Servono regole! (ma solo per i cuori induriti)
La regola, ogni regola, è un tranello. Non solo quando i farisei, come nel Vangelo di oggi, la usano per mettere con le spalle al muro Gesù ma sempre. Sempre ogni regola è una trappola, un imbroglio. Perché illude di poter sistemare le cose e non è mai così, una regola si limita, al massimo, a mantenere l’ordine, che sarà pure importante per rendere la vita più vivibile però è davvero troppo poco per accogliere la vita tutta nella sua maestosa e commovente complessità.
La regola, ogni regola, è un imbroglio terribile soprattutto quando si astrae dalla realtà, e lì diventa violenta, ipocrita e pericolosa: è lecito a un marito ripudiare la propria moglie?
Dipende. Non lo so. Di sicuro mi vengono in mente mille domande: chi è questa moglie? Chi è questo marito? Come si chiamano? Sono giovani, sono vecchi? E se fosse la moglie a voler ripudiare il marito? E che storia hanno? E come sono arrivati fino a questo punto? E le famiglie da cui provengono come hanno influito? Hanno figli? Chi li sta aiutando? Cosa desideravano quando si sono sposati e adesso? Hanno avuto dolori profondi? Hanno maturato visioni di se stessi diverse? Come erano prima, come sono adesso? Posso fare qualcosa? Come stanno? Ecco, soprattutto questo: come stanno? E poi via… le domande sarebbero infinite e ad ogni domanda la regola arrossisce e diventa piccola e inutile. E non tiene a posto niente in verità, se non l’ipocrisia di un mondo che si vorrebbe ordinato, come quello costruito nella mente di certi malati psichici che non sopportano nulla fuori posto. Come quello di certa gente di chiesa impaurita da quello che loro, semplificando, chiamano disordine.
E così continuiamo a chiedere regole, ma solo perché siamo terribilmente impauriti. Il problema è che dovremmo smettere di voler ordinare (nel senso di mettere in ordine ma anche di dettare ordini) e accettare invece la grande libertà di chi, davanti a un qualsiasi comportamento morale di un fratello, preferisce l’ascolto. E il silenzio partecipe. Perché della vita degli altri noi non dovremmo mai permetterci di dire niente. E infatti la regola, che è anche codarda, si astrae sempre dalla storia, parla in generale, parla per “le mogli” e “i mariti”, cioè per nessuno. Grida la sua sicurezza al vento, gonfia il petto per la paura di morire di paura. E invece: non lo so cosa devi fare tu, posso solo essere al tuo fianco. Ma per essere al tuo fianco serve cuore. Eccolo il problema, il cuore. Lo dice bene Gesù, una regola serve ma solo per chi ha il cuore indurito.
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Ma dall’inizio della Creazione
Un cuore caldo riesce a muoversi nel tempo e nello spazio, non si incaglia sul presente, un cuore vivo riesce a muoversi e a tornare all’Inizio, alla Sorgente. Cosa rimane del sogno generativo di un amore? Questa è la domanda che un cuore non ancora indurito riesce a farsi, e sarà un cuore coraggioso perché magari scoprirà che, per una coppia, non ci sono più le condizioni per essere creativi. Coraggio di un cuore che accompagna a scoprire che il sogno della Creazione si è trasformato nell’incubo di una distruzione. Quale carità nel lasciare che due sposi si distruggano? Ma anche che un prete o una suora desiderino morire pur di non disobbedire a una qualche promessa fatta in gioventù. Perché no, non si poteva sapere come sarebbero andate le cose, perché la vita cambia e ci cambia, solo una regola rigida e un cuore indurito non riescono a capirlo. Ma non è un caso che l’uomo una volta cadavere diventa rigido e freddo.
Davvero crediamo in un Dio così fiscale e inflessibile? Serve un cuore davvero duro per imporre acriticamente il peso di una regola addosso a un fratello che invece dovremmo imparare prima di tutto ad amare.
