don Andrea Vena – Commento al Vangelo di domenica 13 Febbraio 2022

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Cosa dice la Parola/Gesù

Domenica scorsa abbiamo meditato sulla chiamata di Simon Pietro e di alcuni suoi compagni (cfr Lc 5,1-11). La liturgia passa oggi direttamente al capitolo sei, saltando alcuni brani: la chiamata di Matteo, l’esattore delle tasse (5,27ss); alcune guarigioni e la scelta dei Dodici (6,12-16). Questi tagli redazionali sono funzionali ad evitare ripetizioni o perché sono brani che vengono ascoltati in altri contesti: in questo modo si legge durante l’anno l’intero vangelo, in questo caso il Vangelo di Luca.

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Arriviamo così al testo odierno: una volta scelti i Dodici, Gesù scende e si ferma in un luogo pianeggiante: questo è l’inicipit, che poi si svilupperà nel famoso brano delle “beatitudini”. Anche la prima lettura – del profeta Geremia sempre in sintonia col vangelo, tratta il tema delle “due vie”, quella delle maledizioni, per quanti non obbediscono a Dio: “Maledetto l’uomo che confida nell’uomo e pone nella carne il suo sostegno, allontanando il suo cuore dal Signore”. E la via delle benedizioni: “Benedetto l’uomo che confida nel Signore e il Signore è la sua fiducia”. Tematica che ritroviamo nel salmo 1, che non mi stancherò mai di ripetere, è la risposta – in preghiera che si fa canto – alla prima lettura. Di fronte alla proposta delle “due vie”, descritta in Geremia, l’orante, ossia l’uomo di preghiera, non può che cantare a Dio: “Beato l’uomo che non entra in consiglio dei malvagi…ma nella legge del Signore trova la sua gioia…E’ come albero piantato lungo corsi d’acqua”. Entriamo così nel messaggio del vangelo.

v. 17: “Disceso con i Dodici, si fermò in un luogo pianeggiante. C’era gran folla di suoi discepoli e gran moltitudine di gente da tutta la Giudea, da Gerusalemme e dal litorale di Tiro e Sidone”.

I versetti precedenti al nostro (12-16) presentano Gesù sul monte quando, in clima di preghiera, sceglie i Dodici. Quindi “scende” in luogo pianeggiante. La presenza di molta folla è dovuta al fatto che Egli si trova in quel momento in un luogo di grande comunicazione: Gesù sta per entrare a Cafarnao (vedi capitolo 7,1) e quindi si trova lungo la strada che porta verso la Giudea, verso il Mediterraneo.

vv. 20-23: «Ed egli, alzàti gli occhi verso i suoi discepoli, diceva: “Beati voi, poveri, perché vostro è il regno di Dio. Beati voi, che ora avete fame, perché sarete saziati. Beati voi, che ora piangete, perché riderete. Beati voi, quando gli uomini vi odieranno e quando vi metteranno al bando e vi insulteranno e disprezzeranno il vostro nome come infame, a causa del Figlio dell’Uomo. Rallegratevi in quel giorno ed esultate perché, ecco, la vostra ricompensa è grande nel cielo. Allo stesso modo infatti agivano i loro padri con i profeti”».

Questi primi versetti presentano le beatitudini. Sono quattro, a differenza di Matteo che ne riporta otto (cfr Mt 5,1). Non dobbiamo dimenticare che Gesù non ha esposto le cose una sola volta e in un solo luogo, e quindi ciascun Evangelista ha riportato quanto ha ascoltato su quel determinato argomento: Matteo presenta le beatitudini sul monte, Luca in pianura… e così via. Questo è segno che gli evangelisti non hanno custodito gli eventi come una fredda pietra preziosa, ma come un seme deposto nel terreno della vita e della storia, poi sbocciato in stelo e spiga. Più che parlare di “discorso”, quindi, si potrebbe parlare di “detti” che hanno come finalità la Parola di salvezza rivolta ai poveri e ai miseri. La prima beatitudine è indirizzata ai poveri, perché a loro principalmente è rivolto questo annuncio di salvezza (cfr Lc 4,18 7,22).

