don Alessandro Dehò – Commento al Vangelo del 3 Aprile 2022

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Fuori legge

Tra il monte degli Ulivi e il tempio, queste le coordinate in cui si muove Cristo, tra lacrime di sangue e profumi d’incenso, tra il sacrificio di sé stessi e l’immolazione di animali, tra la carne incisa dalla Sua Assenza e pietre che dovrebbero parlare solo di Lui. Cammina su un filo teso e rischioso Cristo, a volte si siede e insegna, intorno a lui la gente si avvicina, ascolta, ma anche gli avversari non possono ignorare, Lui è lo scandalo in cui inciampare, ostacolo da rimuovere.

Mi ripropongo di prendere sul serio scribi e farisei, lo vogliono incastrare è vero, vogliono liberarsi di lui, ma non posso credere siano solo persone accecate dal male, o dall’invidia, sono saggi, hanno paura, difendono qualcosa, ci credono. Mi ripropongo di non usare l’adultera contro di loro, troppo facile contrapporre la misericordia incondizionata di Dio alla loro cecità. Mi metto a cercare, provo a entrare, per quel che posso, nei loro panni. Cosa temono?

Una donna sorpresa in adulterio, il caso è chiaro ed eclatante, non ammette troppe interpretazioni. La legge è chiara, conduce alla lapidazione. Loro non odiano la donna, a loro la donna non interessa, vogliono Gesù, lo vogliono stanare: tu che ne dici? La trappola è perfetta ma non voglio accusare subito scribi e farisei, troppo facile, voglio provare a capire le loro paure. Parlano di Mosè, di Legge, immagino che ci credano. Forse temono che Gesù stia smantellando la tradizione, provo a entrare nei loro pensieri. Provo a sentire il loro timore, forse pensano che contrapporre misericordia a legge sia la dissoluzione del vivere comune. Come dargli torto? Senza legge cosa resta del popolo eletto? Senza legge è possibile la convivenza? Senza legge come discernere il bene dal male, il vero dal falso, il giusto dallo sbagliato?

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Non voglio mettermi contro di loro, anche perché non mi pare che il cristianesimo contemporaneo sia così privo di regole e non sono forse sassate altrettanto violente quelle prese di posizione di chi esclude qualcuno dalla comunione eucaristica? Non sono altrettanto violente certe condanne inappellabili contro presunti errori altrui? E non mi basta sentirmi ripetere che ci si scaglia contro il peccato e non contro il peccatore perché a soffrire poi sono uomini e donne in carne e ossa e non concetti astratti.

Non voglio semplificare eccessivamente ma sento che una legge chiara e netta ci permette di avere l’impressione di un controllo a difesa di una fede. Non è questo che volevano scribi e farisei? Difendere un tesoro. Provo a comprenderli. E credo di capirli, il rischio di smantellare regole chiare e nette apre lo spazio a una religione svuotata, superficiale, dove tutto è ugualmente irrilevante. Questa è l’altra faccia della medaglia, se abbassiamo la guardia ecco che rischiamo di svalutare il sacramento, di non riuscire a mostrare più la forza profonda della liturgia, di rendere troppo sfumato il confine tra bene e male… se il perdono copre tutto perché affannarsi a resistere, a convertirsi, a impegnarsi…? Ecco ora posso mettermi nel gruppo di scribi e farisei, provo a stare con loro, anche io ho paura che senza Legge tutto diventi possibile. Tutto perda di significato.

Ma Gesù si chinò e si mise a scrivere… cerco lo sguardo di Cristo e non lo trovo, non so dove guardare, il suo gesto mi stupisce, siamo venuti per lui e lui non ci guarda. I miei occhi si perdono e nella testa rimbomba una domanda che comincia a prendere concretezza, che fa male, “chi devo guardare?”. Alzare gli occhi sulla donna non me la sento, mi fa quasi pena, sappiamo tutti che la stiamo usando, io era Gesù che volevo guardare fisso, ma lui si nega. Chi devo guardare? La domanda mi assilla, mi spinge dentro di me, dentro la mia storia, ho paura, conosco la risposta, devo stare dentro di me, solo dentro di me, e le gambe cominciano a cedermi. Poteva bastare quel suo sguardo abbassato, avevo già cominciato a capire.

