don Andrea Vena – Commento al Vangelo di domenica 1 Ottobre 2023

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Dopo le domeniche dedicate alle figura di Pietro (27 agosto-3 settembre, Mt 16,13-20 e 16,21-27); le due dedicate al  tema del perdono (10-17 settembre, Mt 18,15-20 e 18,21-35), seguite dalla riflessione sull’agire «scandaloso» di Gesù  che tratta secondo amore e non calcolo (24 settembre, Mt 20,1-16), oggi la liturgia ci presenta la parabola dei due figli: Gesù invita i suoi interlocutori, e oggi ciascuno di noi, a domandarci se l’agire «scandaloso» sia il suo o il nostro.

Così il  testo di Ezechiele scelto come prima lettura: «Non è retta la condotta del Signore o non è retta la vostra? Se il giusto si  allontana dalla giustizia e commette il male e a causa di questa muore, egli muore appunto per il male che ha commesso. E  se il malvagio si converte dalla sua malvagità… e compie ciò che è retto e giusto, egli fa vivere se stesso…». Il Signore Gesù  invita a mettere al centro non tanto la «legge», quanto la persona, quasi a ricordarci che è più importante la persona  concreta che gli schemi mentali-legalistici che uno si è costruito. Gesù con questo non sta negando la Legge o le tradizioni, ma le sta riportando al loro vero significato. Ricordando che c’è sempre tempo per convertirsi e che Dio non dimentica i suoi figli, come saremo invitati a pregare nel salmo: «Insegnami i tuoi sentieri… guidami nella tua fedeltà… Ricordati Signore della tua misericordia e del tuo amore… peccati e ribellioni non li ricordare… ricordati della tua  misericordia».  

vv. 28-30: «Che ve ne pare? Un uomo aveva due figli. Si rivolse al primo e disse: “Figlio, oggi va’ a lavorare nella  vigna”. Ed egli rispose: “Non ne ho voglia”. Ma poi si pentì e vi andò. Si rivolse al secondo e disse lo stesso. Ed egli  rispose: “Sì, signore”. Ma non vi andò».  

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Gesù ormai sta predicando pubblicamente e il suo parlare e agire non è gradito dai sacerdoti del tempio e dai farisei.  Così, per farsi capire, racconta la parabola dei due figli. 

Il primo rifiuta di andare a lavorare perché «non ne ha voglia», ma poi si pente e va. Il secondo, invece, risponde prontamente «Sì, signore», ma poi non ci va. Il primo reagisce d’impulso ma poi si ricrede e fa, il secondo agisce di facciata.  Entrambi di fatto cambiano idea e rivelano ciò che veramente i loro cuori custodiscono. Cambiare idea, quindi, è legittimo, pur di non restare prigionieri alle proprie rigidità. Se notiamo il motivo per cui il primo figlio non va è che «non ne  ha voglia».

È un agire immaturo, perché nella vita non è detto che si debba fare solo ciò che piace: una persona matura  agisce semplicemente perché «si deve». Pensiamo a un genitore che rientra dal lavoro: non può permettersi di dire  «non ho voglia di fare da mangiare» ai bambini che stanno aspettando. Lo fa, punto. E così quando al mattino deve  andare a lavorare: non è detto che si va a lavorare solo «quando se ne ha voglia!». E infatti, il primo figlio, una volta che  si è pentito della risposta, va e lavora, cioè recupera la relazione col Padre, sapendo rinunciare alla sua personale visione.  Il secondo figlio, invece, si dimostra subito disponibile, ma alla fine non asseconda la volontà del padre: «Sì, Signore… ma non ci andò». Tanto che il testo del vangelo lascia in sospeso l’evolversi futuro di questo figlio. Quasi una porta  aperta a un futuro pentimento.

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Per ora, sappiamo che non ci va, prigioniero della sua posizione, del suo agire di facciata  ma senza autentica relazione col Padre. Non dimentichiamo che anche Gesù, nel Getsemani si è trovato a un bivio ma  disse: «Padre, non sia fatta la mia, ma la tua volontà» (cfr Lc 22,42). In fondo, come abbiamo visto in queste domeniche,  non stiamo dietro a Gesù per farGli fare la nostra volontà, ma per chiedere a Lui di aiutarci a sintonizzarci con la Sua.  Ma c’è anche un altro aspetto che merita di essere evidenziato. Questo secondo figlio si rivolge dicendo «Si, Signore», usando cioè il termine «Kyrios», Signore. Un figlio rispettoso anche nella terminologia, dunque, ma poi incapace di  relazionarsi con verità. Un dato che forse fa pensare che questo modo e questi termini sono più dettati da paura e formalismo, che da convinzione.  

