don Alessandro Dehò – Commento al Vangelo del 6 Gennaio 2022

1561

Don’t look up

Lasciarsi l’oriente alle spalle,
la nascita è sempre fonte di smarrimento,
dis-orientati, per giorni infiniti, forse per sempre, pugnalati dall’ombra del sole che sorprende alle spalle, dimenticare le albe, sciogliersi nei tramonti, morire per dilatazione d’ombra, dileguarsi nello scintillio confuso delle stelle. Inutile pensare di poter camminare e intanto interrogare gli astri, il sogno prevede sempre una qualche forma di sospensione, una dissipazione. Tra il desiderio e l’azione cade il cedimento.

I Magi si accorgono che sono due le vite che servono, o forse cento o mille e che non basteranno mai. Perché se cerchiamo un re quando abbiamo tutto l’Universo a disposizione è solo per paura della dissoluzione, di non essere nient’altro che forma transitoria del niente.

Terra e luna separati da una mucosa stellata di sonno. Arare la terra e incidere il cielo per rendere credibile la membrana tenue del sogno: pericoloso, inconsistente, sacro per definizione e per condanna relegato all’interpretazione.

Il cammino è già tramonto, la morte sorella della visione, la terra scuoia, il vento scortica, l’ideale si corrode inevitabilmente.

Nelle sacche sprofondano mappe e frantumi di consuetudine, brandelli di intuizioni, diottrie sacrificate al cielo, magie, salti mortali, insonnie e vite scorticate da ingenua fede nelle teorie. Ci si perde nei parcheggi di Gerusalemme, la stella illumina al neon le nostre intermittenze.

Chi può si sente mago, re, imbonitore, ciarlatano, curioso, costretto al viaggio. Gli altri sistemano statuine sul muschio riciclato della tradizione.

La fede procede per fallimenti, fraintendimenti, rischiano di uccidere il neonato, consegnano indirizzi al killer, disorientano i piani di Dio, espongono l’Altissimo alla loro incoscienza. Inconsistenza di chi per eccesso di filosofia cede ingenuamente alla bontà di una qualsiasi forma di potere.

Gerusalemme don’t look up ma con meno idiozia. Erode almeno sapeva turbarsi, ancora. E aveva misura di quanto le porte della città potessero ghigliottinare ogni sua parvenza di autorevolezza.

I Magi non sanno, Erode invece comprende, fuori Gerusalemme c’è il deserto, conviene cannibalizzare gli astri, appallottolare le scie, il deserto è aggressivo, parole come locuste e il divino stana, provoca, le mura sono per lui, che se ne stia a distanza. Il sacro quando protegge è complice della Sua lontananza. Tana per i nostri intrighi, danze a decapitare i profeti, preghiera in fondo: che ci lasci in pace.

I sacerdoti e gli scribi purtroppo sanno. Non è loro la debolezza, loro sono al sicuro, è il profeta che non ha scampo. Disinnescano restando, Gerusalemme protegge. Già si intuisce la sfida: e già si desume il vincitore. Si inchioderà al legno l’ennesimo profeta. Il figlio del padrone. Che se ne stia nei cieli, che si faccia cappio della cometa, che si rimandi al mittente il figlio e si tenga la vigna, e si sprema il vino, almeno questo è dovuto a sudditi che non hanno mai chiesto di nascere.

Erode è l’angelo che parla in segreto, i magi sono pastori con la corona, solo credono di sapere, Erode mette in scena la sua annunciazione, sue le coordinate e anche la fede esposta in una paradossale confessione: di poterlo incontrare per poterlo uccidere in tempo, prima dell’ennesima planetaria illusione. Per evitare un male maggiore. Per preservare ogni cosa. Erode, del suo e nostro mondo, è l’angelo e il custode.

Ma poi tutto si disfa, e pare più per cedimento del potente che per altro, passeranno trent’anni prima della resa dei conti, i magi torneranno per altra strada. Orientati stavolta, torneranno a casa, inconsapevoli e incoscienti, cristallizzati in statue da presepio a decretare la fine delle feste e l’inizio delle stragi.

C’è sempre un’altra strada, è quella che permette di sopravvivere, di sfilarsi fuori dal duello. Gesù il disorientante appuntirà a stella il suo dire, una scia di miracoli mal interpretati lo consegnerà al nemico, cocciuto rimarrà a sfidare eternamente ogni Gerusalemme, esclusa ogni altra strada che non preveda il Golgota.
Nessuna strada mai, nessuna stella mai, nessun potere mai. L’oro sulle labbra, la mirra a profumare di morte anche il più ingenuo dei miracoli e l’incenso, sempre l’incenso, come fiato di nebbia fitta nella notte, come una preghiera a tentare di costringere il Padre a mostrarsi.

Ma come per Erode anche l’Onnipotente rimarrà nella Gerusalemme dei cieli. Il silenzio a preservare, custodire, proteggere. Il neonato non cercherà altre strade, d’oro erano forse i capelli incrostati nel sangue. Appuntita la lama a squarcio di un cielo che partorirà a rischio un Dio sacrificato a se stesso. E verrà la luce. L’unico modo per sconfiggere il potere è consegnarsi alla strage. Forse il vangelo è il manuale di chi non fugge più. Di chi si inchioda al suo destino.


AUTORE: don Alessandro DehòSITO WEB Leggi altri commenti al Vangelo della domenica