don Andrea Vena – Commento al Vangelo di domenica 11 Settembre 2022

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Cosa dice la Parola/Gesù

Continua il nostro cammino alla scuola della liturgia. Un cammino che ci sta educando non solo a seguire il Signore  Gesù, ma anche ad abbracciare interiormente lo “stile di Dio”, unico modo per divenire autentici discepoli. Oggi la  liturgia ci presenta l’intero capitolo 15 del vangelo di Luca, dedicato alle parabole della misericordia: la pecora perduta (vv. 3-7), la moneta smarrita (8-10) e infine la parabola del padre misericordioso, più conosciuta come parabola del figliol prodigo (11-32).  

  1. 1: «In quel tempo, si avvicinarono a Gesù tutti i pubblicani e i peccatori per ascoltarlo. I farisei e gli scribi  mormoravano dicendo: “Costui accoglie i peccatori e mangia con loro”. Ed egli disse loro questa parabola.  Il primo versetto offre il contesto e i destinatari di questa grande parabola. Gesù accoglie, senza problemi, pubblicani e peccatori. C’è un pronome che merita attenzione: “tutti”. È questo “tutti” che scandalizza scribi e farisei. Ma  questo “pronome” ritornerà nelle diverse parabole: il pastore non ritornerà finché non avrà riportato a casa “tutte”  le pecore; la donna non si fermi finché non avrà di nuovo “tutte” e dieci le monete. Il padre non si darà pace finché  non riavrà in casa “tutti” e due i figli. Ma questo “stile”, questa quantità, era presente fin dal giorno in cui i genitori  di Gesù lo presentarono al tempio, quando Simeone dirà loro: “Egli è qui per la salvezza di tutte le genti(Lc 2,31). E’ lo stile di Dio, tanto che in un altro passaggio si dirà: “Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati  …Non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori(Mt 9,9.13). 

Coerente con questa linea, Gesù accoglie, ascolta, perdona. Ma scribi e farisei non accettano questo “stile”: fanno  fatica a vivere con la passione dell’amore (cfr XX domenica, 14 agosto), ad accettare di passare per la porta stretta della  croce/di un amore totale (cfr XXI domenica, 21 agosto). Scribi e farisei non sono capaci di abbandonare/rinnegare il loro  stile caratterizzato dal puntare il dito e dall’occupare i primi posti (cfr XXII e XXIII domenica, 28 agosto e 4 settembre), non  sono capaci di far proprio lo stile di Dio. E questo li porta a coltivare rabbia e invidia.  

