don Alessandro Dehò – Commento al Vangelo del 5 Dicembre 2021

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Io tremolante

Viadotti e gallerie, dalle pendici del monte
Traffico intenso sulla Parma-Mare A15
Code a tratti, code attratte dal sole
Code attratte dal sole
Negli occhi un litorale, un’altra estate al mare
Un altro anno d’amore
Parole al sapore di mela, il sale sulle labbra
Tracce d′arsura in gola
Passa il tempo, come acqua sotto il ponte
Un′alluvione di tanto in tanto
Un’alluvione di tanto in tanto
Ma il ponte è stabile, io tremolante
Giovanni Lindo Ferretti – Pons Tremolans

Compagno d’Appennino e di nostalgia Giovanni Lindo Ferretti anni fa cantava questa poesia. Pons tremolans, Pontremoli. Un giorno forse salirò a Cerreto Alpi a ringraziarlo. Attendo di smettere la paura di essere inadeguato, e so che forse non accadrà. Ma va bene così. Mi convinco che esistono strade che per essere percorse non pretendono spostamenti.

Il ponte è stabile, io tremolante, questa vulnerabilità mi è finalmente cara. La voce sciamanica di Lindo risponde al Vangelo di questa domenica, l’ennesimo cortocircuito, l’azzardo che permette la scrittura. Ultimamente non scrivo più omelie, caduta la corazza protettiva, crolla ancora un pezzo di quel ruolo costruito a difesa di un pezzo di mondo che volevo essere mio, che mi difendeva.

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Perché mi leggi? Cosa cerchi tra queste parole? A chi sto scrivendo io ora? Devo dimenticare che queste parole scivoleranno nei social, si scioglieranno nel telematico mondo delle apparenti connessioni. Scrivo sempre più per me, e questo pare basti, sarà l’onestà a salvarci. Il ponte è stabile, basterà pubblicare e nessuna parola sarà più modificabile ma io resterò, tremolante.

“Sei fuori dal mondo” mi dicono, lasciata la A15 a scorrere verso il mare o a tuffarsi nell’Italia produttiva che non sento più mia, “sei fuori dal mondo” mi dicono e sono parole d’ammirazione e di invidia, insieme. Hanno infilato una strada in salita, stretta e senza pietà, hanno parcheggiato, hanno camminato tra macerie di case disabitate che, come cani fedeli, non si rassegnano alla latitanza dei padroni. “Sei fuori dal mondo”, mi dicono, e io all’inizio cedevo alle loro sentenze. Volevo credere. Il Vangelo invece non mente mai. Mi stana, mi provoca. Amico mio, mi dice, tu sei ancora nell’infinito anno dell’impero di Tiberio Cesare, come tutti, solo la morte, finalmente, ti solleverà dal peso degli imperi.

Qualcuno insiste a definirmi eremita, io questa parola non la capisco, per niente, possibile che non si accorgano che a Crocetta ogni mattina passeggia Tiberio Cesare, Ponzio Pilato porta in giro i suoi occhi smarriti, Erode tenta di scrostare sangue innocente dalle mani? Non vedete anche voi Filippo e Lisania e Anna e Caifa? Non sentite anche qui lo scatto di tagliole che morsicano le zampe di animali che si credevano liberi? Solo per me “tetrarca” è il rumore di una trappola che scatta in continuazione?

Vorrei essere fuori dal mondo ma non posso, e il Vangelo di oggi me lo ricorda, strati di parole come colate di cemento mi strappando dall’illusione della distanza. Non si può essere fuori dal mondo, totalitario è il vivere degli uomini su questa terra, i ponti reggono sempre e ognuno può solo fare i conti con il proprio io tremolante. E magari affiancare quello di chi ama. Tutto qui, nel mondo.

Forse a Crocetta il mondo arriva solo più affilato. Questo ho capito. A valle rimangono i movimenti consolatori, i gesti ripetuti, a valle rimangono le maschere, quando il mondo arriva a Crocetta è solo più lucido e tagliente. La A15 scarica nel golfo la poesia sterilizzata dal dolore. Da qui non si passa solo per un saluto, perfino l’unico ristorante è chiuso, dal suo prato hanno tratto vita cinghiali affamati, si arriva per un cedimento, si arriva per condividere la danza tremolante dell’io, si è solo più esposti. Animali braccati. Ma non dico niente di nuovo, anche tu che leggi, tu che ti senti parte del mondo, anche tu hai la tua Crocetta, dove la vita è semplicemente più scarna.

Il Vangelo non mente, ci crocifigge all’io tremolante e assediato da ponti di eventi spesso dolorosi e incomprensibili. Eccola Crocetta. Ecco il deserto del Battista. Ognuno ha il suo.

Crocetta non è una fuga e questo villaggio di resistenti non è in nulla diverso da qualsiasi pezzo di mondo, se sono arrivato fino a qui è solo perché non riuscivo a capirlo rimanendo dove ero prima. Essere qui è un divino atto di pazienza regalato alla mia cocciutaggine.

