L’amore non si capisce
Quando Matteo scrive questa pagina tutto è già successo: la sofferenza a Gerusalemme, il rifiuto di anziani, di capi e di scribi, la croce e la resurrezione. Tutto è già successo, Gesù ha già vissuto fino in fondo la sua personalissima risposta alla vita, questa non è pagina che anticipa un finale ma sono righe scritte per la memoria, per non dimenticare, per non dimenticarsi: che sull’amore non ci si capisce. Mai.
Scritte per non dimenticare che in ognuno di noi ci sarà sempre un Simone e un Pietro, due sguardi dello stesso cuore, due nomi dello stesso volto, due uomini in lotta racchiusi nello stesso corpo. Due modi diversi di intendere la vita. Per non dimenticare che l’amore apre al conflitto sull’essenza profonda del nostro essere al mondo, l’amore è spada, l’amore non è la soluzione ai problemi della vita ma è il problema serio della vita.
Lo dico subito, non deve vincere Pietro su Simone, non è questo che deve accadere, l’amore non chiede vincitori ma solo discepoli disposti alla lotta.
Amore è la parola più ambigua che si possa usare, io stesso, nel mio piccolo mi accorgo, in queste riflessioni, da queste pagine, che spesso non ci capiamo. L’amore sfugge, provoca, l’amore è scandalo. L’amore non è il sorriso buono che calma le tempeste, non è la dolcezza che riempie il baratro della morte. Forse non bisognerebbe parlare più d’amore.
Non deve vincere Pietro su Simone, sono due visioni opposte ma acerbe sulla vita. Per Simone l’amore è risposta ai bisogni, promessa consolante, se ha lasciato, come ognuno di noi, la riva del proprio lago è per aver intuito un buon affare. Per Pietro, nome nuovo dato dal Maestro, l’amore è sacrificio (“non ti tradirò mai”), per diventare il primo tra i discepoli, costi quel che costi.
Per Gesù l’amore è una gravidanza. Un parto. Una nascita. Una morte. Per Gesù l’amore è oltre il cuore romantico di Simone, è oltre una visione felice della storia, è oltre una risposta facile alle attese della gente. Per Gesù l’amore è oltre la visione sacrificale di Pietro, che sarebbe disposto a sacrificare tutto pur di affermare se stesso (quante vocazioni bruciate in questa follia…).
Per Gesù l’amore è la croce. E ognuno di noi ha la sua croce. Per Gesù dire amore è dire croce. Ed è l’unico modo per provare a comprendersi. Ma occorre sapersi perdere.
L’amore crocifisso è vulnerabile: sconfigge, uccide, l’amore è violento. Seduce, come dice benissimo Geremia, l’amore prima ci porta in territori sconosciuti, spingendoci a gesti e decisioni più grandi di noi e poi, quando ormai non possiamo tornare indietro (e viene in mente Giuda) ci chiede di decidere solo di trovare il modo per morire. Come Gesù o come il traditore, due alberi uguali, due storie appese, che solo il Misericordioso saprà riconciliare.
Certo che non ci capiamo quando parliamo d’amore perché parliamo di morte, di vite crocifisse. Perché amare, e questo vale per tutti, è la nostra croce personale, è imparare a liberarci di noi, imparare a smarrirci, a cambiare, a lasciare che la vita ci seduca e poi ci chieda di imparare un’identità diversa. Amore è scoprire un volto di noi nuovo e poco rassicurante.
Non basta cambiare il nome, non basta passare da Simone a Pietro, non basta diventare preti, non basta sposarsi, quello è solo l’inizio, bisogna avere il coraggio, ogni giorno, di perdere la nostra identità , quella costruita con tanta pazienza, bisogna imparare a smarrirci per poterci riconoscere negli occhi misericordiosi del Crocifisso, l’amore è sentirsi morire per aver tanto sbagliato e sentirsi rinascere grazie al Suo amore. L’amore è morte e vita, l’amore è un parto, gravidanza, l’amore sono lacrime di liberazione.
Non basta cambiare il nome, non basta passare da Simone a Pietro, occorre perdere la faccia davanti agli altri. “Sono diventato oggetto di derisione ogni giorno; ognuno si beffe di me”,  l’approvazione di chi si sta intorno è importante, soprattutto da bambini ma poi. Poi il Simone che è in noi cercherà l’approvazione della gente e sarà un tradimento all’amore, come quando la Chiesa spaccia per Vangelo il suo bisogno di essere significativa per la gente. Oppure il Pietro che si muove in noi cercherà carnefici così da trovare approvazione tra lo zoccolo duro dei credenti che vuole sempre un martire da venerare.
Invece l’amore è scomodo, l’amore non si fa usare, l’amore è la croce, l’amore è accettare di non essere compresi (e perché gli altri dovrebbero comprendere la nostra vita se noi stessi abbiamo fatto fatica ad accettarla? Perché dovrebbero capire gli altri se noi stessi abbiamo prima costruito un’immagine di noi per poi farla a pezzi?), l’amore è la solitudine di chi fa morire la propria immagine di sé e non pretende che gli altri la comprendano. L’amore è morire ma non per amore del puro sacrificio, non trasformando gli altri in colpevoli ma comprendendo sinceramente il loro smarrimento, “non sanno quello che fanno”, e non lo sanno davvero. Perché l’amore crocifisso non si sa.
Simone e Pietro si muovono e lottano dentro di noi e sono due nomi, uno vecchio e uno nuovo, ma con lo stesso problema: “conformarsi a questo mondo” (Romani, seconda lettura). Simone conformato alle attese oppiacee di ogni religione, Pietro alle attese sacrificali di ogni istituzione. Invece “lasciatevi trasformare”, Pietro e Simone, fino a farvi unificare in un Simbolo di opposti, in una lotta che solo nel Padre troverà riposo, lasciate parlare solo il Crocifisso.
Amore e Croce si incontreranno in un Corpo reso sacro dall’amore. E noi saremo amore quando riusciremo a unificarci in una morte senza rancore, dopo aver perso la nostra falsa immagine di noi stessi, la schiavitù verso il giudizio altrui e aver svelato il volto di Dio. Inutile e bellissimo, utero di nascita definitiva.
Quando parliamo d’amore non ci capiamo mai. Simone e Pietro ci confonderanno sempre. Non resta che provare a imparare a perdere, a perdersi. E quando perfino le parole ci avranno lasciato, se nei nostri occhi non ci sarà traccia di rancore, allora e solo allora, non per sacrificio ma per scelta, noi saremmo belli e liberi, come solo l’amore crocifisso sa essere.
AUTORE: don Alessandro Dehò
FONTE: Sito personale
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