don Alessandro Dehò – Commento al Vangelo del 5 Giugno 2022

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Vorrei poter non parlare più dell’amore

Pentecoste

Se mi amate…

e io a quel “se” mi aggrappo, e tu lo sai.

L’amore come ipotesi e tentativo, un “se” appeso tra le mie paure, di più non riesco. Possibilità sempre tenue, fragile, come me.

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Vorrei poter non parlare più dell’amore. Ma lasciarlo libero invece, di farsi respirare, quasi inconsapevolmente, una Pentecoste trasparente e nascosta. Feriale.

Vorrei poter non parlare più dell’amore, per non sciupare con la goffaggine delle spiegazioni la pacatezza del mistero, per non danneggiare il seme.

Con la parola l’amore diventa ridondante, e poi io non lo so, io non lo so cosa sia, davvero, l’amore, forse tu sapevi, forse tu avevi capito come trasformare in bene ogni concreto gesto verso gli altri, forse quello è stato il tuo miracolo, trasformarti in amore, io invece no. Io son sicuro di aver fatto del male credendo di amare. Io sono sicuro di essere fuggito pensando di preservare il cuore del fratello. Io sono sicuro di non aver compreso l’amore sotto la scorza dura di certi incontri. Così mi sono spaventato, così ho sofferto, così ho preferito, a volte, smettere di amare per non far soffrire. Così rimango nell’ipotesi, nel “se”, nella possibilità, così la mia Pentecoste si tramuta in labile preghiera, richiesta umile Signore: ti prego, rimani tu attento, che i tuoi occhi stiano chini su di me e se qualche volta sarò attraversato da una lama di luce, se saprò anche solo per un istante lasciarmi trafiggere dall’amore, ti prego, almeno tu, silenziosamente, conserva, ricorda.

…osserverete i miei comandi,

tu parli d’amore come di qualcosa che chiede di essere partorito nel corpo. Come se l’amore chiedesse d’essere osservato e poi mostrato. Tu parli come se non ci fosse amore senza spazio e senza tempo, come se non ci fosse amore senza la nostra carne. Tu ne parli come di una forza che scardina le barriere del tempo, tu ne parli come fosse l’unica declinazione del futuro, tu ne parli come uno che ha saputo farsi corpo d’amore, inchiodarsi al desiderio d’uomo, tu ne parli come uno che non ha risparmiato niente, tu ne parli come un naufrago, come chi si lascia trascinare dalle correnti di una forza divina, tu ne parli come uno che ad un certo punto ha smesso di opporre resistenza. Io vorrei non parlarne più perché io, invece, ho paura, ho paura che tutto sia troppo, ho paura di non essere all’altezza, di farmi travolgere da un gioco più grande di me. Io ho paura dell’amore. Perché l’amore pretende tutto, e io sento di essere quasi niente. Così la mia Pentecoste è una preghiera dimessa e sommessa, è una supplica: rendimi inconsapevole dell’amore che faccio, lascia solo che accada, che abiti pure il mio corpo, che altri, anche solo per un istante possano godere del riflesso divino, della forza d’eternità, ma che io che non sappia, che io non creda, neppure per un istante, di essere capace di Te.

E noi verremo a lui

L’amore è invadente. Pentecoste è Dio che prende casa tra le carni degli uomini costringendosi all’incomprensione. Forse tu avevi saputo farti tempio del padre, forse tu avevi lasciato che ogni parte di te diventasse la Sua dimora, forse tu riuscivi a vedere il Padre presente tra le pieghe di ogni storia, tra le incongruenze del dolore, perfino tra le opacità del peccato. Io ci provo Signore, la mia Pentecoste è che ci provo, ogni giorno. A credere che ogni cosa è invasa da un desiderio divinizzante, a convincermi che ogni volto parli di te. Io ci provo, te lo giuro, questa è la mia Pentecoste, ci provo a sentire che siamo noi l’approdo di ogni divino desiderio, che la vita, per quello che vediamo, è il profilo visibile di Dio. Io ci provo, te lo giuro, ma tu abbi pazienza con me, sappi che comincio solo ora a volermi bene e se ancora uscirò da me per cercarti altrove allora tu, se puoi, rimani in me, mia silenziosa fedele Pentecoste, rimani devoto a quel che sono, rimani crocifisso in me, presidia e aspetta il mio ritorno.

Lui vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che vi ho detto

Forse anche tu hai compreso solo alla fine, forse l’amore è un insegnamento che si svela nel ricordo. Forse anche tu hai avuto paura di amare e di farti amare, forse anche tu sei fuggito dal troppo amore. Io non lo so, vorrei smettere di parlare d’amore, vorrei solo lasciare che accada, vorrei attraversare leggero il mondo lasciandomi segnare da ogni incontro, vorrei che Tu mi in-segnassi nel profondo, vorrei essere in mano tua senza opporre resistenza, vorrei essere docile e imparare la tua calligrafia. Vorrei camminare senza voler tutto capire, tutto risolvere, senza voler trovare subito un senso a tutti i costi, non qui, non ora, vorrei solo lasciare che il mondo accada intorno e dentro di me, vorrei arrivare alla fine con te e infine vorrei che tu mi aiutassi a volgere lo sguardo a ciò che è stato, vorrei, alla fine, saper ricordare, riportare nel cuore. Pentecoste in ciò che è stato. Perché forse sbaglio, ma l’amore si riconosce solo dopo il suo passaggio.


AUTORE: don Alessandro DehòSITO WEB Leggi altri commenti al Vangelo della domenica