Arrivano storie lucidate come lame, il tempo è sempre poco, occorre essenzializzare. Ogni cosa in Appennino finisce: la legna, il tempo, le stagioni. Ogni cosa risponde a una grammatica scarna e senza appelli. Ero io che non capivo, travolto dal vortice, non sapevo vedere l’essenziale, mi smarrivo nelle rincorse si inutili riconoscimenti. Perfino l’Avvento era tempo d’accumulo. Stordimenti. Crocetta è un regalo per farmi finalmente entrare nel mondo. Prima avevo paura, volevo proteggermi, straparlavo di ferite ma non lasciavo che la lama sfiorasse la mia pelle. Grandi paramenti sacri a proteggere le mie paure. Eppure avevo introno gente già scuoiata dagli eventi, eppure la vita feroce azzannava e veniva a bussare alla mia porta. Non aprivo, custodivo il mio io tremolante. Non avevo sufficiente fede nel cedimento. Me ne vergognavo. Invece è destino comune.

In verità ognuno ha la sua Crocetta. Anche tu che leggi. Non siamo diversi. Se mi sono dilungato a svelare ciò che credo di avere intuito è perché siamo arruolati nello stesso esercito, soldati o ribelli della stessa sorte. Ognuno ha la sua Crocetta, lo spazio silenzioso tra le macerie. Mia madre che si sente fuori dal mondo mentre galleggia in quell’acquario silenzioso che è diventata casa mia dopo la morte di mio padre, M. che ha visto morire sua moglie e ieri sera stava rimettendo ordine in una casa che rimarrà disordinata per sempre, L. che stamattina è teso come un bambino perché inizierà un lavoro nuovo e lui ha paura di non farcela, F. che ha abbandonato la carriere e ora gioiosamente abita la polverosità della vita e porta pizze ai tavoli di una trattoria, e lo fa sorridendo, G. che pur non credendoci più stamattina sta preparando il cammino di Avvento per i suoi ragazzi, e non importa se non capiranno, T. che si è innamorata di chi non doveva e M. che non è più prete ma vede il Vangelo negli occhi dei poveri che serve in una mensa di città, F. che si sente inadeguato con sua moglie e finge pur di non perderla, L. che scrive da Dio e non si arrende all’evidenza dello scandalo delle raccomandazioni, B. che tra poco dovrà lasciare il lavoro per la pensione ma per lei sarà come morire, S. che si è sentita tradita per aver saputo da altri una scomoda verità, D. che è arrabbiato con tutti per il solo fatto di non essere mai riuscito ad arrabbiarsi almeno una volta con se stesso, M. e la sua omosessualità che vive nella vergogna, R. che ha scoperto la fioritura di un tumore nella testa, F. che non sarà mai madre, R. che credere di avere tradito e invece sta rispondendo alla chiamata della vita … siamo la stessa chiesa e lo sapete bene che solo le iniziali che ho scelto di riportare sono lettere false, voi ed io e tutti quelli che non ho citato, e tutti quelli che incontrerò e quelli che si incontreranno altrove, siamo fratelli, siamo tutti, tutti, io tremolanti, e nessuno, nessuno mai sarà fuori dal mondo. Basta trovare la propria Crocetta. Porta, ingresso, custodia. Basta trovare il proprio deserto fuori dallo scorrimento veloce delle autostrade. C’è per tutti una casa al limite del silenzio e ognuno la abita come può. Esattamente in quel punto il suo io tremolante entra nel mondo.

Non resta che lasciare che alla Parola di accadere, come è successo anche per il Battista, un agguato d’amore teso all’altezza delle nostre solitudini, una lama di luce dove il mondo si manifesta nella sua nudità. Il deserto è il mondo che entra in se stesso, che non si tradisce più. In quel mondo abitato da io tremolanti c’è lo scorrere di un fiume, una promessa di mare, qualcosa che si muove, forse esso stesso un ponte, da qui all’Eterno. In quel pezzo di mondo che ogni io tremolante si scopre di abitare tutto è essenziale, perfino i peccati, continuare a nasconderli è un esercizio inutile, un delitto triste. In quel pezzo di mondo le nostre voci trovano la via del cielo, ed è proprio il deserto a spingerle verso l’alto. Sorrisi e silenzi, lacrime e bestemmie, implorazioni e litanie, verbi tremolanti di una comunità esposta e vulnerabile. Non c’è più tempo per fingere. Non più le forze per mentire. Ci salverà l’onestà. Insieme vedremo sentieri venire alla luce, burroni riempirsi, monti diventare percorribili, il ponte è stabile per ogni io finalmente tremolante. E ogni uomo, ogni uomo, nessuno escluso, tremolante e bellissimo, sanguinante e scoperto, ogni uomo vedrà la salvezza del Signore. Sprofonderemo insieme come foglie e nulla di noi andrà perduto. Tremoleremo insieme verso l’eternità.


AUTORE: don Alessandro DehòSITO WEB Leggi altri commenti al Vangelo della domenica