Serve un cuore coraggioso, un cuore vivo, capace di non cercare i colpevoli anche davanti a ciò che per comodità chiamiamo tradimento. Certo nascondersi dietro una regola è più semplice, non serve compromettersi con la sofferenza del fratello. Ecco perché cerchiamo sempre regole e non ci rassegniamo all’idea della loro inutilità: perché una regola è una scusa nobile per non fare strada con il fratello che soffre. La regola si impone, un cuore si dispone. La regola non chiede di cambiare nulla di noi. Non ci scomoda.
Li creò maschio e femmina
Gesù ribadisce che la complessità è originaria, che l’altro è sempre diverso da me. Non siamo per niente tutti uguali, siamo tutti diversi, siamo dei misteri, siamo per noi stessi e per gli altri degli enigmi da scoprire giorno per giorno e mai fino in fondo. Come si può immaginare che una regola rigida e immutabile possa accompagnarmi in un itinerario umile di scoperta? La vita è complessa e la complessità non può essere annientata dalla poca fantasia di gente che divide la vita in buoni e cattivi, fedeli e atei… Maschio e femmina significa immergersi continuamente nel tentativo di poter imparare qualcosa di nuovo di me grazie a chi è diverso da me. Un cuore vivo e non duro è un cuore anche umile. Che cambia e impara dagli eventi.
Lascerà suo padre e sua madre
Serve un cuore vivo, che sarà anche un cuore coraggioso, capace di verità, e la verità è “lasciare” e non “rimanere”, la verità è camminare, tagliare, inventare strade nuove, entrare in un mondo dove non ci sono regole da applicare ma dove l’unica regola è una fedeltà all’immagine di un Dio creativo e liberante, di un Dio in cammino e sempre sorprendente. La verità è sempre figlia di una rottura coraggiosa e misteriosa, bisogna lasciare il conosciuto per non diventare replicativi, bisogna uscire dall’essere eternamente figli per iniziare a essere padri e madri. Ogni libertà esige sempre una rottura. Magari di alcune regole tramandate come immutabili da padre a figlio.
Una carne sola
Ecco la vera verità, e non è una regola astratta ma proprio il suo contrario: incarnazione. La verità può dirsi tale solo se è incarnata. E Cristo lo mostra perfettamente. Una carne sola significa che quello che possiamo fare davvero davanti ai drammi di chi incrocia la nostra storia è provare a sentire il suo dolore nella nostra carne. Se in una coppia che dice di amarsi non c’è questa incarnazione di gioia e di dolore, se non si vive la vita “nella stessa carne”, credo che il ripudio si sia già consumato anche se apparentemente nessuna regola è ancora stata infranta. Il cuore vivo lo sa bene quanti ripudi silenziosi hanno ferito la nostra storia. Il Signore abita quel livello profondo e misterioso, e lo fa proprio per il suo essersi incarnato.
L’uomo non divida quello che Dio ha congiunto
Stiamo attenti, stiamo davvero attenti e rimaniamo umili. Cosa e come congiunge Dio? Io credo non si possa sminuire questa frase applicandola solo ai nostri sacramenti. Sono consapevole di muovermi in un terreno minato ma credo serva anche qui tanta umiltà: davvero i nostri matrimoni e le nostre ordinazioni sono sempre e solo espressione della volontà di Dio? Davvero solo quello che noi riteniamo sacramento è espressione di Dio? Io mi stupisco sempre più della Sua anarchica fedeltà all’uomo, vedo continuamente espressioni d’amore che sono legami e che non sono altro che Segno vivo di quell’Amore che è Lui, e che è poi l’unica regola a cui val la pena affidarsi.
Chi ripudia una moglie (…) e se lei ripudiato il marito (…) commette adulterio
Non è questione di lasciare le regole in nome di una vita più semplice ma, al contrario, abbandonare la rigidità delle regole è segno di una vita molto meno comoda. Senza regole astratte e immutabili siamo chiamati a interrogarci in prima persona su ciò che siamo, su quello che proviamo a essere. Non ripudiarla la vita, anche quando la tentazione è alta. Rimanere fedeli anche quando non si capisce più nulla e i sogni si infrangono. Ma chiedersi con spietata lucidità a Chi e come essere fedeli. Ricordando sempre che l’unico compagno fedele sempre è Lui. E noi siamo chiamati semplicemente a riconoscerlo presente e vivo in questa nostra vita che chiede solo di essere accolta e mai tradita.
