Celebriamo oggi la II domenica del Tempo Ordinario: la prima non esiste, in quanto coincide con la festa del Battesimo di Gesù, che abbiamo celebrato domenica scorsa e che fa da ponte tra il Tempo di Natale e l’inizio del Tempo Ordinario. Colui che abbiamo contemplato nel mistero del Natale, ci dirà l’evangelista Giovanni, siamo ora chiamati a “seguirLo/testimoniarLo” nella vita quotidiana. In fondo, il Tempo Ordinario (il sacerdote si veste di verde in questo tempo) è il tempo della Chiesa, della sequela, è il tempo della speranza nell’attesa dell’ultima venuta del Signore, quando tornerà nella gloria (cfr I domenica Avvento).
Il testo del vangelo è introdotto dalla prima lettura tratta dal Primo libro di Samuele grazie alla quale comprendiamo meglio il vangelo. Samuele, che in qualche modo ci racconta la sua esperienza, per tre volte si sente chiamare per nome nel sonno, e per tutte e tre le volte corre dal suo maestro, convinto che sia lui a chiamarlo; ma così non è. Alla terza volta, il sacerdote/maestro Eli comprende che è il Signore a chiamare Samuele, e suggerirà al ragazzo come rispondere: «Parla, Signore, il tuo servo ti ascolta». Si tratta di un’esperienza di chiamata che vede sia Samuele che Eli crescere nella consapevolezza delle cose che riguardano Dio: non è dunque tutto automatico. Samuele è il dono di Dio ad Anna, donna sterile e di grande fede (cfr 1Sam 1,11); ricevutolo in dono, quando fu grandicello lo portò al tempio presentandolo al sacerdote Eli: «Per questo fanciullo ho pregato il Signore e il Signore mi ha concesso la grazia che gli ho chiesto. Anch’io lascio che il Signore lo richieda…» (1 Sam, 1,27-28).
Samuele è dunque dono di Dio ad Anna, e dono di Anna al Signore. Fanno da contrasto a questo «dono», la debolezza di Eli (ormai molto vecchio) e la corruzione dei suoi figli, incapaci di riconoscere il Signore (cfr 1Sam 2,12). C’è sempre dunque un momento in cui Dio mantiene le promesse, anche se per altre vie e con «figli» non di sacerdoti: in un tempo in cui «la parola del Signore era rara… le visioni poco frequenti… la parola di Dio tornò a risuonare» (1Sam 3,1ss). È avvenuto con Samuele, e ora avviene con i primi discepoli di Gesù, non certo sacerdoti del tempio, ma umili pescatori. Ancora una volta Dio sorprende facendosi presente lì dove non era atteso e oltre la linea tradizionale, scontata. Con questa chiave di lettura, entriamo così nel testo del vangelo.
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v. 35: «Giovanni stava ancora là»: L’espressione si collega al brano precedente, ossia il battesimo di Gesù, festa celebrata domenica scorsa. Dopo che al v. 19, nel contesto del Battesimo, il Battista aveva dichiarato “Ecco l’agnello di Dio, ecco colui che toglie il peccato del mondo”, ora rilancia e, vedendo passare Gesù, dice a due dei suoi discepoli: «Ecco l’Agnello di Dio!». L’espressione rimanda al libro dell’Esodo (capitolo 12), dove si descrive la Pasqua, la liberazione degli Ebrei dalla schiavitù egiziana, quando Dio domanda al popolo, tramite Mosè, di procurarsi un agnello e mangiarlo, per trovare così la forza, l’energia per iniziare il cammino di liberazione. Un altro legame pasquale lo troviamo in Gv 19,9 (“Ecco l’Agnello di Dio che toglie il peccato del mondo) e 19.14, quando Gesù viene condannato a morte a mezzogiorno della vigilia di Pasqua, cioè nel momento in cui i sacerdoti cominciavano a sacrificare gli agnelli pasquali nel Tempio per la festa di Pasqua. Inoltre, l’espressione rimanda al Servo di Jahvè, descritto nei canti di Isaia (cap 42 e 53); e anche all’Agnello vittorioso nell’Apocalisse (7,17; cfr Eb 10: Dopo il sacrificio di Gesù, Agnello di Dio, non c’è più bisogno di altri sacrifici). Ebbene, su questo sfondo teologico, l’evangelista Giovanni presenta la figura di Gesù, l’Agnello di Dio/il Servo/il Vittorioso. In questo indicare, ha così inizio il passaggio di testimone tra il Battista e Gesù: “Lui deve crescere, io, invece, diminuire” (Gv 3,30).