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Di fronte alla mormorazione di scribi e farisei Gesù racconta “una parabola”, formulata in tre scene: la pecora perduta, la moneta smarrita e il ritorno del figlio minore. In tutte e tre ritroviamo qualcosa di “smarrito”, di “perso”, il  suo ritrovamento e il momento della festa. Solo nella terza parabola, quella del figlio minore, si evidenzia che qualcuno non accetta di entrare a fare festa, cioè il figlio maggiore. Una decisione spiegata da lui stesso: “Io ti servo da  tanti anni e non ho mai trasgredito un tuo comando, e tu non mi hai mai dato un capretto per far festa con i miei  amici. Ma ora che questo tuo figlio, il quale ha divorato le tue sostanze con le prostitute, per lui hai ammazzato  il vitello grasso”. Il figlio maggiore, pur rimanendo sempre in casa col padre, in realtà ha sempre vissuto da schiavo,  non ha capito di essere un figlio amato e di godere della libertà di figlio: 31Gli rispose il padre: “Figlio, tu sei sempre  con me e tutto ciò che è mio è tuo; 32ma bisognava far festa e rallegrarsi, perché questo tuo fratello era morto  ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”». Il suo è uno sfogo carico di rancore. Non è stato ancora  capace di far proprio lo “stile del padre”: vive ammirando quanto ha attorno, desideroso di impossessarsene, ma  prigioniero delle sue paure. Sono atteggiamenti che riflettono e amplificano la dinamica del peccato originale descritto in Genesi: “La donna vide che l’albero era buono da mangiare, gradevole agli occhi e desiderabile per acquistare  saggezza; prese del frutto e ne mangiò, e ne diede anche al marito(Gen 3, 6-7). La tendenza a lasciarsi attrarre dal  fascino del peccato è ormai insita in ciascuno di noi, fa parte del nostro DNA: l’inclinazione non è ancora peccato,  ma la spinta talvolta è talmente forte e violenta, che ci lasciamo attrarre da tale ingannevole fascino, illusi di poter  aprire gli occhi e diventare come Dio (cfr Gen 3,5). Il figlio maggiore vive con questo stato d’animo. Non è capace di  vivere nella casa del padre godendo di stare con lui, gioendo delle sue gioie. L’esperienza ricorda il padrone di casa  che chiamò al lavoro vari uomini in varie ore del giorno, e alla fine disse a chi aveva lavorato di più: “…Non posso  fare delle cose mie quello che voglio? Oppure tu sei invidioso perché io sono buono?” (Mt 20,14). Come il pastore che ha  ritrovato la pecorella e la donna che ha ritrovato la moneta, così anche il padre fa festa e di fronte al rifiuto del figlio  maggiore di entrare in casa, gli va incontro per coinvolgerlo nella sua gioia. Ma il figlio non capisce, è fuori di sé.  Lui si era fatta un’idea ben precisa, che ora si frantuma di fronte alla bontà del padre. Per capire questo passaggio,  è importante riprendere il testo dell’Esodo che la liturgia ha scelto come prima lettura, l’episodio del “vitello d’oro”.  Dato che il popolo non vede rientrare Mosè, decide di farsi “un vitello d’oro” e di adorarlo come colui che ha reso  possibile l’uscita dalla schiavitù dell’Egitto. Il popolo dimostra di non avere memoria, di cercare solo di soddisfare pruriti immediati e superficiali, ma dimentica Chi veramente lo ha reso libero. Chi veramente sta all’origine del suo essere popolo. Così il fratello maggiore: dimentica la cosa più importante: di essere figlio. E descrivendo la reazione  del figlio maggiore, Gesù – senza esprimere giudizi – fa capire ai suoi interlocutori scribi e farisei – che sono come  il fratello maggiore: incapaci di partecipare alla gioia del Padre del cielo perché accecati da invidia e da rancore e  prigionieri di una legge che si sono costruiti; non sono più capaci di ri-cordare la Legge di Dio: “Trascurando il co mandamento di Dio, voi osservate la tradizione degli uomini» (Mc 7,8). Hanno dimenticato Chi sta all’origine della loro  e nostra vita: Dio, Padre nostro.  

Gesù è venuto per ricordare a chi è smarrito (come il figliol prodigo) che può sempre tornare a casa, perché è la  casa del Padre e resterà sempre anche la sua casa. Ma è venuto anche a ricordare a chi è rimasto in casa, spesso o  talvolta osservante di ogni regola esteriore, che non siamo chiamati a vivere da schiavi, ma da uomini e donne  liberi, e che la regola somma è l’amore, perchéDio “Vuole che tutti gli uomini siano salvati(cfr 1Tm 2,4). Un cammino  di salvezza che si potrà realizzare solo nel rispettoso riconoscimento che siamo tutti figli dello stesso Padre, siamo  “Fratelli tutti”. In questo modo Gesù, nel suo viaggio verso Gerusalemme, ci aiuta a fare un passo ulteriore: come  Lui è pronto a dare la vita “per tutti”, così anche noi siamo chiamati a farci tutto a tutti, nell’amore. Un cammino  che non è stato facile per i primi discepoli, e non lo è neppure per noi: ma non dobbiamo rinunciare a tenere fissa  la Meta e da essa lasciarsi guidare. Distogliere lo sguardo, significa perdersi. Basterebbe ricordare l’esperienza di  Pietro a Giaffa, quando vide scendere dal cielo una tovaglia con dentro ogni genere di animale: di fronte al rifiuto  di Pietro di prendere e mangiare, il Signore gli disse: “Non devi considerare impuro quel che Dio ha dichiarato puro”  (cfr At 10). Con questo “sogno” Pietro capì che il Signore era venuto per tutti, anche per i pagani, anche per Cornelio  che lo stava cercando in città. 