Basti ripensare al discorso programmatico di Gesù in Sinagoga a Nazareth: “Lo Spirito del Signore è sopra di me; per questo mi ha consacrato con l’unzione e mi ha mandato a portare ai poveri il lieto annuncio, a proclamare ai prigionieri la liberazione e ai ciechi la vista…” (Lc 1,14-21, III domenica, 23 gennaio). O che dire del cantico del Magnificat dove si capovolgono le situazioni: “Ha rovesciato i potenti dai troni, ha innalzato gli umili” (1,52). Luca parla di “poveri” in senso pieno, a differenza di Matteo che precisa “poveri in spirito”: l’essere poveri è una condizione benedetta non per la situazione in sé, ma perché fornisce la garanzia che Dio si prende cura proprio di loro, privilegiando i piccoli e gli umili. Non è dunque la condizione in sé che Gesù esalta: poveri, affamati, in pianto, disprezzati… Non è questo che esalta Gesù. Ma il fatto che quanti si trovano in questa situazione, sono i primi dei quali Dio si prende cura e s’impegna a difendere. Questo porta a magnificare il Signore perché Dio è con loro.

vv. 24-26: “Ma guai a voi, ricchi, perché avete già ricevuto la vostra consolazione. Guai a voi che ora siete sazi, perché avrete fame. Guai a voi che ora ridete, perché sarete nel dolore e piangerete. Guai, quando tutti gli uomini diranno bene di voi. Allo stesso modo infatti agivano i loro padri con i falsi profeti”.

A differenza di Matteo, Luca presenta anche degli ammonimenti. Quattro sentenze che vengono spesso chiamate “maledizioni”. Si tratta di appelli rivolti a quanti devono convertirsi. Molti profeti hanno utilizzato questo modo di predicare, come Geremia che la liturgia ci ha fatto ascoltare nella prima lettura.

Cosa dice a me oggi la Parola/Gesù

Vorrei partire dalla fine del vangelo. I guai sono una sorta di “avvertimento” per quanti si sentono autosufficienti, per quanti sono illusi di poter fare tutto da soli. La gioia piena a Cana è stata resa possibile grazie a Gesù; la pesca abbondante di giorno è stata resa possibile da Gesù. Se ci si ferma ai nostri ragionamenti, alle nostre conclusioni… non se ne esce. Gesù invita a prendere atto che forse anch’io, anche noi stiamo sbagliando strada, stiamo sbagliando approccio di fronte alla vita. In quel “guai” non c’è una minaccia, ma più che altro un lamento, una delusione da parte di Gesù nei miei e nostri riguardi, perché nonostante tutte le sue Parole, pensiamo ancora di poter fare da soli. Che fare dunque? Gesù ci presenta le beatitudini come binario lungo il quale proiettare i nostri pensieri, muovere i nostri passi.

Cerchiamo così di domandarci cosa il Signore vuole dire a noi oggi attraverso questa Parola. Una chiave di lettura la possiamo cogliere al versetto 20: “Alzàti gli occhi verso i suoi discepoli, diceva…”. Parole che suggeriscono non solo che Gesù li sta guardando, ma anche “come” lo fa. Li sta guardando con amore. In fondo le beatitudini sono proprio “lo sguardo”, il modo con il quale Gesù ci guarda e come c’invita a guardare gli altri, le esperienze della vita, la storia del mondo. Sembra che Gesù ci stia suggerendo, a noi che lo stiamo seguendo, di imparare a guardare ogni cosa, ogni realtà, con lo stesso sguardo del Padre del cielo, a guardare alla vita e alla storia con lo sguardo di fede. Ritorniamo a Simon Pietro e ai suoi compagni che abbiamo incontrato domenica scorsa: hanno lasciato le loro barche e si sono messi a camminare dietro a Gesù. Ma si portano dietro anche il bagaglio della loro esperienza, del modo di vivere e guardare alle cose del loro tempo, della loro storia. Ecco invece che devono imparare a guardare alla vita e alla realtà in modo nuovo. Come ha fatto con loro, oggi lo fa con noi. La fatica che abbiamo è dovuta a una malattia che si chiama “cataratta interiore” che ci rende incapaci di guardare a noi stessi, agli altri, al creato con lo sguardo nuovo di Gesù. E solo lo sguardo misericordioso di Gesù guarisce da questa malattia! Ecco perché solo Gesù può farsi Maestro ed Educatore.

