don Alessandro Dehò – Commento al Vangelo del 8 Marzo 2020

La vita è un Calvario, trasfigurato (e viceversa)

“Non parlate a nessuno di questa visione, prima che il Figlio dell’uomo non sia risorto dai morti” perché questa visione senza Calvario non solo non può essere capita, non solo non può essere narrata ma proprio non può esistere. Perché la Trasfigurazione senza il monte “che aveva loro indicato”, quello della manifestazione del Risorto, quello del capitolo ultimo del Vangelo, non è nemmeno immaginabile. La Trasfigurazione è comprensibile solo alla fine, nell’atto della sovrapposizione dei fatti e delle loro interpretazioni. Come se la pagina di Vangelo appena letta ci volesse avvertire di non trattare mai la Trasfigurazione da sola, di ricordarci che è stata scritta dopo, insieme al monte Calvario e a quello dell’apparizione dopo la Resurrezione.

Credere di poter decifrare la Trasfigurazione, la vita tutta, solo rimanendo nel perimetro stesso del testo è atto di miopia, è un tradimento alla parola. Bisogna vivere sovrapponendo. Imparando l’arte di muoversi, che la Vita è cosa viva e se provi a bloccarla, come si faceva con certi insetti rari in una qualche bacheca di museo, in quel momento la Vita non è più viva.

Bisogna salire al monte della Trasfigurazione ma non accontentarsi, non credere che sia solo quel monte. Bisogna salire al monte della Trasfigurazione e sovrapporre il Calvario e sovrapporre il monte della Risurrezione e quello che emerge è un gioco di luci e di ombre misterioso e affascinante. Sovrapporre, sentire che la vita è fatta a strati e che basta graffiare via le apparenze per sentire che sotto il volto luminoso di Gesù ci sono le tenebre della passione, che sotto il volto crocifisso c’è la luminosità del Risorto, che dentro le pupille della Visione ci siamo noi, groviglio di luci e tenebre.

Dobbiamo imparare a leggere la vita così, spostandoci nel tempo, scendendo in profondità e volando ad altri sguardi, facendo dialogare gli eventi e il tempo e le cose, muovendoci. Altrimenti la vita inganna. Altrimenti avrebbe ragione Pietro: fermiamo tutto così, costruiamo tre tende che qui la vita è buona e promettente. Invece è proprio questo il peccato del discepolo, è questo il rischio terribile: fermare la vita come fosse un insetto da museo. Non accettare la complessità, la sovrapposizione, la mutevolezza e la transitorietà delle cose.

Scorrere e vivere a piani differenti. E mentre c’è luce sentire l’alito freddo delle tenebre appena lì sotto, dove c’è vita non fingere che la morte non esista, dove c’è amore sentire il brivido dell’odio, non accontentarsi della prima lettura, sapere che innamorarsi è già soffrire per la nostalgia, che stringere patti è già esporsi al tradimento, e stare in questa complessità, il più leggeri possibile. E sovrapporre. E così non diventare mai definitivi, sapere che sotto le apparenze c’è anche un’altra verità e che le apparenze sono comunque una verità.

Gesù parla con Mosè e Elia, invano chiedersi di cosa siano il simbolo, poco importa se rappresentano la Legge e i Profeti oppure no, quello che Matteo vuole dire è che Gesù sul monte parla con gente che di casa sta in cielo. Quello che importa però è sovrapporre e vedere che sul monte chiamato Calvario Gesù sta in compagnia di due farabutti, di due scarti della società, di due condannati, gente che di casa sta all’inferno. E di sovrapposizione in sovrapposizione andare sul monte della resurrezione e vedere, vedere chiaramente, che in quelle figure di discepoli dubitanti che si chinano a terra ci sono ospiti celesti e ospiti terreni, ci sono santi e assassini, ci siamo noi. Che siamo luce e tenebra. Che siamo trasfigurazione, morte e resurrezione.

E questo dovrebbe aiutarci a non fermare mai la vita in un giudizio definitivo, a non rinchiudere in capanne rassicuranti le nostre conclusioni sulla vita. Nessuna conclusione per ora, solo un cammino sui monti, dove la sinfonia dell’esistenza si muove tra luce e tenebre, santità e disumanità. Sapere e vedere che anche sul Calvario, strappando il velo, c’è un Cireneo, un centurione e soprattutto c’è lo spazio del perdono di Gesù. Sapere che anche sul monte della resurrezione c’è spazio per il dubbio. Sovrapporre e stratificare la vita ci aiuterebbe a rimanere umili, e capaci di chiederci continuamente come fare spazio alla luce, come graffiare via le pareti della tenebra, almeno in un angolo, almeno lo spazio per un raggio di vita in una trama di morte. Ma anche graffiare via la troppa luce, per non dimenticare l’ombra della morte, che per ora, respira in ogni istante.

Imparare questa complessità potrebbe essere buona cosa anche per i tempi che viviamo che, in modo più esplicito, hanno mostrato la fragilità e la transitorietà delle cose. Inutile chiudere la vita sotto le capanne della illusoria sicurezza, inutile chiudere fuori la morte (a morire per epidemia di solito è sempre qualcuno lontano!), non si può. Basta graffiare le apparenze della nostra luminosa civiltà ed ecco la morte arrivare e bloccare tutto. Così è. Così era già. Così sarà anche in momenti apparentemente più tranquilli. Ci dimentichiamo di sovrapporre le esperienze, di sapere che c’è morte nella vita, che bloccarci in un sorriso eterno e in un disimpegno vacuo è una follia. Graffiare la vita e lasciare che morte e vita scorrano una nell’altra. Imparare a stare, sempre e comunque. Sul monte della Trasfigurazione era davvero “bello per noi stare qui”? Forse, di sicuro bastava graffiare e sentire che la morte sorrideva di noi. Ma graffiare anche sul Calvario dove un po’ di luce è filtrata attraverso lo stabat Mater e anche se magari “non era bello” però qualcuno stava comunque. Inutile fissare l’esistenza, graffiare e far passare rigagnoli di luce e non smettere di fluttuare nella complessità.

Sul Calvario solo silenzio, sul monte della Trasfigurazione una voce “questo è il Figlio mio, l’amato: in lui ho posto il mio compiacimento: Ascoltatelo”. Quella voce, mentre il volto di Gesù è luminoso, è inutile. Ma se sovrapponiamo, se riusciamo a sentire quella voce sul Calvario… cambia tutto. Qualcuno sul Calvario, graffiando, la voce l’ha sentita. “Questo è Figlio di Dio!” vita sovrapposta e trasfigurata, luce nelle tenebre, parola di Centurione.

Fonte – il sito di don Alessandro

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