In queste parabole Gesù svela non solo lo “stile di Dio”, ma il suo “stesso cuore”. Dio non può che essere amore.  Non può che agire con misericordia, perché Egli è misericordia. Anche noi siamo chiamati a “ritornare in noi stessi”  come il figliol prodigo, a prendere coscienza che a volte, lungo il cammino della vita, anche noi prendiamo abbagli.  Ci illudiamo di poter fare da soli, di costruirci da soli la nostra vita. Ma non è così. Inoltre anche noi, come il figlio  maggiore, talvolta ci poniamo in atteggiamento di giudizio verso coloro che hanno sbagliato, non siamo capaci di  accettare che tutti, veramente tutti, possiamo sbagliare. Una lotta che ritroviamo prima di tutto nei nostri cuori,  quando non siamo capaci di reagire di fronte le nostre fragilità, e restiamo rintanati per paura e vergogna. Ma basta  alzare un pizzico lo sguardo del cuore per capire che Dio ci sta attendendo a braccia aperte, come fece con Pietro  dopo la risurrezione: “Pietro, mi ami? Sì, Signore, tu sai che ti voglio bene…allora seguimi”. (cfr Gv 21)! Non dobbiamo  far risuonare in noi le voci del fratello maggiore che tenta di tenerci all’angolo, ma la voce del Padre del cielo. Non  dobbiamo lasciarci imprigionare dal ricordo delle nostre fragilità, ma dal ricordo delle grandi gesta che Dio ha compiuto e continua a compiere in noi e attraverso noi.  

Perché alla fin fine ciò che dobbiamo diventare non è il figlio maggiore che sta sempre in casa – e comunque lo fa sbagliando – ma diventare come il Padre del cielo, che fa piovere sui giusti e gli ingiusti (cfr Mt 5,45). Perché “Vi sarà  gioia nel cielo per un solo peccatore che si converte, più che per novantanove giusti i quali non hanno bisogno di con versione(cfr Lc 15,7).  

Ecco perché è importante andare sempre a confessarsi! A non temere di andare a confessare i nostri peccati da vanti a un sacerdote: lui è sempre pronto a donarci l’abbraccio misericordioso del Padre, sapendo che in cielo fanno  festa per me, per ciascuno, perché come è avvenuto per san Paolo, così avviene per noi in ogni istante: “Mi è stata usata misericordia, perché agivo per ignoranza, lontano dalla fede(cfr 1Tm 1,13).

Cosa rispondo io oggi alla Parola/Gesù

Colletta anno C

O Padre, che in Cristo ci hai rivelato la tua misericordia senza limiti, donaci di accogliere la grazia del perdono, per ché la Chiesa si rallegri insieme agli angeli e ai santi per ogni peccatore che si converte. 

Signore Dio, 

Tu sei Porta aperta, 

aiutami a ritornare da Te! 

Signore Dio, 

Tu sei Amore, 

aiutami a lasciarmi amare da Te! Signore Dio, 

Tu sei Misericordia, 

aiutami a lasciarmi perdonare da Te! Signore Dio, 

Tu sei Festa infinita, 

aiutami a gioire con Te! 

Signore Dio, 

Tu sei Storia di salvezza, 

aiutami a vivere questa Avventura con Te!  Signore Dio, 

Tu sei Dio, 

aiutami ad essere figlio in Te.  

Così sia. 

Il commento al Vangelo di domenica 11 SETTEMBRE 2022 curato da don Andrea Vena. Canale YouTube.