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don Andrea Vena – Commento al Vangelo di domenica 10 Marzo 2024

Commento al brano del Vangelo di: Gv 3,14-21

Siamo giunti alla IV domenica, detta “laetare”/rallegrati. La gioia emerge dai testi della Scrittura e si  riflette sui segni che la liturgia suggerisce in questo giorno: la possibilità di mettere dei fiori sull’altare, di poter  usare il suono dell’organo anche senza accompagnare i canti, i paramenti del sacerdote che anziché esser viola  oggi sono color rosaceo.

Segni per indicare quella sorta di “respiro” che dà la possibilità di riprendere fiato e  affrontare le ultime due impegnative tappe di questo cammino. Proprio come quando si va in montagna: s’inizia a  salire e le gambe cominciano a dolere, ancor più se poco allenati. Ad un certo punto intravediamo la vetta: quello  sguardo rinfranca, fa dimenticare la fatica e porta a raccogliere tutte le forze per affrontare l’ultima salita. Così la  liturgia, palestra di vita: abbiamo preso atto di essere fragili (mercoledì delle ceneri), che la vita è un terreno di  battaglia dove bene/male, Dio/satana si fronteggiano (I domenica), che comunque siamo tutti chiamati a una vita  di gloria (trasfigurazione), che possiamo raggiungere nella misura in cui impariamo a custodire “la Parola”,  lasciando ad essa la libertà di “educarci” anche se costa fatica (III domenica).  

Il testo del vangelo ci presenta il dialogo tra Gesù e Nicodemo. A introduzione di questa Parola, nella  prima lettura ci viene offerto il testo del secondo libro delle Cronache, che per gli ebrei è l’ultimo libro della  Scrittura. Lo evidenzio perché si tratta di un finale di speranza. Il testo ci presenta l’infedeltà dei capi di Giuda, dei  sacerdoti e del popolo, che si contaminano con gli idoli degli altri popoli. Si noti che la contaminazione ha inizio  dalla “testa” del popolo, da coloro che dovrebbero essere di esempio (cfr Mt 23,1ss: “Dicono ma non fanno”)!

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Di  fronte a questa storia di infedeltà, Dio manda comunque i suoi messaggeri per ammonire, ma inutilmente: “Si  beffarono dei messaggeri di Dio, disprezzarono le sue parole e schernirono i suoi profeti al punto che l’ira del Signore  contro il suo popolo raggiunse il culmine… i nemici incendiarono il tempio del Signore, demolirono Gerusalemme… il re  dei Caldei deportò a Babilonia gli scampati di spada, che divennero schiavi… per settant’anni”. Poi avvenne qualcosa  di incredibile, continua il testo: “Nell’anno primo di Ciro, re di Persia, il Signore suscitò lo spirito di Ciro che fece  proclamare per tutto il suo regno, anche per iscritto: “Così dice Ciro, re di Persia”: “Il Signore Dio mi ha concesso tutti i  regni della terra. Egli mi ha incaricato di costruirgli un tempio a Gerusalemme, che è in Giuda. Chiunque di voi  appartiene al suo popolo, il Signore, suo Dio, sia con lui e salga”.

Per mezzo di un re “straniero” il popolo può tornare  a Gerusalemme. Quel popolo che prima ha disprezzato Dio e ha sottovalutato la sua premura, ora riconosce e  accoglie quanto il Signore sia attento al suo popolo: 70 anni ci sono voluti perché il popolo comprendesse tale  premura! Sarà la IV alleanza tra Dio e il suo popolo, perché non può esserci alleanza se non c’è libertà (I alleanza  con Noè; II con Abramo, III con Mosè). Come un tempo il Signore donò al popolo il re Ciro, oggi dona il suo stesso  Figlio, nuova alleanza, nuova proposta di salvezza.  

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Gv 3, 14-21 | don Andrea Vena 72 kb 30 downloads

V domenica di Quaresima, anno B – 2Cr 36,14-16.19-23 Sal 137 Ef 2,4-10 Gv 3,14-21…

v. 14: “Come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il Figlio dell’uomo…”: disse  Gesù a Nicodemo, un fariseo, capo dei Giudei, il quale andò di notte da Gesù per non farsi notare (lo ritroveremo,  ancora “di nascosto”, quando andrà a tirare giù dalla croce Gesù in Gv 19,38-39). È un uomo che sta cercando la  verità: Gesù lo invita ad aprirsi alla Verità. Gli ha appena detto che per entrare nella vita eterna è necessario  rinascere dall’alto (Gv 3,3), e di fronte a questa proposta, Nicodemo è smarrito: aveva iniziato il dialogo mostrando  il suo sapere “Sappiamo che sei venuto da Dio” (Gv 3,2), ma poi il suo sapere si trasforma solo in domande: “Come  può nascere un uomo quando è vecchio? (3,4), “Come può accadere questo?” (3,9). Nicodemo, cercatore della verità,  non ha paura di lasciarsi interrogare da Colui che è la Verità  

