A cosa ti servo ancora?
Ci sono sere
che incartano
gli inizi
in finitudini affilate.
Palpebre chiuse
non portano
speranza.
Di nuovo
solo questo tempo
catrame
che impasta
passato.
I battenti
chiudono
lievi
a rendere piĂą amara
la resa.
Invento notturne paure,
ma non cercano me,
non sono nessuno,
ho solo bisogno di un nemico
per rendere
cenacolo la sepolcrale tana.
Provo a confondere il mio cuore,
prego,
ma non inciampa piĂą
in labbra
che hanno saputo tradire.
Mi bracca la promessa
della Sua pace.
Al mio fallimento
espone le nostre ferite,
sogno di madre:
si nasce
dallo stesso taglio
di dolore e piacere.
Insiste,
rimane,
il fianco
le mani
rimane
maledico la mia debolezza.
Non volevo
vederti risorto,
così.
A cosa ti servo ancora?
Non voglio essere alibi al tuo fallimento.
Non testimone del tuo perdono.
Non morire della stessa tua infamia.
Non farmi tradire ancora dal silenzio
del tuo muto padre.
Un soffio
bacio
(Giuda!)
non credo possa bastare
se una lancia
di luce
non trapassa il legno
del cuore.
Cosa rimane di me
se ancora
mi concedo?
Cocci di vergogna,
incomprensioni,
la vita così com’era
giĂ prima di te.
La mia inutilitĂ ,
la noia dei giorni,
ma forse,
anche,
in un mondo che non cambia:
provare ancora a credermi.
AUTORE: don Alessandro Dehò
FONTE: Sito personale
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