Resteremo per sempre ideologici, perché è l’unica cosa che ci rassicura, perché di quello possiamo parlare, Come Giovanni che nel Vangelo di oggi, vede uno (che non ha nome perché nell’ideologia il fratello non ha volto, non ha identità, non ha complessità, è solo uno tra tanti, uno tra i nemici) che agisce contro il male nel nome di Cristo e diventa un problema perché “non ci seguiva”. Perché non è dei nostri. Perché l’importante per ogni ideologia è che ad agire nel nome di Cristo in modo ufficiale sia solo il nostro gruppo, la nostra chiesa, la nostra parrocchia, la nostra associazione.
Resteremo per sempre ideologici perché l’ideologia è una vita semplificata e in ordine. Ci sono gli amici e i nemici, i tradizionalisti e i progressisti, quelli di destra e di sinistra, e il mondo diventa chiaro e netto. Ideologicamente basta schierarsi e il gioco è fatto. Ci si sente a posto. E rassicurati, si creano gruppi emotivamente legati e si difende la posizione. E si incolpa il sistema e ci si sente vittime.
Resteremo per sempre ideologici perché siamo come bambini impauriti che hanno bisogno di un papà che ci faccia capire che noi siamo i migliori, i preferiti. Gli altri sbagliano. Ma noi saremo sapremo cristianamente perdonare. Ideologicamente misericordiosi. E allora diremo che “nel suo nome” in tanti possono fare del bene “anche se non lo sanno”. Frase che fa rabbrividire, perché presume che gli unici a sapere dove stia la verità siamo noi. Gli unici consapevoli di fare il bene, di agire davvero nel suo nome. Siamo ancora lì, con Giovanni, a trovare le parole furbe per poter giustificare che noi siamo investiti dell’unica verità, e che gli altri dovrebbero seguirci. “Volevamo impedirglielo perché non ci seguiva”.
Resteremo per sempre ideologici perché nel campo dell’ideologia si può parlare. Perché l’ideologia riduce la ferita del credere al Mistero, il baratro del divino smarrimento in qualcosa di spendibile. Non è più la ferocia del Vangelo a essere custodita ma, in base al “partito” di cui facciamo parte, ci mettiamo solo a parlare di cura per i poveri, difesa della tradizione, accoglienza dello straniero, accettazione della diversità, difesa della vita, valorizzazione culturale, riorganizzazione della curia… basta ridurre il “suo nome” a qualcosa di politico e confrontarsi e dividersi. E illudersi che quello sia il cuore di tutto. Anche i discorsi sulla parrocchia e il suo funzionamento possono diventare ideologici, ci si divide pro o contro le unità pastorali e ci si dimentica che non è quello il cuore dell’evento. Ideologia.
Perché, per non essere ideologici, dovremmo tacere del suo nome. E non trascinarlo nelle nostre beghe, non impossessarci di Lui, non piegarlo alle nostre manie e alle nostre paure, non dovremmo usarlo, non costringerlo ai nostri interessi, non credere di possederlo, non sequestrarlo. A meno che non ci accontentiamo di essere credenti ideologici. E allora va bene tutto. E allora è legittimo dividersi su ogni questione e accontentarsi di mettere in piazza solo cose che alla fine non servono ad altro che a farsi credere di essere credenti. Ma il cuore del Mistero, quello resta crocifisso lontano da ogni ideologia. In altro, sospeso, tra cielo e terra, solo chi si lascia crocifiggere può essere esente dall’ideologia.
Non smetteremo mai di essere ideologici perché il giorno che smettessimo i panni che Giovanni nel Vangelo di oggi indossa così drammaticamente bene scenderebbe su di noi un maestoso infinito silenzio. Senza una fede ideologica rimarrebbe solo l’incontro personale e misterioso con il Mistero. Silenzio e solitudine, uno sprofondare nell’Infinito. Un corpo a corpo con un Dio di cui non possiamo dire il nome, non possiamo delineare i confini. Smettere di essere ideologici è smettere di usare il divino e iniziare a farsi abitare dal Mistero, che non è educato, che non è mansueto, che è libero e impetuoso come il Vento, il Fuoco, lo Spirito.