Pensiamoci per un attimo: per la società odierna i “beati” sono coloro che hanno successo, che fanno carriera, che hanno tanti soldi, che hanno vita apparentemente facile. E noi rischiamo di leggere e interpretare la vita con questo “metro”, con questo “sguardo. Ma tutto questo non rende autenticamente felice, interiormente beato. Non è questo il modello di vita al quale guardare, c’insegna Gesù. Non è qui che troviamo quella “beatitudine”, quella pienezza di gioia, serenità che Gesù ci promette. Se no come spiegare che il ricco Francesco d’Assisi lascia tutto per trovare la beatitudine tra i lebbrosi…? Ed è solo un esempio! Certe apparenti soluzioni che toccano solo il portafoglio ma non il cuore, non la vita interiore…appannano lo sguardo, lasciando che il tarlo dell’infelicità, dell’inquietudine, dell’insicurezza…mangi dentro, divori. Non è questa la beatitudine vera!

Se siamo animati dalla fede, dallo sguardo di Gesù… allora cambia tutto. Se sono animato dallo sguardo di Gesù, incontrando un povero non mi scanserò; se incontrerò un uomo che piange, che ha fame, che è maltrattato, che ha freddo… non mi volterò dall’altra parte, ma avrò il coraggio di “prendere il largo” (cfr domenica scorsa), di andare al di là del comune modo di pensare, così spesso influenzato in modo distorto dai mass media. Avrò il coraggio di vivere lo spirito del buon samaritano: “passandogli accanto, vide e ne ebbe compassione. Gli si fece vicino, gli fasciò le ferite… lo caricò sulla sua cavalcatura…” (Lc 10,33ss). Capisco che questa Parola va controcorrente, che è “scandalo e stoltezza” per tanti uomini e donne del nostro tempo (cfr 1Cor 1,23), eppure è questa l’unica Parola a dare pienezza ed è la “cifra”, il “criterio” con il quale compiere le nostre scelte: “Fare qualunque cosa ci domanderà Gesù”, come ci ricordava la Vergine Maria a Cana (13 gennaio, III domenica). Scusate questo guardare indietro, ma notate come ancora una volta le domeniche s’illuminano l’una con l’altra? Non sono mai sezioni staccate!

Questo mio guardare in modo nuovo deve nascere non solo dal fatto che Gesù me lo chiede, ma ancor di più perché Gesù lo ha fatto nei miei e nostri riguardi. Dicevamo domenica scorsa che Simon Pietro si getta in ginocchio davanti a Gesù perché sente il peso del suo peccato, ma nello stesso tempo sente che Gesù lo sta guardando in modo nuovo (vedi domenica scorsa, V domenica). Una cosa va comunque tenuta presente e fonda ogni scelta: io sono quel primo povero che Gesù incontra e ricolma del suo amore; io sono quel primo affamato di senso, di misericordia e serenità che Gesù sazia del suo stesso corpo e del suo perdono; io sono quel primo uomo che piange per la mancanza di pace e compagnia a cui Gesù terge gli occhi con la sua tenerezza; io sono quel primo perseguitato, criticato solo perché tento di vivere il vangelo, e Gesù si prende cura di me. Posso anch’io agire così perché prima di tutto ne ho fatto esperienza diretta, perché mi son sentito dire: “Se dunque io, il Signore e Maestro, ho fatto questo a voi, anche voi dovete farlo gli uni agli altri…

