuova alleanza” nel suo sangue, cioè nel dono della sua vita: ecco, il comandamento nuovo, è nella logica del dono, del servizio, dell’amore. In questo “comandamento-dono” c’è tutto il suo testamento. La nuova alleanza non è una regola nuova, ma una vita nuova: vita donata. E qui sta la “differenza cristiana” o, invertendo i termini, la vita cristiana si fa differenza: una vita che sull’esempio e l’aiuto di Gesù si fa dono, e da questa differenza il discepolo di Gesù viene riconosciuto: “Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli”, conclude il vangelo (v. 35). I discepoli del risorto sono coloro che partecipano alla vita di Gesù, alla sua novità, al suo dinamismo. Ecco dov’è custodito il segreto della gioia del credente in Gesù, del suo ottimismo: accogliere la vita come un dono, donare la vita in dono. Che è in fondo la logica dell’Eucaristia, quando Gesù si dona nel pane e nel vino che diventano suo corpo e sangue, ossia vita donata. San Giovanni lo mostra visibilmente nel racconto della lavanda dei piedi di Gesù ai discepoli (cfr Gv 13). Quando poi i discepoli si ritrovano per condividere quanto Dio stesso ha compiuto per mezzo loro (cfr I lettura), non fanno che condividere quanto l’amore vince sull’odio, quanto la luce vince sulle tenebre (cfr versetto iniziale: Gesù pronuncia queste parole quando Giuda esce dal cenacolo, ed è notte).
Non sono le parole, i discorsi, le omelie che cambiano la vita, ma è quando l’amore si fa parola-vita che tutto cambia. Infatti l’evangelista usa il verbo “agape” (amore senza contraccambio) e non “filia” (amare di amicizia: ti voglio bene perché tu mi vuoi bene). È questo amore libero e gratuito fino a sembrare uno spreco, che farà la differenza cristiana, come un tempo lo fece la donna entrata in casa che versò olio profumato e costoso ai piedi di Gesù e che Giuda etichettò come un inutile spreco (cfr Mc 14,3ss). Cosa che rischiamo di fare anche noi quando cominciamo a mettere dei paletti alla logica dell’amore: si, ma. Dove c’è sempre il rischio, la tentazione che la logica umana prenda il sopravvento sulla logica di Dio.
Il ritrovarsi dei discepoli descritti nella I lettura è un ritrovarsi riconoscendo l’agire amorevole di Dio dentro la vita: e così dovrebbe essere per noi. Invece, talvolta, il nostro ritrovarsi è per parlarci addosso, fare progetti, anche pastorali costruiti nella nostra testa, è per organizzare chissà quali iniziative…per poi domandarci – se e quando si fanno le verifiche perché non hanno funzionato o, se hanno funzionato, perché non hanno retto nel tempo. Confrontandoci con la parola odierna, forse capiamo che stiamo sbagliando qualcosa. Urge ripartire dal Signore Gesù, perché «“Lui solo è la vita della mia vita: In Lui si assomma tutto quello che io vorrei, tutto quello che io cerco”. In fondo a coloro che incontrano Gesù siano essi la samaritana, Zaccheo, la Maddalena, il giovane ricco… Gesù non chiede preventivamente coerenza di comportamenti o certificati di buona condotta, chiede di legarsi alla sua persona, di lasciarsi abbracciare da un amore che non pone condizioni e non conosce confini”» (Lepori).
Finché il nostro ritrovarci non sarà un leggere la realtà nella quale siamo immersi e scoprire/condividere la gioia di quanto Dio opera in noi, attorno a noi, e fuori di noi…non andremo lontano. “Benedirò il tuo nome per sempre, Signore”, canteremo nel salmo. Ciò che conta è amare e amarsi come Lui, “Come io ho amato voi”, non raccontare quanto bravi siamo noi! L’amore che Gesù ci “da’” ha un “come”: il modello è Gesù stesso. C’è amore e amore…noi siamo chiamati ad amare “come Gesù”. Non dunque un amore “occasionale”, generico, ma quello di Gesù, “come” Lui stesso ha vissuto accogliendo tutti, morendo-donandosi in croce, perdonando i nemici. La proposta di Gesù non è una teoria tra le tante, ma è vita concreta, reale, vincente! E la risurrezione dice che è una proposta vincente, l’unica vincente, visto che è un amore che “ha ribaltato” anche la pietra della morte! L’amore di Gesù ribalta ogni logica!
Gesù ha amato “come” il Padre ha indicato. Amare “come” Lui significa imparare a dirigere le nostre forze, le nostre energie in modo ordinato verso una unica direzione: il Padre. A volte noi amiamo ma in modo disordinato, fino a consumare forze ed energie e senza concludere granché. Rincorriamo nostre “idee” e nostri “progetti”, ma forse non puntiamo a ciò che è essenziale: “Non sapevate che devo occuparmi delle cose del Padre mio?” (cfr Lc 2,41ss); “Marta, Marta, tu ti affanni e ti agiti per troppe cose…Maria ha scelto la parte migliore” (Lc 10,38ss). Gesù è il nostro modello, il nostro metro di misura…che è senza misura! La misura di Gesù è la croce, che è abbraccio eterno verso tutti. Che è amore che si dona obbedendo al Padre fino all’ultimo, evitando di cercare scorciatoie umane (cfr Mc 8,23: “Lungi da me satana, perché tu mi sei di scandalo, perché pensi secondo gli uomini e non secondo Dio”). Solo Dio sa dare giusto orientamento alla vita e al nostro amarci gli uni gli altri, nella verità, perché Lui è Verità (cfr Gv 12,44) di cui noi ben poco sappiamo (cfr “Cos’è la Verità”, domandò Pilato, Gv 18,38). Ecco allora che l’amore è un dono e quindi un’arte da scoprire e imparare. In fondo, se ci pensiamo, nella vita abbiamo bisogno di maestri in molti campi, ma rischiamo di muoverci da autodidatti nel campo più importante, quello che maggiormente ci caratterizza, sprecando tempo ed energie, divenendo incapaci di mostrare in pienezza quella bellezza di cui siamo portatori: l’amore di Dio in noi.
