40 giorni dopo la Pasqua, Gesù sale al cielo: solennità che in Italia, così come in altri Paesi, è stata trasferita dal giovedì (giorno in cui cadono i 40 giorni) alla domenica. Gesù sale dopo aver invitato i discepoli a non temere le loro insicurezze, fragilità e paure (I, II e III domenica/meditazione di Pasqua); sale dopo aver garantito che Lui resterà Guida e Pastore (IV domenica); sale dopo aver invitato i discepoli a restare ancorati a Lui come il tralcio alla vite (V domenica), sapendo vivere relazioni d’amore (VI domenica).
Possiamo dire che il tempo pasquale si rivela come un crescendo dove emerge l’identità del discepolo del risorto e la sua missione. Chiarito, direi puntellati questi punti, Gesù dunque sale al cielo, promettendo il dono dello Spirito Santo, che li renderà partecipi della Sua stessa missione. Detto questo, davanti ai loro occhi, “Gesù viene elevato in alto”, come nuovo Elia (cfr 2Re 2,11).
Elevato: è espressione che ritroviamo lungo tutta la Scrittura e che indica “l’insediamento nella regalità”: Gesù, “tra canti di gioia” (si noti il tono festoso del Salmo scelto dalla liturgia oggi), viene elevato e insediato alla destra del Padre, e con Lui governa sul mondo. v. 15 “Gesù apparve agli Undici e disse loro: “Andate in tutto il mondo e proclamate il Vangelo a ogni creatura”: il testo del vangelo sembra quasi volerci riportare alla domenica di Pasqua, per ricordarci che la Comunità dei discepoli è una Comunità imperfetta, ferita (sono in Undici, non in Dodici), eppure il Signore affida a questa Comunità segnata dal limite, il compito di prolungare la missione.
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Il tesoro del Vangelo da portare fino ai confini del mondo, è posto in vasi di creta (cfr 2Cor 4,7), ma, come ricorda san Paolo quando chiese al Signore di liberarlo dalle sue “ferite”, egli si sentì rispondere: “Ti basta la mia grazia; la mia potenza si manifesta pienamente nella debolezza” (2Cor 12,9). Parole che fanno comprendere che il Signore non fa conto sulle forze dei discepoli, ma sul loro amore, pur ferito; che il vangelo non va tenuto chiuso dentro “recinti” ma chiede di essere offerto a tutti, indistintamente a tutti.
Ascolta “don Andrea Vena – Commento al Vangelo di domenica 12 Maggio 2024” su Spreaker.v. 16: “Chi crederà e sarà battezzato sarà salvato, ma chi non crederà sarà condannato”: dopo l’invio, gli effetti della predicazione: quanti aderiranno a questo progetto d’amore – credere – e saranno battezzati – segno di conversione e di desiderio di cambiare vita – sarà salvato. Chi non crede, è già condannato non perché lo voglia Dio, ma perché ciascuno nella sua libertà volta le spalle a Dio.
Mc 16, 15-20 | don Andrea Vena 59 kb 18 downloads
Solennità dell’Ascensione, anno B At 1,1-11 Sal 47 Ef 4,1-13 Mc 16,15-20 a cura…v. 17: “Questi saranno i segni che accompagneranno quelli che credono: scacceranno demòni, parleranno lingue nuove, prenderanno in mano serpenti, se berranno veleno non recherà loro danno, imporranno le mani ai malati e questi guariranno.”: Gesù elenca cinque segni. Non sono prerogativa dei discepoli, ma di tutti “quelli che credono”. In altre parole chi riceve male, risponde con il bene; chi riceve morte, risponde con la vita. “Scacciare demoni” significa liberare le persone dal male, da ideologie che impediscono l’accoglienza del messaggio di Gesù; Prendere in mano serpenti, cioè prendere di petto le situazioni, non lasciarsi bloccare dalla paura; l’imporre le mani più che “guarire”, significa “portare bene”, quindi porterà speranza, incoraggiamento, fiducia, solleverà dall’ansia, dalla solitudine. E, può capitare, se Dio lo vuole, anche guarigione fisica.