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v. 15: “Perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna”: la salvezza, fa capire Gesù, è per “chiunque”, non per  “alcuni”. È per tutti. Nicodemo era stato formato da quella scuola che riteneva che la vita eterna è “premio” per buona condotta; Gesù fa capire che la vita eterna è dono che si riceve semplicemente credendo in Lui, lasciandosi  amare da Lui. Non domani, cioè nel futuro, come crede Nicodemo, ma oggi, qui: il verbo è al presente: “chiunque  crede”. Come accennato domenica scorsa riguardo altema delle “10 parole”, si è salvi non se si aderisce a “parole”,  ma se si aderisce a una Persona innalzata, che si fa dono: “Non c’è amore più grande che dare la vita” (Gv 15,13).  

v. 16: “Dio ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito, perché chiunque crede non vada perduto…”: Dio,  dice il testo, ha amato il mondo. Il “dare il suo Figlio” non è solo collegato all’incarnazione (v 17), ma anche alla  crocifissione: lo consegnò alla morte affinché fosse “innalzato””, (vv 14-15). A fare da sfondo è il Servo sofferente:  “ha consegnato se stesso alla morte ed è stato annoverato fra gli empi” (Is 53,12). 

v. 17: “Dio, infatti, non ha mandato il Figlio per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per  mezzo di lui”: troviamo il verbo “mandare” anche riguardo alla missione del Paraclito/Spirito santo: “Lo Spirito  Santo che il Padre manderà…”(Gv 14,16.26). La salvezza è dunque data a tutti, l’essere salvati dipende dalla libertà  dell’uomo, dal suo riconoscere di essere salvato: si ripensi al brano dei dieci lebbrosi, tutti sono guariti, ma uno solo  torna indietro a ringraziare Gesù e viene anche salvato (cfr Lc 17,11-19). La fatica di Nicodemo è quella di “uscire”  dai suoi schemi, dal suo “umano sapere”, e, rinascendo dall’alto, entrare nella logica di Dio che è Amore. Gesù è  venuto come “medico”: “Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati” (Mt 9,12); “Non sono venuto a  chiamare i giusti, ma i peccatori, perché si convertano” (Lc 5,27). Il paradosso è che Gesù salverà morendo in croce!  

Il cammino di conversione che Gesù chiede a Nicodemo è quello di passare da credere di “sapere” (3,2) Dio a ri conoscere e credere che “Dio che è Amore” (cfr 1Gv 4,8).  

v. 18: “Chi non crede è già stato condannato, perché non ha creduto….” : salvarsi, dice Giovanni, significa ricevere  la vita eterna, come troviamo confermato in un altro passaggio: “Il Padre ha mandato il Figlio come salvatore del  mondo” (4,14). Il giudizio di “condanna” non viene quindi da Dio, ma dal rifiuto dell’uomo alla sua proposta, come  avvenuto con il popolo d’Israele che non ha ascolto i messaggeri di Dio. 

v. 19ss: “Il giudizio è questo: la luce è venuta nel mondo, ma gli uomini hanno amato più le tenebre che la  luce…Chiunque infatti fa il male, odia la luce… Chi fa la verità viene verso la luce, perché appaia chiaro che le  sue opere sono fatte in Dio”: la luce, fa capire Gesù, infastidisce se vivi nelle tenebre. Gesù non dice “chi fa il male”,  ma chi “ama le tenebre” (v19): il verbo amare (agapao) indica amore, preferenza, attaccamento. Non è dunque solo  fare il male, che può avvenire per debolezza umana; questi peccati il Signore “li calpesta e li getta in fondo al mare”  (cfr Mi, 7,19; Lc 15). Gesù fa capire che chi preferisce il male, chi lo sceglie, chi lo giustifica… rifiutando la luce di  Dio, questi è condannato. “Da morti che eravamo per le colpe, Dio ci ha fatto rivivere con Cristo: per grazia siete  salvati”, ricorda san Paolo nella II lettura (tratta dalla lettera agli Efesini). L’eucaristia è “memoriale”, cioè ci rende  “contemporanei a Gesù e al suo unico sacrificio di salvezza per noi! Volgere lo sguardo a Gesù, che si offre per noi  nell’Eucaristia è garanzia di salvezza. 