v. 37: “Sentendolo parlare… seguirono Gesù”: i due discepoli “ascoltano” il Battista e “seguono” Gesù. Si tratta di due atteggiamenti fondamentali. L’ascolto non è un semplice “sentire”, ma è un lasciarsi coinvolgere da quel messaggio con tutto se stessi; è un modo di stare al mondo in modo maturo, consapevole, intelligente; di chi sa di non esistere da solo e di non poter capire da solo (cfr Dt 6,4: “Ascolta, Israele”; 1Re 3,9 “donami un cuore ascoltante”, domanderà Salomone; Lc 2,19: “Maria custodiva… queste cose”). L’ascolto, poi, porta alla sequela, al seguire Gesù.
Questa stessa struttura la ritroviamo al capitolo 10, dedicato al Buon Pastore: “Le mie pecore ascoltano la mia voce… e mi seguono” (Gv 10,27-28). Questi collegamenti ci suggeriscono lo stile di Dio: ascolta, e nella tua libertà, decidi.
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v. 38: “Che cosa cercate?”: sono le prime parole di Gesù nel vangelo di Giovanni. Domanda che ritroviamo anche al capitolo 20, quando Gesù ormai risorto domanda: “Donna, chi cerchi?” (20,15). Gesù non dà subito la risposta, non chiede “Cercate me?”, soffocando così fin dall’inizio il loro desiderio e ogni loro domanda. Gesù provoca: “pro voca”/vocare, “chiama per”, stimola. Gesù costringe ad interrogarsi sui veri desideri, sul proprio cammino. Tiene aperto il dialogo.
v. 38b: “Maestro, dove dimori?”: quel fuoco che si portavano dentro i due discepoli, quel desiderio nascondeva una domanda: la domanda di un Luogo, di una Presenza, di una Compagnia.
v. 39: “Venite e vedrete”: Gesù non offre indicazioni particolari, ma segnala che alla loro domanda può rispondere solo uno stare con Lui, solo un’esperienza, la sola capace di infiammarti la vita: “Non ci ardeva forse il cuore mentre conversava con noi?” (cfr Lc 24,32), e che renderà capaci di tornare indietro/alla vita/all’assunzione delle proprie responsabilità: “senza indugio” Lc 24,33 (cfr Lc 2,16, i pastori andarono senza indugio)
v. 39: “…Rimasero con Lui; erano circa le quattro del pomeriggio”: un giorno sta per terminare e sta per iniziare un giorno nuovo. Questo particolare “cronologico” nasconde un significato teologico-spirituale: con Gesù, inizia il nuovo giorno, la vita nuova (cfr Is 43,18ss: “Non ricordate più le cose passate… faccio una cosa nuova“). Talmente nuova, bella… da lasciarti un segno, un ricordo indelebile: “erano circa le quattro…”.
v. 40: Andrea “incontrò suo fratello Simone e gli disse: Abbiamo trovato il Messia”: Andrea, sedotto dal Signore (cfr Ger 20,7), corre dal fratello e condivide la gioia della sua scoperta (cfr 1Gv 1,1ss: “Quello che abbiamo veduto e udito noi lo annunziamo anche a voi”).
v. 42: “Tu sei Simone, il figlio di Giovanni. Sarai chiamato Cefa, che significa Pietro”: cambiare il nome è simbolo di autorevolezza e inizio di una nuova vita, di una nuova missione. Accettare questo cambiamento, dice il “si” alla nuova proposta, alla nuova vita, a stare con il Signore.
Merita leggere questo testo alla luce del Natale che abbiamo appena celebrato. Se ricordiamo, i pastori, dopo aver adorato il Bambino, vanno pieni di gioia ad annunciare la notizia (cfr Lc 2,20); così fanno i Magi, cambiando strada e non tornando da Erode (Mt 2,12). Il mistero del Natale attrae, affascina, incoraggia e spinge a cambiare strada, a stare dietro al Bimbo incontrato a Betlemme.
L’incontro con il Signore alla grotta provoca ad abbracciare una vita nuova, che chiede di essere vissuta e, se serve, predicata in ogni occasione, opportuna e non opportuna (2tm 4,2), senza paura e senza vergogna, con una franchezza ancor più necessaria contro la “dittatura del si”, dove o ti adegui al “pensiero dominante” dicendo “si”, o non ti viene data voce: “La fede non è e non può essere ridotta a sentimento privato, ma implica la coerenza e testimonianza anche in ambito pubblico in favore dell’uomo, della giustizia, della verità” (papa Benedetto in occasione della beatificazione del Cardinale Von Galen).