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v. 18: “Il Signore Gesù, dopo aver parlato con loro, fu elevato in cielo e sedette alla destra del Padre”: il Cielo indica “la dimora di Dio” dove Gesù siede alla destra del Padre, come ricorda il salmista: “Oracolo del Signore al mio signore: siedi alla mia destra finché io ponga i tuoi nemici a sgabello dei miei piedi” (Sal 110, 1). Espressione che va a ribadire che quanti hanno crocifisso Gesù, hanno Crocifisso il Figlio di Dio!
v. 19: “Allora essi partirono e predicarono dappertutto, mentre il Signore agiva con loro e confermava la Parola con i segni che li accompagnavano”: Gesù sale dunque al cielo, si distacca dai discepoli, ma, come promesso, rimane loro accanto, “confermando” con i segni l’annuncio della Parola. La missione non è un dire parole, ma un fare esperienza di vita con Lui e con gli altri, un “narrare” con la vita la lieta notizia del Vangelo. E’ un’esperienza che contribuisce, ricorda Paolo nella II lettura tratta dalla lettera agli Efesini, ad assolvere il compito che ciascuno ha ricevuto da Dio, nello Spirito santo, “Allo scopo di edificare il corpo di Cristo…fino all’uomo perfetto” cioè “Fino a raggiungere la misura della pienezza di Cristo” (Ef 4,11ss).
La solennità dell’Ascensione ci ricorda che Gesù è stato un pellegrino su questa terra: è venuto dal Padre e al Padre è tornato. Ma come Lui, questo vale anche per tutti noi: per tutti la Meta è il Paradiso, e il Signore è venuto per
ricordarci che siamo chiamati alla “Vita” e Lui con Verità si fa Via per noi (Gv 14): “Nella casa del Padre mio vi sono molte dimore…: Vado a prepararvi un posto. Quando sarò andato e vi avrò preparato un posto, verrò di nuovo e vi prenderò come me…” (Gv 14,1-3). Il coltivare il desiderio di questa Meta, il “Comportarsi in maniera degna della chiamata che abbiamo ricevuto” (II lettura)…tutto questo si chiama “ascesi”. Il desiderio del Cielo è in tutti i cuori, perché siamo “impastati” di eternità. Un’ascesa che non chiede di estraniarsi dall’impegno nella storia, anzi! Nell’atto della creazione Dio ci ha affidato la terra “per custodirla e coltivarla” (Gn), insegnandoci che il lavoro è prolungamento del suo stesso atto creativo, tanto che papa Francesco dirà che è “il lavoro a creare dignità, i sussidi, invece, quando non legati a un preciso obiettivo di ridare lavoro e occupazione, creano dipendenza e deresponsabilizzano”.
La solennità dell’Ascensione ci permette così di fissare lo sguardo alla Meta, dove Gesù è giunto dopo aver vinto sulla morte, ma è pure occasione che ci obbliga a pensare al nostro impegno di “ascesi”, vivendo la vita come una sorta di “grembo” nel quale si va costruendo/ricamando eternità. Ecco perché è importante abbandonare il ripiegamento su se stessi, e puntare verso l’Alto e verso gli altri: “Teniamo fisso lo sguardo su Gesù, autore e perfezionatore della nostra fede, corriamo con perseveranza nella corsa che ci sta davanti…” (Eb 12,1-2)
Gesù – chiedendo di portare il Vangelo – non chiede a me, a noi…di raccontare le mie e nostre conquiste, ma di testimoniare l’avventura di un Amore che ha sedotto il mio e nostro vivere; raccontare di un Dio che mi ha “rubato” il cuore, colmandolo del suo amore misericordioso. Un Dio del quale…mi sono pazzamente innamorato. Questo è Vangelo, lieta notizia: questo è l’annuncio che sono chiamato a portare con il sorriso, con lo sguardo, con i gesti, con la parola. E sono chiamato a farlo verso tutti. Indistintamente.
Questo “essere mandati” suggerisce anche un’altra cosa. Chiede di assumersi le responsabilità ricevute, a partire dalla testimonianza (I lettura), dal vivere uniti e concordi in Comunità (II lettura), e dal predicare il Vangelo di Gesù (vangelo). Un impegno di vita e di testimonianza contraddistinto dalla gioia, perché il Signore non è andato via, ma semplicemente ci precede, è avanti, ed è oggi “la navigazione del cuore che conduce dalla chiusura in te all’amore che abbraccia l’universo” (Benedetto XVI). E in questa navigazione del cuore, Gesù mi e ci spinge sempre più lontani, fino ai confini della terra.
Per gentile concessione di don Andrea Vena. Canale YouTube.