don Alessandro Dehò – Commento al Vangelo del 23 Gennaio 2022

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Cancellazione

Poiché molti hanno cercato di raccontare con ordine gli avvenimenti che si sono compiuti in mezzo a noi, come ce li hanno trasmessi coloro che ne furono testimoni oculari fin da principio e divennero ministri della Parola, così anch’io ho deciso di fare ricerche accurate su ogni circostanza, fin dagli inizi, e di scriverne un resoconto ordinato per te, illustre Teòfilo, in modo che tu possa renderti conto della solidità degli insegnamenti che hai ricevuto.

La verità è un groviglio di racconti, la storia si riscrive ad ogni passo, gli avvenimenti non sono mai oggettivi, servono testimoni e gli unici testimoni da ascoltare sono solo gli innamorati, quelli che raccontano ciò che non tutti riescono a vedere, quelli che muovono sismografi affettivi. Inaffidabili, imprevedibili, ma fedeli. La verità prevede una ricerca accurata e meticolosa. Maniacale. Servono parole scritte da mani cha continuano a scavare. Qualità essenziale è che non deve bastarti ciò che sai.

I testimoni da ascoltare hanno più interrogativi che esclamativi, e una vita inquieta, incompresa e mai addomesticata. I testimoni possono anche essere contradditori, stanno ancora cercando quindi espongono allo smarrimento. I testimoni stilano resoconti ordinati, ordinano rese dei conti, finiscono al tappeto, risorgono, ripiegano, quasi mai spiegano. I testimoni vacillano. Non si nascondono. Accompagnano. I testimoni scrivono sempre per qualcuno, anche quando parlano per sé, a Teofilo, all’amico di Dio, che proprio in quanto amico si dimostra esigente. E merita rispetto.

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Il testimone giura di non dire niente in cui non crede, non dice che riesce a fare ciò che scrive ma giura che niente di ciò che è da lui scritto non è creduto. In quel tempo, Gesù ritornò in Galilea con la potenza dello Spirito e la sua fama si diffuse in tutta la regione. Insegnava nelle loro sinagoghe e gli rendevano lode. Gesù torna e in-segna, ingravida con il Segno la sinagoga. La fama si diffonde, Gesù non si oppone, la potenza dello Spirito servirà a non rimanerne vittima. L’insegnamento genera lode. Lodevoli parole su labbra fino a quel momento pietrificate da cieca obbedienza. Venne a Nàzaret, dove era cresciuto, e secondo il suo solito, di sabato, entrò nella sinagoga e si alzò a leggere. Alzarsi a leggere. Azione solita.

Solita come un rito, come respirare, come aprire gli occhi, come mangiare e dormire. Trent’anni a rendere abituale l’immersione nel Mistero. Evitare lo scalpore dello straordinario, scovare il Padre nello scorrere di quello che potrebbe risultare banale. Miracolo è meravigliare la ripetitività, coglierla di sorpresa, scipparla della noia. Gli fu dato il rotolo del profeta Isaìa; aprì il rotolo e trovò il passo dove era scritto: «Lo Spirito del Signore è sopra di me; Non è la Parola ad essere imprevedibilmente commentata, è la carne ad essere ingravidata. Non serve l’ennesima acrobazia interpretativa ma stupire, stupire tutti con una totale passività, srotolarsi all’incisione infuocata del testo. Gesù si lascia penetrare dalla profezia, come se quel suono, invece di venir amplificato a voce alta, venisse leccato fino all’ultima goccia, è la mancata dispersione a rendere il momento folgorante.

Le parole in pane e il pane in carne. Nemmeno una briciola lasciata al vuoto, nessun cedimento alla voglia di stupire. Isaia rotolava in Gesù, dispiegava in storia. per questo mi ha consacrato con l’unzione e mi ha mandato a portare ai poveri il lieto annuncio, a proclamare ai prigionieri la liberazione e ai ciechi la vista; a rimettere in libertà gli oppressi, a proclamare l’anno di grazia del Signore». E così i poveri si scoprivano lieti e liberi i prigionieri e nessuna oppressione pareva più infinita. La parola si mostrava promettente, trovava nel corpo dell’uomo la sua unica esegesi. La Scrittura veniva risucchiata con avidità fin nel cratere delle viscere umane. Era in atto il primo saccheggio, un furto, il tesoro sarebbe stato distribuito in pasto alla fame.

La sinagoga franava sotto colpi micidiali, esatti, definitivi. Barbaro e iconoclasta, le mani del Cristo coglievano ogni frase, ne facevano grappoli, torchiavano in vino nuovo nettare per umanità derelitte. Riavvolse il rotolo, lo riconsegnò all’inserviente e sedette. Nella sinagoga, gli occhi di tutti erano fissi su di lui. Allora cominciò a dire loro: «Oggi si è compiuta questa Scrittura che voi avete ascoltato». Il fruscio del rotolo svuotato, la riconsegna di pagine ormai bianche, la cancellazione in nome dell’incarnazione. E silenzio. Normale che rimanessero vigili gli sguardi dei vecchi. Erano l’unica cosa che sapevano fare: consumarsi nella lettura, sprofondare nei segni. Normale anche che gli occhi portassero a ribellione, stavano per essere cavati, inutili retaggi di una tradizione adorata. Ora si inaugurava il tempo della carne.

E lo sapevano. Che questo è il compimento di qualsiasi Scrittura, il verbo dev’essere ingravidato, il seme conficcato come chiodo nel muscolo. Il sangue è il compimento del suono. Non c’è niente di più pericoloso di una promessa mantenuta. Scandisce un punto di non ritorno. Serviva e serve un coraggio inimmaginabile, dalla conservazione del testo all’incisione dolorosa in noi, diventare parola, essere complici di un assalto. Assalire biblioteche, depredare come barbari i santuari del sapere, distruggere ogni mediazione. Diventare Parola. Lasciarla libera di farsi carne in noi. E poi lasciarsi sbranare dalla fame dei lebbrosi, dall’ingordigia dei peccatori, dalla rabbia dei ciechi e degli storpi. La buona notizia ha il suo inizio in un pericoloso compimento.


AUTORE: don Alessandro DehòSITO WEB Leggi altri commenti al Vangelo della domenica