Non smetteremo mai di essere ideologici perché sull’ideologia possiamo esporci, eppure lo sappiamo, è in profondità che si gioca l’incontro definitivo e cruciale, è lì, dove non possiamo dire nulla, dove siamo nudi e esposti, vulnerabili e affamati, feriti e innamorati. Lì dove possiamo dirci che l’unica cosa che conta davvero non è essere di un partito o di un altro, di una Chiesa o di un’altra, di una teologia o del suo opposto, quello è l’inevitabile balbettare delle nostre insufficienti parole, il cuore di tutto è se io mi sono lasciato incontrare, se mi sono tolto i sandali, se ho in cuore un roveto che non smette di bruciare, se nel vento silenzioso lo riconosco, se nel volto dei fratelli lo vedo incarnato, se sento lo Spirito scorrere tra le vene. Ma come dire tutto questo se non nel silenzio?
Ed è e sarà solo ed esclusivamente esperienza singola e irripetibile. E saranno esperienze anche molto diverse. Perché il Mistero è molto più grande delle nostre miserie. Eppure le abita, e le trasfigura. E io chi sono per dire che la mia miseria è meglio di quella di mio fratello?
Non smetteremo mai di essere ideologici però potremmo allenarci almeno un po’ a non esserlo, almeno per frammenti di vita. E credo che il Vangelo di oggi ci dia indicazioni preziose.
Prima di tutto “dare nome” al fratello. L’altro non è mai solo “uno” ma un frammento incarnato di Infinito, e anche se non la pensa come me, anche se non viene dalla mia storia, anche se politicamente mi è avversario perché non posso dargli nome? E credere che anche in Lui il Divino prenda forma? E imparare e accogliere l’Immenso chinato sul nostro balbettio tenero e insicuro.
E poi riconoscere il miracolo della vita, riconoscere che la Vita è molto più grande di noi e quasi sempre si mostra in modalità che io non riconosco, che io non capisco, che io posso solo accogliere meravigliato.
E lasciar andare, e lasciar essere, e sentire che chi non è contro è per. L’unico vero antidoto alla fede come ideologia è l’umiltà di lasciar libero chi amiamo di essere diverso da noi. E credere, credere davvero che anche il suo modo è fedele al Vangelo. E magari provare a dirglielo, ma questo è solo di pochi.
Tornare al bicchiere d’acqua. Che è la cosa più universale del mondo. Perfino gli animali e le piante possono godere di un bicchiere d’acqua. Ogni cosa che vive. L’ideologia di perde in discussioni infinite la fede invece torna all’essenziale. La fede è tutto ciò che ci fa credere alla vita. La fede non cerca nomi ma esperienze condivise e profonde. Riconosce che tutto ciò che è bene, anche quello che non comprendo, se è simile a un bicchiere d’acqua è riflesso minimo ma trasparente dell’amore di Dio.
E non scandalizzare. E pagare di persona. La fede ideologica si nutre di vittime, chi non è dei nostri va sacrificato. Ci sono relazioni spezzate all’interno della chiesa esattamente per problemi ideologico politici. È il vero scandalo. Credere significa essere così umili da sapere che il volto di Dio è così grande che prende casa anche nei lineamenti del fratello che odio. E così comprendere che se per difendere un’ideale io perdo il fratello ecco che perdo Dio. Meglio una macina al collo. Meglio perdere una mano, un piede, un occhio… una sicurezza, un’appartenenza, una tessera, una tradizione, una convinzione… che perdere il fratello.
L’unico modo per non essere ideologico è incarnarsi. La chiesa, perfino la Scrittura, possono diventare ideologia. Anche questa mia riflessione che vorrebbe essere anti-ideologica potrebbe diventarlo. Cristo è l’incarnato. E lo Spirito soffia dove vuole. Non ci resta che un grande silenzio, almeno ogni tanto, un abisso, un perdersi, uno scendere in noi stessi per farci incontrare senza dire finalmente Nulla.
AUTORE: don Alessandro DehòSITO WEB Leggi altri commenti al Vangelo della domenica