La parabola ci aiuta a comprendere ancora una volta che stare dietro al Signore non annulla la pretesa di voler fare di  testa nostra (lo abbiamo visto anche con Pietro, il 3 settembre); la sequela non annulla il combattimento interiore che  ti porta a preferire le «tue voglie» anziché la volontà del Padre del cielo. Bene e male, grano e zizzania convivono nel  nostro cuore, nei nostri pensieri. Tale ambiguità abita la nostra vita interiore. I due figli abitano i nostri pensieri e i nostri  sentimenti/affetti: non dobbiamo vergognarcene né preoccuparci. Gesù ci mette semplicemente in guardia: la fedeltà  a Lui è un divenire, fatto di ribellioni, di rinunce, di cadute, di rialzi. Ciò che importa a Gesù non è tanto il risultato o il tempo, come abbiamo visto domenica scorsa, ma lo «stare con Lui nella sua vigna». E la strada maestra la disponibilità  a «pentirsi», a evitare di vivere di facciata.  

vv.31-32: «Chi dei due ha compiuto la volontà del padre?”. Risposero: “Il primo”. E Gesù disse loro: “In verità io vi  dico: i pubblicani e le prostitute vi passano avanti nel regno di Dio. Giovanni infatti venne a voi sulla via della giustizia, e non gli avete creduto; i pubblicani e le prostitute invece gli hanno creduto. Voi, al contrario, avete visto queste  cose, ma poi non vi siete nemmeno pentiti così da credergli».  

In questa terza scena siamo invitati da Gesù a prendere posizione. «Che ve ne pare?», diceva Gesù all’inizio. Ecco, ora  Gesù invita i suoi interlocutori a dire la loro. E proprio perché riconoscono che il primo figlio è stato corretto, Gesù tira le conclusioni. Alla parola di Giovanni Battista pubblicani e peccatori hanno creduto e hanno cambiato vita. Sacerdoti  e farisei, invece, sono rimasti fermi sulle loro posizioni, prigionieri di regole che si sono costruiti! Infatti, come notiamo  dal testo, l’evangelista utilizza due volte il termine «pentirsi». La prima, riferita al primo figlio che dice no e poi va; la  seconda è rivolta ai sacerdoti e anziani ma in chiave negativa: di fronte a Giovanni battista… «Non vi siete nemmeno  pentiti». Parole che anziché suscitare pentimento, alimenteranno in essi ancor di più indignazione, accrescendo la loro  opposizione verso il Signore Gesù.  

Questo modo di dire e agire non riguarda solo il passato. Abbiamo poc’anzi detto che i due figli convivono in noi e quindi  è una questione sempre attuale. Come un tempo, ancora oggi c’è chi dice «Signore, Signore…» ma poi tutto si ferma lì  (cfr Mt 7,21), a tal punto che Gesù dirà «Osservate quello che dicono ma non fate quello che fanno» (cfr Mt 23,3). La Parola  di Gesù ha smascherato l’ambiguità dei sacerdoti del tempo, ma continua a smascherare i credenti d’oggi che mangiano  alla sua tavola, ma in verità non seguono l’insegnamento di Gesù (cfr Mt 7,22-23ss).  

Gesù mira a smascherare quanti vivono di ambiguità: non lo fa per umiliarli, ma per accompagnarli a un sincero pentimento. Alla verità di loro stessi. Coltivare un cuore contrito e umiliato, ricorda il salmo 51, significa lasciarsi spezzare il  cuore (contrito significa proprio spezzare il cuore) per divenire sensibili alla presenza di Dio.  Oggi Gesù chiede a ciascuno di noi se accettiamo di ascoltarlo. Come Pietro (27 agosto), sono pronto a professare la  mia fede nel Signore?

Sono pronto ad accettare di rinunciare al pensiero del mondo per abbracciare il pensiero di Gesù  (3 settembre), lasciandomi ispirare dalla logica della misericordia (10 e 17 settembre), senza limiti e misura (24 settembre)? La sfida che ci viene posta innanzi è grande: ma il Signore è sempre pronto a venirci incontro, a rialzarci, a perdonarci. E lo fa per tutti: quel secondo figlio … non sappiamo se poi si è pentito ed è andato anche lui. Ma questa porta  aperta, che non ci da risposte definite, lascia aperta la speranza.  

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Mt 21, 28-32 | don Andrea Vena 60 kb 5 downloads

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