don Alessandro Dehò – Commento al Vangelo del 23 Aprile 2023

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Nella mia Emmaus

Il prete mi chiede dove io stia andando, sono fermo, sto per rispondere, poi non è vero, mi dico che non è vero, lo sento che non è vero, il movimento è inesorabile, adesso è anche dolce, sto andando verso me stesso, gli dico, e mentre cammino il Vivente mi cammina accanto, mi cammina dentro, avanti, sopra, sotto… ovunque. L’assedio della sua presenza racconto, questa è la mia Emmaus che non passa.

Anche quando sono fermo tutto si muove, stiamo tornando a casa, dico, e siamo finalmente insieme, e sono finalmente fedele alla vita che mi è stata posta tra le mani tanti anni fa. Credevo di scappare dalla croce e stavo semplicemente iniziando a tornare a casa, ho sempre confuso la sorgente con la foce, ora sono solo estuario tra le sue braccia. Sono sempre in Emmaus.

No, non sono solo, non sono mai solo, l’amica al telefono piange d’affetto un pezzo di vita, la madre ha perso suo figlio, l’amico decide di sé e comunica la svolta, qualcuno cerca ascolto, io non sempre posso, non sempre riesco, ma non sono mai solo, e ogni cosa parla di Lui, parliamo sempre di Lui anche quando sembra che d’altro si riempia l’incontro. L’ho già detto più volte, mi sembra di essere condannato al Suo volto.

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A volte gli occhi fanno male almeno quanto i piedi, gonfi, rotti e tagliati, chiusi dai troppi passi sbagliati o dalla semplice abitudine, palpebre insanguinate da rocce troppo appuntite. Per vederlo mi tocca aspettare che sia passato, a volte, come se avessi bisogno dell’ombra, o di voler riacciuffare un lampo di bellezza che colto al presente mi avrebbe di certo incenerito di stupore. A volte invece ho bisogno di afferralo subito, tendo agguati, conosco il rischio di occhi troppo spalancati sul mistero, lo corro, solo adesso spesso gli occhi piangono, si sciolgono, il cuore non regge l’urto di questa vita moltiplicata. Si può morire per eccesso d’amore?

Geografi gli occhi mappano nuovi territori, mi sarei accontentato anche di meno vita, il cuore così rischia di infrangersi, l’amore di inebriarmi, ho paura di innamorarmi troppo del presente, di quello che vedo, di come Lui si racconta, la morte, il suo pensiero, il godimento del corteggiamento in fondo mi proteggeva. Mi esplode addosso il centuplo. Mi sarei accontentato di meno, mentre la mia Emmaus incide la Scrittura sui grani di riso della quotidianità.

Certi giorni mi rispecchio ancora nei volti tristi di chi credeva di credere, disegno sincera comprensione tra le rughe di chi si smarrisce e a fatica prova a ricucire gli strappi degli eventi. In fondo amo i piedi fermi e i volti tristi che sanno raccontare i propri smarrimenti, senza proteggersi, amo i volti tristi perché adesso so che Lui è già lì che ascolta e io non devo far altro che crederci, adesso so che prima che noi si capisca Lui è già, prima che noi lo si noti Lui è. Ecco, nella mia Emmaus ho imparato a mettermi in disparte, con curiosità mi chiedo dove sia seduto mentre il dolore si spreme in cronaca, dove, fermo e commosso, da che parte del tavolo sta accarezzando questo inconsolabile dolore, da che angolo di mondo sta piangendo di compassione?

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E così mentre fioriscono domande preghiere o bestemmie, mentre si impreca chi si crede assente, io respiro la Sua presenza. E quasi mi sento in colpa di non potermi disperare più, ma di ringraziare, solo ringraziare, anche per ogni sogno infranto e per le lacrime e per la vita che viene così come vuole venire.

Qualcuno si spiega ogni cosa, si racconta in modo perfetto, elenca la vita risorta, ordina per bene gli eventi, solo non crede. Nella mia Emmaus succede che io mi stupisca ancora di come si possa non sentirlo. Ma non lo senti che è già lì? Cosa vuoi che ti dica io? Fatti abbracciare, cedi, concediti. Ma so che la testa si ostina a spiegare e oppone ogni tipo di resistenza, so bene che qualcuno ancora si illude che credere sia capire, così resta a graffiare la parete liscia dello specchio illudendosi che la fede sia dono solo per alcuni. Per i matti, vorrei sussurrare, per chi la testa la perde o la rompe, o la dimentica. Folle l’amore che trapassa perfino l’appello truce della croce.

Nella mia Emmaus la Scrittura si incarna sempre e svela e mostra, squaderna i cuori, soffia nelle nuvole degli eventi, nella mia sempre presente Emmaus la Scrittura riconsegna ogni uomo a se stesso, non c’è più posto per ideologiche interpretazioni. Nella mia Emmaus la Parola parla sempre a un cuore solo, a uno alla volta, e lo bacia con i baci della Sua bocca. Tu bacialo, se non capisce bacialo, se ha paura bacialo, quel cuore stolto alla fine si slaccerà.

Nella mia Emmaus le cose serie avvengono a tavola, lì dove il desiderio implora e le mani finalmente imparano a ricevere.

Nella mia Emmaus è spesso notte, così nessuno vede, e l’invisibile ha sempre diritto d’asilo, nella mia Emmaus ci si può tuffare tra le stelle e continuare a tornare a casa, da chi si ama, e guardandolo negli occhi giurare che Lui è lì, è già lì con noi. E ringraziare di questo centuplo d’amore che risorge.

AUTORE: don Alessandro Dehòpagina Facebook

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