Ma cosa strabiliante, ci è stato ricordato domenica scorsa, è il fatto che non veniamo lasciati vagare nella lontananza ma il Signore ci viene sempre incontro con amore misericordioso (cfr padre misericordioso Lc 15), come buon pastore che non vuole che nessuno si perda, e per questo dà la vita (domenica scorsa).
Se spesso la gloria degli uomini è arricchirsi, fare di testa propria…la gloria di Gesù è gloria dell’amore! Gesù ha vinto con l’amore e nell’amore, fino a vincere il peccato, il male, la morte. E così, chiede Gesù, deve valere per noi se vogliamo essere riconosciuti discepoli del Risorto: “Noi sappiamo che siamo passati dalla morte alla vita, perché amiamo i fratelli” (cfr 1Gv 3,14). Qui c’è tutta la vita cristiana: «Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli, se avrete amore gli uni per gli altri».
Se Gesù ci ha amati quand’eravamo ancora peccatori, fragili, deboli…traditori e rinnegatori, così siamo chiamati a fare anche noi. Lui è il nostro metro di misura, la nostra regola, il nostro riferimento. Se non ci sintonizziamo nell’amore di Gesù – modello e forza – troveremo sempre cavilli per giustificarci e per giudicare, ma saremo fuori dalla logica del vangelo! Se imparassimo fino in fondo a vivere la logica dell’amore di Gesù, allora anticiperemo la visione di Giovanni descritta nella II lettura tratta dal libro dell’Apocalisse: “Vidi un cielo nuovo e una terra nuova…Dio asciugherà ogni lacrima dai loro occhi e non vi sarà più la morte né lutto né affanno perché le cose di prima sono passate” (testo che richiama la profezia di Ezechiele, 37, e quindi di Genesi 2: la creazione). E Colui che sedeva sul trono disse: “Ecco, io faccio nuove tutte le cose”». Questi cielo e terra nuova sono già inaugurati da Gesù: con la sua vita, morte e risurrezione. Come un tempo Dio creatore affidò all’opera dell’uomo il creato perché “lo coltivasse e lo custodisse” (Gen 2,15), così ora spetta a noi coltivare e custodire i cieli nuovi e la terra nuova. Questo significa che non possiamo far finta che non ci siano, non possiamo tornarcene sui nostri passi come i due di Emmaus (cfr Lc 24), o tornare alle nostre cose e abitudini come i discepoli che se ne tornarono a pescare (Gv 21): questo “oggi” è il momento che Dio ci ha affidato per assolvere al nostro compito!
Ma per farlo è necessario cambiare orientamento (i due di Emmaus tornarono indietro di corsa, e così i discepoli della pesca) e guardare con gli occhi di Gesù, non i nostri. Guardare con lo sguardo del “discepolo amato” capace di cogliere la Sua presenza nei segni che vede: al sepolcro quando “vide e credette” (Gv 20,8), sulla barca quando esclamerà “E’ il Signore!” (Gv 21,7). Uscire dalle nostre prospettive, dai nostri calcoli, dai nostri progetti e, come ci è stato ricordato quindici giorni fa, gettare le reti della vita dall’altra parte (cfr Gv 20,1ss), lasciando risuonare in noi la Parola del vangelo e imparando a guardare in modo nuovo, non tanto ai nostri risultati umani, comunque feriti dal peccato e dalla gelosia (cfr Gen 4, Caino e Abele), ma a quanto il Signore opera in noi, con noi e attorno a noi, e spesso nonostante noi! E gli occhi di Gesù sono occhi di amore e di simpatia, di accoglienza e di perdono. È tutta un’altra cosa! È la vita dei discepoli del risorto!
Cosa rispondo io oggi alla Parola/Gesù
Colletta anno C (preghiera dopo il canto del gloria)
O Padre, che tutto rinnovi nel tuo Figlio glorificato, fa’ che mettiamo in pratica il suo comandamento nuovo e così, amandoci gli uni gli altri, ci manifesteremo al mondo come suoi veri discepoli.
Signore Dio,
a te innalzo il mio grazie per la fiducia che riponi
nell’affidare alle mie fragili mani
il compito di custodire e coltivare i cieli nuovi e la terra nuova
da Te inaugurati.
A te innalzo il mio grazie o Signore,
per la fiducia che coltivi
nell’affidarmi il dono-comandamento di amare come Tu ci hai amato.
Nell’essere grato, aiutami, o Signore,
a compiere quanto mi chiedi, perché quanti incontrerò, vedendomi,
possano a loro volta credere in Te.
Il commento al Vangelo di domenica 15 maggio 2022 curato da don Andrea Vena. Canale YouTube.