Cosa dice la Parola/Gesù
Siamo nel cuore dell’estate, momento conosciuto con il termine di “ferragosto” (ferie/riposo di Ottaviano Au gusto, primo imperatore romano da cui prende il nome il mese corrente. Siamo nel 18 a.C.). E seppur il calendario ci porti a pensare a questo tempo come il momento dello svago per eccellenza, la liturgia non cessa di educarci alle cose grandi della vita, quasi a suggerirci che ogni tempo della vita chiede di non perdere di vista il perché ci si è messi in viaggio e il verso dove ci stiamo incamminando.
Lungo questo itinerario liturgico, che definirei pellegrinaggio della vita, il Signore Gesù ci sta indicando le coordinate per imparare a conoscere meglio Dio, Padre nostro, e quindi a conoscere meglio noi stessi, sapendo puntare su ciò che veramente conta. Un viaggio che ci sta aiutando a cambiare prospettiva, ci sta educando a un cammino di conversione, imparando a pensare come Dio, e non secondo gli uomini. È un cammino di semplificazione, perché ci aiuta a cogliere ciò che veramente è essenziale. Imparare a tenere fisso lo sguardo sulla Meta ci permette di camminare con la gioia nel cuore, sapendo dare senso ad ogni tassello di questo mosaico, riconoscendo che tutto è inserito in un piano più grande di noi. Il piano della Provvidenza.
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Fidandomi di Gesù, Maestro e Guida lungo il cammino, imparerò diventare migliore, a sapermi prendere per mano e a corrispondere a quanto Dio attende da me e da ciascuno. Alla fin fine… ciò che conta, mi sta insegnando Gesù, è recuperare la relazione con il Padre. È ricordarmi che sono figlio amato. Solo questa certezza darà forza e senso nell’affrontare anche le avversità della vita, che inevitabilmente incontrano tutti i profeti – di ieri e di oggi – segno di contraddizione, capace di svelare i segreti dei cuori (cfr Lc 2,33), com’è stata l’esperienza di Geremia, presentata nella prima lettura: “Si metta a morte Geremia, perché egli scoraggia i guerrieri che sono rimasti in questa città…”. Ma chi confida nel Signore – come Geremia – non resterà confuso, come fanno bene capire le parole del salmo: “Ho sperato nel Signore ed egli su di me si è chinato…Io sono povero e bisognoso: di me ha cura il Signore”. Ed è proprio con questa chiave di lettura che possiamo capire il testo del vangelo odierno.
vv. 49-51: “Sono venuto a gettare fuoco sulla terra, e quanto vorrei che fosse già acceso! Ho un battesimo nel quale sarò battezzato, e come sono angosciato finché non sia compiuto!”.
Il testo del vangelo si apre con una frase dura, lapidaria e incomprensibile di primo acchito. Il fuoco che Gesù è venuto a portare è quello di Dio, è la vita nuova. Un fuoco che verrà acceso solo nel momento in cui Gesù stesso si lascerà immergere nel battesimo di sangue (la crocifissione) per tirare fuori l’umanità dalla morte. Nell’Antico Testamento l’immagine del fuoco è la presenza stessa di Dio. Pensiamo a Mosè, alla sua esperienza al roveto ardente: Mosè vede un fuoco che arde senza consumare, si avvicina e da quel roveto sente la voce di Dio che gli parla (Es 3,2). Ma pensiamo anche all’uscita di Israele dall’Egitto: il popolo in cammino era guidato da Dio stesso, che camminava alla sua testa. E il popolo lo poteva vedere come una colonna di fuoco, durante la notte, e come una nube durante il giorno (Es 13, 21s).
Il fuoco che Gesù è venuto a portare è quello dell’amore: un fuoco che riscalda, che rassicura, che illumina, che purifica. In questo fuoco possiamo vedere il simbolo dello Spirito santo, annunciato da Giovanni Battista come forza e presenza: “battesimo in Spirito santo e fuoco” (cfr Lc 3,16). E’ lo stesso fuoco che scende nel Cenacolo sui discepoli e sulla beata Vergine Maria (cfr At 2,1-11). Ma questo dono non potrà essere dato finché Gesù non passa per il battesimo di fuoco, la passione e morte in croce: “Non c’è amore più grande che dare la vita per i propri amici” (Gv 15,12-17).