Le letture che abbiamo accostato ci hanno permesso di andare alla “radice”, alla “fonte” della gioia cristiana: Dio  ha donato suo Figlio per la nostra salvezza! Potremmo dirla così: Chi sono io? Chi è l’uomo? Io sono l’amato di Dio,  a tal punto che per amore, Egli mi ha donato il Figlio suo (3,16). Questo sono io, siamo noi: amati. Eppure, noi non  lo comprendiamo fino in fondo perché temiamo che Dio sia “ostacolo” alla nostra vera gioia (cfr Gn 3, Adamo ed  Eva). Il cammino quaresimale è il tempo propizio per liberarci da quanto ostacola in noi questa certezza. Capite  che le “rinunce” quaresimali sono solo un segno di un qualcosa di più profondo che va “eliminato” in noi: ogni  desiderio disordinato che mi fa dimenticare che Dio stravede per me! Lo diceva già papa Benedetto XVI: “All’inizio  dell’essere cristiano non c’è una decisione etica o una grande idea, bensì l’incontro con un avvenimento”.  

Il vangelo di oggi mi e ci dice che Dio vuole costruire con me e con ciascuno una relazione d’amore; si offre a noi  nel suo Figlio Gesù, luce del mondo. E questa proposta è per tutti!  

La misericordia di Dio, come con Nicodemo, illuminerà le nostre notti e ci permetterà di proseguire con fiducia il  cammino. L’esperienza di Nicodemo e della luce, ci offre un suggerimento importante: Dio ci fa una proposta; a  noi accettarla o no. Non c’è spazio per la neutralità. Questa scelta va compiuta prima di ogni azione: prima si è  chiamati a credere, e poi ad agire in Nome di Colui che amiamo. Se sarò e saremo certi di questo, l’unica cosa che  potremo comunicare è la gioia di essere amati da Dio! Il resto è un di più.

APPENDICE (il cammino quaresimale) 

[…]

IV domenica (Gv 3,14-21): qualcuno potrebbe sentirsi “escluso” ma sbaglia. Il Signore è venuto per dare  la vita per tutti, per salvare tutti noi: basta fare una scelta di fede, evitando di lasciarsi contaminare dalle opere di  quanti vivono nelle tenebre (I lettura), e abbracciando colui che è la nostra Luce, Gesù, grazie al quale siamo salvati  (II lettura): questa è la nostra gioia! Per questo “Mi si attacchi la lingua al palato se lascio cadere il tuo ricordo,  Signore” (salmo). 

V domenica (Gv 12,20-33): Gesù si presenta come quel chicco di grano che chiede di essere gettato per  morire e portare frutto. È la sua “ora” di obbedienza totale al Padre, che lo glorificherà. In questo modo si  concluderà l’alleanza nuova e definitiva e Dio non ricorderà più il peccato dell’uomo (I lettura). Imparando  l’obbedienza, Gesù divenne causa di salvezza per tutti, sigillando l’eterna alleanza (II lettura) non su tavole di pietra,  ma direttamente nei cuori: “Crea in me o Dio, un cuore puro” (salmo).  

Domenica di Passione, “Portale” della settimana santa. Compreso che siamo “deboli” (Le ceneri),  sempre in lotta tra il bene e il male (I dom), ma senza rinunciare a puntare sempre verso l’alto (II dom), forti della  gioia che il Signore ci ha salvati (IV dom), e consapevoli che tutto questo lo abbiamo ricevuto gratuitamente da  Gesù (V dom), non resta che accettare di partecipare alla sua “passione” (Le palme).  

Si tratta, cioè, di accettare di mettersi “dietro a Lui” nel momento più cruento, evitando di rinnegare, di tradire, di  scappare. Ne vale la credibilità della nostra testimonianza.  

Triduo Pasquale: Lo “stare dietro”, comporta entrare nella sua logica.  

Giovedì santo: partecipare al banchetto dove Lui si fa dono: qui impariamo a renderci capaci di farci  noi stessi dono gli uni per gli altri, sapendo comprendere e vivere, come suggeriva don Tonino Bello, la  “grammatica dell’Eucaristia”, ossia la Messa come la intendiamo; ma anche la “logica dell’Eucaristia” che è farsi  servizio, espressa nella lavanda dei piedi: “Vi ho dato l’esempio…perché lo facciate anche voi”.  

Venerdì santo: “stare dietro”, che chiede di imparare a seguire Gesù e, sull’esempio della Vergine Maria,  stare “ritti in piedi” anche sotto la croce.  

Sabato santo: camminare chiede anche la capacità di fermarsi, di attendere, di ritrovarci. Il silenzio di  questo giorno è forse il più difficile. Vivere nell’attesa.  

La notte tra il sabato e la domenica: Pasqua! Solo chi vive nell’attesa, incontra il Risorto, come la  Maddalena. E, incontrato, non si può che andare ad annunciare di averLo visto e toccato. È la gioia della  testimonianza della vita. 

Per gentile concessione di don Andrea Vena. Canale YouTube.

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