Gesù è quell’Agnello di Dio svelato e indicato dal Battista ai primi due discepoli, e oggi a me, a ciascuno di noi. Gesù è quell’Agnello di Dio che nutre e sazia la fame di vita, che va incontro ai desideri più profondi, è la risposta alle domande più belle e più grandi che ci portiamo dentro. Lui solo sazia il nostro desiderio di gioia, di serenità, di pienezza… che non celano altro che il desiderio di salvezza, come ricorda il salmista: “Di Te ha detto il mio cuore: cercate il suo volto” (sal 27,8).
Questa ricerca, che è esperienza di fede, non va vissuta in solitaria ma, come abbiamo notato nei testi, è un’esperienza di comunione e si trasmette in un rapporto di amicizia, da amico ad amico: Eli aiuterà Samuele a capire la voce di Dio; i primi discepoli saranno aiutati dal Battista; Andrea aiuterà suo fratello Simone… e quella catena continua ancora oggi, e seppur sembri che come al tempo di Samuele anche nel nostro tempo la parola del Signore sia rara (1Sam 3,1ss), in realtà sappiamo che il Signore continua a parlare dove e attraverso chi noi neppure immaginiamo! Non è la Parola che è rara, perché il Signore è fedele e semina sempre e comunque (cfr Mc 4,1-12): siamo noi che forse siamo ciechi, sordi, inospitali alla Parola.
“Chi cercate?”, domanda Gesù. Non risponde, ma rilancia. Gesù non ci offre soluzioni facili. Non ci da risposte preconfezionate. Forse questa è la fatica più grande oggi, quella di cercare, di andare a fondo, di riflettere. In un tempo in cui si desidera tutto e subito e possibilmente senza fatica e pronto, ascoltare la voce di Dio è difficile; in un tempo in cui l’egoismo e l’individualismo stanno raggiungendo livelli preoccupanti, accettare che un fratello o sorella ci accompagni all’incontro con il Signore è più difficile ancora. Gesù non smette mai di rivolgerci quella domanda: “Chi cercate?”.
E’ itinerario obbligatorio, per evitare di “cercare noi stessi” e non “cercare Dio” e di conseguenza itinerario obbligatorio per evitare di portare agli altri “noi stessi” o “le nostre informazioni”, ma non Dio. Si tratta di aver chiaro il desiderio che ci muove: “Nel mio cuore c’era come un fuoco ardente, chiuso nelle mie ossa: mi sforzavo di contenerlo, ma non potevo” (Ger 20,7-9). Si può avere tutto nella vita, eppure se non si risponde a quella “domanda” di fondo, nel cuore resterà sempre una nostalgia che non lascerà pace: “Il mio cuore è inquieto finché non riposa in te” (sant’Agostino). Una voce che ti porta a non fermarti mai, a non accontentarti mai. Una voce che ti aiuta a saziare la fame del tuo cuore. Capire questo porterà a dire con le parole del salmista: “Ecco, Signore, io vengo per fare la tua volontà” (salmo).
A volte, la distanza di tempo dall’incontro sorgivo, da quel “big bang interiore”, può portare a far primeggiare stanchezza, ripiegamento su se stessi, ricerca di protagonismo a discapito della freschezza del Vangelo (cfr 2Tm 1,6“Ravviva il dono che è in te”; Ap 2,3: “…Hai abbandonato il tuo amore di prima. Ricorda dove sei caduto e ravvediti…”;). Questo a dimostrazione che la sequela non è data per scontata una volta per tutte: va scelta ogni giorno, in ogni momento. Come per Samuele, anche per noi può sempre esserci il momento della stanchezza, del “sonno spirituale”, della “notte oscura” che ci fa sentire soli e incapaci di ascoltare/capire la Voce (cfr Madre Teresa di Calcutta: la gente sentiva/vedeva Dio attraverso me, eppure io mi sentivo sola, senza Dio). Comunque sia, nella barca della vita sballottata dalle onde degli eventi burrascosi, il Signore c’è, anche se sembra che dorma (cfr Mt 8,23-27). C’è, perché Lui è Gesù, l’Emanuele, il Dio con noi (cfr Is 7,14; Lc 2,7) e resterà tutti i giorni, fino alla fine del mondo (Mt 28,20). Perché Natale non è una favola, è un Fatto. È Presenza.
Gv 1, 35-42 | don Andrea Vena 82 kb 14 downloads
II domenica del tempo ordinario, anno B 1Sam 3,2b-10.19 Sal 40 1 Cor 6 Gv 1,35-42…Per gentile concessione di don Andrea Vena. Canale YouTube.