Ecco il desiderio e il timore di Gesù, affinché questo avvenga presto: “Come sono angosciato finché non sia compiuto”. Questo fuoco d’amore che Gesù è venuto a portare in terra dovrà ardere nei cuori per poter accendere il mondo intero, reagendo alle contrarietà del mondo stesso: «Mi dicevo: “Non penserò più a Lui, non parlerò più in suo nome!”. Ma nel mio cuore c’era come un fuoco ardente, chiuso nelle mie ossa; mi sforzavo di contenerlo, ma non potevo» (Ger 20,9). La paura va vinta proprio con la forza di questo fuoco, come c’insegnano anche i due discepoli di Emmaus: “Non ci ardeva il cuore nel petto mentre conversava con noi lungo il cammino?…e partirono senza indugio verso Gerusalemme” (Lc 24,32).
Qualche domenica fa dicevamo che lì dov’è il tuo tesoro sarà anche il tuo cuore: ebbene, il tesoro di Gesù, capiamo oggi, è la sua stessa missione, quanto il Padre gli ha affidato.
È questo fuoco d’amore che infonde coraggio e rende capaci di tornare sui propri passi, di affrontare le contrarietà della vita. Ecco perché è importante tornare sempre al momento “del primo amore”, a quella scintilla che ha acceso la gioia della vita. È quel momento primordiale, è in quell’innamoramento della prima ora che troviamo e troveremo sempre la ragione della nostra fede, del nostro amore per Lui, del nostro stare dietro a Lui. Il momento che sta vivendo Gesù è difficile, sa di dover obbedire al Padre del cielo ma sente anche tutta l’angoscia umana, il desiderio umano di trattenere la vita per sé. In queste parole capiamo che non c’è scelta se non c’è anche una rottura. E la rottura chiede di aver chiaro il perché, il dove ti stai indirizzando con le tue scelte.
Questo insistere di Gesù sulla centralità del Padre è dettato dal fatto che se non abbiamo Dio – Padre nostro – come orizzonte della vita, non ci sarà mai il coraggio di scegliere, di rompere, di aderire a qualcosa di più grande. Nel libro dell’Apocalisse c’è scritto: “Ho da rimproverarti che hai abbandonato il tuo amore di prima. Ricorda dunque da dove sei caduto, ravvediti e compi le opere di prima” (Ap 2,3). In queste amorevoli parole, il Signore chiede di prendere coscienza che qualcosa non è più come prima; di tornare all’amore degli inizi e di lì, verificare dove si è interrotto l’amore di un tempo. Non è che l’invito a ravvivare la ragione ultima del perché si è iniziato e rimettere a fuoco la meta per cui si è iniziato il cammino. È convertirsi! Visto il luogo in cui mi trovo, è ascoltare la parola della Vergine Maria che sempre – nelle sue apparizioni – invita a convertirsi a Gesù; Maria – come a Cana – ripete sempre “Fate quello che vi dirà”.
A noi dunque tornare all’amore iniziale, chiedere a Dio di ravvivarlo, rompendo con i nostri infantilismi, con il “si è sempre fatto così”, con le logiche vecchie, rassicuranti e accomodanti, che imprigionano la vita: “Non ricordate più le cose passate, non pensate più alle cose anti che! Ecco, faccio una cosa nuova: proprio ora germoglia, non ve ne accorgete?” (Is 43,18). Si tratta di recuperare la fiamma viva d’amore che Dio ha acceso in noi, e che ora si trova sotto la cenere dei nostri sensi di colpa, della nostra stanchezza, delle nostre debolezze, della nostra sfiducia. Non badiamo alla cenere, torniamo alla fiamma viva di Gesù! Lasciamoci re-infiammare dal suo amore: “…Deposto ciò che è di peso e il peccato che ci assedia, corriamo con perseveranza nella corsa che ci sta davanti, tenendo fisso lo sguardo su Gesù…” (dalla II lettura di oggi, cfr Eb 12,1-2, ).