E poi quel silenzio e quel suo scrivere per terra. Nessuno fiatava, e lui scriveva, come se volesse mettersi chiaramente dalla parte della Scrittura, come se volesse mostrarci che lui non voleva annullare la Legge, lui scriveva e non guardava e il silenzio portava ognuno di noi a interrogarsi… e io sentivo che la sua accusa era più forte della nostra. Non difendeva una Legge astratta ma tornava alla radice: chi aveva scritto e per chi? Con un gesto, con un gesto solo, Cristo mi strappava la mia prima sicurezza, io dovevo smettere di credermi la legge e smettere i panni del giudice. Nessun ruolo, nessuna ordinazione, nessuna investitura dall’alto, chi sono io per credermi Dio? Gesù stava accusando noi, e aveva ragione. Chi sono io per impugnare una Legge ed emettere sentenze?

Aveva già vinto lui. Avremmo dovuto andarcene, non era così difficile da capire. E poi i suoi occhi che non ci guardavano, i suoi occhi che non si alzavano su di noi, occhi bassi, neppure lui ci giudicava. La Legge esisteva, lui scriveva, ma Lui non ci guardava e non emetteva sentenze, perché la Legge non è stata consegnata per condannare l’avversario ma per smascherare il male che l’uomo si porta dentro. I miei occhi si affossavano in un punto interno a me stesso. E comprendevo che la Legge ha valore ma solo per me. Io mi guardavo, sprofondavo. Io riuscivo a vedere chiaramente dove avevo adulterato la realtà, dove avevo tradito, dove avevo sbagliato. E serviva a me, solo a me.

Qualcuno non capiva, continuava a interrogare, a quel punto lui fu costretto ad esplicitare “chi è senza peccato getti per primo la pietra contro di lei”. Il peccato dovevamo cercarlo dentro, ora era evidente. E continuò a scrivere. Perché non stava cancellando niente, non stava tradendo nessuna tradizione, solo riportava ogni cosa al suo posto. Non stava cancellando la legge, non stava cancellando il peccato, non stava svuotando la fede solo strappava dalla nostra vita la tentazione di proclamarci giudici. Che ne sapevo io di quella donna? E che diritto avevo di lapidarla? Che ne so io del cuore di mio fratello? Io di me posso sapere, solo di me. Lascio cadere il sasso. E con me anche tutti gli altri. Una pioggia di sassi, il Suo silenzio ci aveva disarmato.

Mai avevo sentito così forte l’appello alla responsabilità, alla mia responsabilità. Mai avevo avuto così chiaro che la Legge rischia di farci agire per imitazione, ci muove come un branco. Ogni storia invece è diversa e non è la regola a dover essere difesa ma la persona, interpretando sempre, rileggendo sempre. La Legge non è il fine ma lo spazio per dare inizio alla consapevolezza, per rendermi responsabile di me, dei miei gesti, delle mie decisioni. Serve abbassare lo sguardo, guardarsi dentro, stare in silenzio e disarmare la mano.

Dicono che la donna non se ne andò subito. Rimase dopo di noi. Come in attesa di una condanna. Come in attesa che il senza peccato emettesse la sentenza. Almeno un cammino di riparazione. Una riconsacrazione di quella carne segnata dal peccato. Invece Cristo disse una cosa impossibile da compiere: “non peccare più”… un orizzonte impossibile da abitare, un mandato che nessun uomo e nessuna donna possono onorare, chi di noi può non peccare? Ma non è questa la Legge? Non è questo ciò che viene codificato? La perfezione. La perfezione astratta e impossibile da seguire. Ma indispensabile. Perché davanti a quel “non peccare più” la donna, e noi stessi, possiamo fare solo una cosa: abbassare lo sguardo, fare silenzio e aprire la mano per lasciar cadere la pietra che vorremmo scagliare contro l’avversario. Non siamo chiamati ad altro. La legge non condanna, svela. Sul Calvario le mani di Cristo saranno inchiodate ed aperte, mani eternamente spalancate di un Dio disarmato e disarmante.


AUTORE: don Alessandro DehòSITO WEB Leggi altri commenti al Vangelo della domenica