Cristo Re dell’Universo
Mio re, l’importante è che non finisca così, con l’uomo giudice di ogni cosa. L’importante è che non sia nostra l’ultima parola sul mondo, sull’universo, su Dio.
Mio re, non lasciare a noi di misurare noi stessi. Siamo sudditi arroganti incapaci di misericordia, impauriti dal male che ci abita, incapaci di riconoscerlo, non lo vedi come ci mettiamo sempre solo dalla parte dei buoni? Non lo vedi come riusciamo a godere quado troviamo un capro espiatorio? Non lasciarci in balia delle nostre condanne, dalle mode forcaiole del momento. Continuiamo a pretendere crocifissioni per illuderci di essere innocenti. Se ci definiamo pubblicamente colpevoli è in verità solo per ammettere l’esatto contrario in una continua perversa ipocrisia. Non lasciare che siamo noi a giudicare noi stessi, siamo esseri senza vergogna, senza Dio.
Mio re, ti prego vieni, vieni tu, vieni nella gloria, vieni con i tuoi angeli, vieni a giudicarmi, raduna tutto ciò che sono davanti ai tuoi occhi, separa in me le pecore dalle capre, troverai spero anche qualcosa di buono, ma dimmi che sarai solo tu l’ultimo unico giudice, dimmi che non sarò io il giudice di me stesso. Tu assoluto, tu despota, tu imperatore del mio cuore, Tu mia salvezza. Lasciami usare parole antiche, parole che non si usano più, lascia che siano solo per te, così da impedire che sia l’uomo a continuare la tirannia del giudizio.
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Mio re, tuo è il Regno, io solo un povero mendicante che non ne ha nemmeno compreso i confini del tuo amore. Tua la terra, tua ogni cosa, tuo il mio respiro e questo battito di cuore che miracolosamente mi permette di dirti che sono solo per te.
Mio re, nascosto nella fame e nella sete che è di ogni essere che vive, di ogni uomo, di ogni animale, di ogni pianta, di ogni sogno, di ogni desiderio, di ogni atto che abbia in sé la vocazione di riportarci da Te.
Mio re, per sempre straniero, perché solo ciò che ci è estraneo destruttura il nostro modo di pensare, solo chi è straniero può comprendere che il regno definitivo non è qui. Mio re, aiutami a non aver paura della parte estranea che mi abita, aiutami a non abituarmi mai a ciò che credo di essere, aiutami ad affrontare la parte misteriosa che mi porto dentro, ad imparare sempre una nuova lingua, a rivedere, ricostruire, rileggere, reinterpretare sempre ciò che sono stato. Aiutami a non abituarmi a ciò che sono e, soprattutto, a non considerarmi mai padrone. Mai. Nemmeno di me stesso. E ad amare ciò che sembra la cosa più straniera in assoluto: la morte, che poi non è altro che il passaggio benedetto per entrare in Te.
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Mio re nudo e malato e incarcerato. Aiutami a comprendere che è possibile riconsegnare i vestiti come continua a fare San Francesco, e morire malati e nudi sulla nuda terra nel carcere di un eremo duro perché costruito da noi stessi e dalla nostra follia di volerti credere ad ogni costo. Mio re, dammi la forza di essere nudo, malato, incarcerato, per sempre perdente agli occhi del mondo. La tua chiesa, il tuo regno, non è certo quello capace di farsi interprete delle mode del mondo, non è sostenibile il tuo regno, non è giusto, non è consolante, non è green. Il tuo regno non è un’associazione in aiuto dei poveri, il tuo regno sono i poveri. Sono gli ultimi. Gli sconfitti. Tu sei loro. Ecco perché non ti riconosciamo. Perché non accettiamo l’insignificanza. Mio re insignificante onnipotente misericordioso.
Per gentile concessione dell’autore don Alessandro Dehò – pagina Facebook
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