E questo chiede ogni giorno, non solo una volta, ma ogni giorno, di scegliere Lui, di tenere fisso lo sguardo alla Meta che ci attende, di scegliere in base alla Meta che vogliamo raggiungere, sapendo vivere con lo stile di Dio: “Lasciatevi rivestire dall’uomo nuovo” (cfr Ef 4,17ss), lasciandoci stupire dall’amore misericordioso di Dio. Quante volte ci viene ricordato che il cristianesimo non è una serie di norme alle quali obbedire, ma una relazione che chiede di crescere, di maturare e questo processo comporta anche “rottura”. Essere messi in discussione, essere contraddetti – come Geremia nella I lettura o Gesù nel vangelo – è segno che non ci si sta adeguando al pensiero del mondo, non ci si sta appiattendo al pensiero unico in voga in quel determinato momento. L’essere contraddetti dal mondo è segno che si sta – pur con tutte le fatiche e fragilità umane – ci si sta lasciando rivestire delle cose del cielo, per raggiungere il Cielo! In ballo c’è il Cielo, lì dove Maria – ricorderemo domani – è stata assunta come segno di consolazione e sicura speranza. È la meta del cielo che spiega l’umile coraggio di rompere con una determinata logica mondana.
51-43: “Pensate che sia venuto a portare pace sulla terra? No, io vi dico, ma divisione. D’ora innanzi, se in una famiglia vi sono cinque persone, saranno divisi tre contro due e due contro tre; si divideranno padre contro figlio e figlio contro padre, madre contro figlia e figlio contro madre, suocera contro nuora e nuora contro suocera”.
Anche queste parole appaiono paradossali nella bocca di Gesù. Di solito noi pensiamo che Lui sia colui che mette tutto a posto, ma non è così. La pace che Gesù è venuto a portare non è quell’esperienza sdolcinante alla quale siamo spesso abituati. La pace è Gesù stesso: un dono che chiede di essere accolto ma che porta in sé anche la libertà di essere rifiutato. Da qui nascono le incomprensioni, le fratture. Accogliere Gesù è accogliere il suo fuoco d’amore che crea, illumina, brucia, purifica. Anche dentro il contesto familiare. Allora si comprendono ancor di più le sue parole: “Chi ama il padre e la madre più di me non è degno di me” (cfr Mt 10,37). Non significa non amare i genitori, contraddicendo il comandamento, quanto amare Dio al di sopra di tutto per imparare ad amare gli altri, genitori compresi, con l’amore di Dio.
Quanto oggi Gesù c’insegna, dunque, è che solo l’aver questo fuoco acceso in noi renderà capaci di affrontare la vita anche con le sue contrarietà, e questo fuoco chiede di essere alimentato nella preghiera, nei sacra menti… custodendolo dai venti contrari che puntano solo a farlo spegnere. Perché ieri come oggi i profeti, coloro che svelano la verità, danno fastidio.
Cosa rispondo io oggi alla Parola/Gesù
Colletta anno C
O Dio, che nella croce del tuo Figlio riveli i segreti dei cuori, donaci occhi puri, perché, tenendo lo sguardo fisso su Gesù, corriamo con perseveranza incontro a lui, nostra salvezza.
Signore Dio,
sei venuto sulla terra
per accendere il fuoco
del Tuo eterno amore
in ciascuno. Anche in me.
Con la vita cerco di narrare il tuo amore,
ma la luce della Tua verità
innervosisce e infastidisce.
La gente, ferita nell’orgoglio,
critica, giudica,
manipola parole e fatti.
Vorrei tanto tacere o scappare,
ma come ricorda Geremia,
il mio cuore è ferito dal Tuo amore
e non riesco a contenerlo.
Ravviva in me il fuoco dell’Amore,
per ritrovare,
anche nelle turbolenze della vita,
la gioia e il coraggio degli inizi.
Il commento al Vangelo di domenica 14 Agosto 2022 curato da don Andrea Vena. Canale YouTube.