don Alessandro Dehò – Commento al Vangelo del 27 Febbraio 2022

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Pensieri intimi e in disordine

Difficilissimo oggi scrivere parole di speranza e di fede. Il Vangelo parla al cuore di ogni uomo con schegge di sapienza paradossale mentre le bombe dell’ennesima guerra esplodono carneficine umane. Una distanza abissale tra quel pugno di sentimenti che è il piccolo cuore umano e l’immensità sproporzionata di un dramma. Un senso di impotenza, lo smarrimento di una parte di me che, tanti anni fa, da obiettore di coscienza, credeva davvero nel pacifismo come volto possibile del Vangelo e che ora sperimenta la fatica di credere che le cose si possano migliorare, convivere con un senso continuo di sfiducia nei confronti dell’umanità (della quale so benissimo di far parte).

Da giovane avevo l’illusione che il boicottaggio alle multinazionali, la scelta di un commercio equo e solidale, la presa di coscienza della ferocia del capitalismo, fossero strada percorribile e promettente. Poi la disillusione di questi anni, l’aver conosciuto e subìto le stesse dinamiche di potere da parte di uomini che ideologicamente pontificavano di essere all’opposizione di ogni tipo di violenza. Lo smarrimento, la perdita di fiducia in qualsiasi forma di sistema politico, il rifugio ultimo nelle parole del Vangelo. E sapere con certezza di non essere migliore di nessuno, quello più di ogni altra cosa, è stato doloroso, la scoperta di essere complice comunque del male, non esente, abitato dalla capacità di far soffrire. Averlo scelto, a volte, il male, e non aver più coraggio di manifestare se non a me stesso.

“Può un cieco guidare un altro cieco?” domanda retorica quella del Cristo. Dal fondo dell’ennesimo fosso, rovinosa caduta, non resta che confessare la propria cecità. Non vedo Signore, questo solo posso confessare, ai bordi della strada, avvolto nel mio mantello, non posso che chiederti occhi nuovi. Solo questa preghiera regge l’urto. E diffidare di chi giura di conoscere vie ideologiche e sicure per riemergere. Non rimane che confessare la propria cecità. Il bisogno di essere salvati.

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“Ma ognuno che sarà ben preparato sarà come il suo maestro”. Preparato a cosa Signore? Ci si può preparare alla vita? A volte credo che al massimo si possa provare a rispondere, adeguarsi alla forza degli eventi, sopravvivere all’ennesima burrasca, come dice Siracide nella prima lettura, la vita è un setaccio che scuote e purifica, è un fuoco che mette alla prova. Che prepararsi sia solo l’atteggiamento di chi è pronto ad essere provato dagli eventi?

Penso a te, che sei il mio solo e unico Maestro, penso ai tuoi occhi che fino alla fine sono rimasti aperti in cerca di umanitĂ  buona, anche minima, un nucleo resistente ai piedi della croce.

Basta questo? Continuare a tenere gli occhi fissi sul frammento di bene? Credere che alla fine questo rimanga? Sembra tutto così poco in questo mondiale Calvario.

E poi la storia della trave che c’è nel mio occhio. Ho sempre paura di questa tua denuncia, la sento vera, bruciante. “Non ti accorgi della trave”, ecco Signore il “non accorgersi” mi fa paura, l’essere incapace di riconoscere, perché non dici che noi nascondiamo o neghiamo la trave ma che proprio non la crediamo presente. E la paura si moltiplica ogni giorno perché ogni giorno scelgo dolorosamente di espormi commentando la Tua Parola. Spero sempre di non essere superficiale, spero di non aver silenziato attorno a me le persone che mi amano così tanto da non fingere l’assenza della trave che mi acceca, però il dubbio rimane. Ti confido che è la paura più grande che ho, spesso vorrei smettere di pubblicare, perché è troppo difficile non farsi trascinare nel gioco dei commenti ed è pesantissimo, ogni volta, svelarsi, mettersi a nudo. Vorrei solo continuare a incontrare le persone nella semplicità della casa, senza esposizioni letterarie, senza cedimenti social. Intanto scrivo ancora e contraddico il desiderio.

“Non vi è albero buono che produca frutto cattivo (…) ogni albero infatti si riconosce dal suo frutto”. Difficile riconoscere la bontà di un frutto. Le mie scelte, che non rinnego, mi hanno portato a non mettere al mondo figli, a non dare quel tipo di frutto. Rimangono gesti e parole, qualche pagina scritta, parrocchie attraversate con la cieca fiducia in sistemi parrocchiali che ormai sento lontani… io non son neanche se ho dato frutto, sinceramente non lo so. Mi sento compagno di strada delle tante persone che mi confidano la loro fatica a trovare un senso nel loro continuare a vivere. Mi commuovono, li sento fratelli. Ce li mostrerai tu Signore i frutti, alla fine, questo spero.

Intanto la guerra sembra non fermarsi, la diplomazia in ginocchio, e io sono qui in questo rifugio appenninico a confessare pensieri che non trovano ordine. “L’uomo buono dal buon tesoro del suo cuore trae fuori il bene”, è davvero cosa piccola il cuore dell’uomo e togliere il bene per portarlo alla luce è rischioso. La violenza dilaga e l’immagine di uomini che frugano nell’intimo per trarre il bene è dolente. Cercare dentro il cuore brandelli di bene, forse la preghiera è frugare tra le macerie, come dopo un attacco missilistico, cercare i sopravvissuti, riportarli alla luce.

Continuo a non sentirmi estraneo alla violenza e insieme vorrei continuare a portare in salvo pezzi di cuore sopravvissuti al massacro. Che sia questa la condizione umana? Che sia questa intima contraddizione l’unica possibilità concessa? Ai piedi del Crocifisso accettare che noi siamo tutto: siamo i soldati che hanno inchiodato, i discepoli che hanno tradito, le donne che non hanno abbandonato. Siamo tutto, siamo questa grande incoerenza, aggrapparsi allo sguardo di Cristo che, unico, non condanna, e cercare, tra le macerie di ciò che siamo, qualche frammento di bene, anche minimo, a cui stringersi per farsi, alla fine, risorgere.        


AUTORE: don Alessandro DehòSITO WEB Leggi altri commenti al Vangelo della domenica