Vi ho dato l’esempio perché anche voi facciate come io ho fatto a voi… Sapendo queste cose, siete beati se le mettete in pratica” (cfr Gv 13,14-17). Sì, perché questo sguardo capovolge le prospettive. La realtà rimane la stessa, ma lo sguardo con il quale si osservano le cose cambia. Questa è la strada che porta a incontrare Dio cammin facendo, ma nello stesso tempo è la strada che porta verso Dio. Non è forse quanto è capitato anche a san Paolo, il quale è arrivato a considerare tutto come spazzatura di fronte alla sublimità d’aver fatto esperienza dell’amore di Dio…(cfr Fil 3,2-9). Tutto dunque nasce, o rinasce, dal fascino di uno sguardo. Dal sentirsi amati. Ecco perché le “beatitudini” sono o dovrebbero essere i “segni particolari”, i “tratti” della carta d’identità di ciascun cristiano. Potremmo dire che sono il sogno di Dio su ciascuno di noi: perché Lui per primi ci vuole felici, realizzati, beati.

La mia e nostra vita è ubriaca e ingannata da tante proposte di illusorie beatitudini: solo la proposta di Gesù riempie di senso e gioia la vita (cfr III domenica, Cana di Galilea) Questa Parola non è una parola tra le tante; solo questa siamo certi che “Oggi” si compie in noi se ci apriamo all’azione dello Spirito, se ci fidiamo di Gesù (cfr IV domenica, Gesù alla sinagoga). Vivere secondo le beatitudini evangeliche porta talvolta a diventare gli zimbelli della città, ma se teniamo vivo nel cuore il fascino di quello sguardo con il quale Gesù ci ha sedotti, non dobbiamo temere: Lui è con noi! (cfr V domenica, Gesù cacciato dalla sinagoga). E in forza di questa sguardo, di questa Parola saremo capaci di “prendere il largo” e “gettare le reti” per una vita riuscita/beata. Certamente si tratta di un messaggio rivoluzionario, perché autentico messaggio d’amore. In fondo Gesù è il primo vero rivoluzionario d’amore e oggi chiede a me e a ciascuno di partecipare a questa rivoluzione d’amore. A noi fare il salto!

Cosa rispondo io oggi alla Parola/Gesù

Abbiamo cercato di capire la Parola (1° punto), di capire cosa dice a me/a ciascuno di noi oggi questa Parola (2° punto), e ora cerco di rispondere a Dio che mi ha parlato. Lo faccio attraverso due preghiere: la prima è la “colletta”, ossia la preghiera che ascoltiamo dopo il canto del Gloria: preghiera che riassume, raccoglie il messaggio dei testi biblici, e infatti sentiremo tale eco. La seconda preghiera, invece, è una condivisione di quanto la Parola ha mosso in me.

Colletta (anno C)

O Dio, Signore del mondo, che prometti il tuo regno ai poveri e agli oppressi e resisti ai potenti e ai superbi, concedi alla tua Chiesa di vivere secondo lo spirito delle beatitudini proclamate da Gesù Cristo, tuo Figlio. Egli è Dio e vive e regna con te nell’unità dello Spirito santo.

Io rispondo così

Signore, rendimi rivoluzionario d’amore

Signore Gesù,

fin dalla tua venuta in questo mondo Ti sei rivelato

il più rivoluzionario trasgressore della storia. Hai capovolto la gerarchia valoriale insegnandomi a cambiare prospettiva

di fronte alle cose della vita. Gli ultimi sono diventati primi, gli umili sono stati innalzati, gli affamati son stati saziati,

i perseguitati son stati accolti e protetti, i peccatori perdonati.

In questa istantanea, mi presenti la sintesi dei tratti caratteristici

che deve avere la mia carta d’identità di uomo e di cristiano:

in fondo mi sveli il Tuo sogno di gioia su di me. Mio Signore e mio Dio,

come i Santi,

amici e modelli di vita veramente beata/riuscita, aiutami a vivere il vangelo delle beatitudini:

aiutami a diventare rivoluzionario dell’Amore e con amore, sapendo saltare gli ostacoli dei miei timori.

E pazienza se sarò preso per folle.

Importante è che lo faccia in Te, con Te, per Te. Come Te. Per tutti.


Il commento al Vangelo di domenica 13 febbraio 2022 curato da don Andrea Vena. Canale YouTube. SCARICA IL FILE PDF