don Alessandro Dehò – Commento al Vangelo del 22 Ottobre 2023

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In quel momento i farisei se ne andarono e tennero consiglio per vedere come cogliere in fallo Gesù nei suoi discorsi.

Si ritirano i farisei, il movimento è di chiusura, feriti si nascondono, mentre si leccano le ferite pensano a una vendetta, il testo greco del vangelo dice che pensano a come “prendere al laccio” Gesù, il Cristo è già ridotto ad animale da braccare, a preda. Troppo selvaggia la sua predicazione, indomabile il suo sguardo, irraggiungibile la sua intimità con il Padre, anarchico il suo rapporto con le istituzioni. Sempre l’istituzione cerca di addomesticare la realtà in una rete di obblighi e doveri che la libertà è intollerabile, va presa al laccio.

Come mosche intrappolate in un bicchiere rovesciato i farisei si agitano, pur di uscire, di ribaltare la situazione, si alleano con gli erodiani, anche il male crea alleanze, soprattutto il male, forse. Il male unisce, la cronaca si ripete da secoli. Poi chiamano i loro discepoli, non si espongono in prima persona, e questo li proteggerà ma questo, anche, li condannerà a non conoscere mai la verità. Usano i discepoli, li convincono all’assalto, sembra un dettaglio da poco, è un passaggio di una violenza inaudita, anche questa destinata purtroppo a ripetersi in eterno: maestri che usano l’ingenuità dei discepoli. C’è violenza nell’abuso operato su chi crede in loro, c’è un uomo che usa un altro uomo, c’è la sudditanza, il sopruso, c’è l’abuso del maestro, e mi viene da piangere nel leggere questo passaggio, perché succede ancora troppo spesso. Il sistema, anche il sistema religioso, vive di queste forzature, vive di questi rapporti di forza dove ognuno crede di trarre vantaggio e invece si perde, lontano dalla libertà, lontano dalla scoperta della propria identità. A fin di bene avranno agito i farisei, per difendere la loro verità, a fin di bene avranno stretto alleanza con gli erodiani, a fin di bene avranno obbedito i discepoli, per obbedienza. Quanto male si può fare a fin di bene?

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Poi la Verità irrompe. Non sappiamo quanto i discepoli fossero coscienti delle trame dei maestri, quello che fanno è riportare a Gesù parole comunque di verità, e queste sono così taglienti e luminose da esplodergli sulle labbra. Maestro sappiamo che sei veritiero, e poco importa se sono parole dette da altri ma in quei discepoli queste prime parole tagliano, feriscono, maestro sappiamo che insegni la via di Dio secondo verità e questo era quello che i loro maestri avevano subdolamente suggerito loro, ma mentre pronunciavano queste parole ecco che le parole stesse accadevano davanti ai loro occhi, in Cristo la parola diventava carne, in Cristo davvero non c’era doppiezza, Cristo era la verità, e la libertà: davanti a loro.

Succede davvero così, succede che inizi ripetendo parole altrui, succede che parli per imitazione, succede che ripeti quello che i maestri ti hanno insegnato e lo fai perché credi in loro più che in un qualche Dio, poi però può accadere, a volte, ed è una grazia miracolosa, una resurrezione, succede, un giorno, davanti alla vita che accade, che quelle parole le scopri molto più grandi dei tuoi maestri, che inevitabilmente ti deludono, sono più grandi anche della tua mediocrità, però accadono, le vedi vere e vive incarnate nel Vivente e allora non hai più dubbi, ci credi. E ti inginocchi.

La domanda sul tributo a Cesare diventa occasione di conversione. È lecito dare il tributo a Cesare? Gesù risponde chiedendo loro una moneta, un disco, un cerchio, la forma geometrica di un serpente che si morde la coda, simbolo del potere che sempre rigenera sempre e solo sé stesso. Per il potere è lecito pretendere vittime, pretendere tributi, per il potere è normale gettare umanità sacrificale in cibo a tutti i cesari di ogni tempo, il potere pretende sempre vittime in nome della propria sussistenza, ogni potere si protegge. L’incarnazione del male è subdola, si veste di legalità. Dare a Cesare il tributo per assicurarsi protezione, appartenenza, tranquillità. Ma poi ti succede di guardare negli occhi Cristo e vorresti solo una cosa, essere libero come lui.

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Dare a Dio le cose di Dio. Questo spezza il cerchio. Questione di geometria teologica, Cristo spezza il cerchio del potere e lo trasforma in croce. Spazza il cerchio del potere e crea un legame orizzontale intrecciato con quello verticale. Allargare le braccia in un movimento infinito che contiene tutto l’esistente e creare un legame terra-cielo, dio-uomo, noi ci diamo a Dio ma Dio si consegna a noi. Questo movimento di doppia consegna, questo svuotamento che sovverte le idee del potere, che spacca ogni abuso istituzionale, che ridimensiona la grandezza dei maestri, che lascia liberi i discepoli, questo è ciò che più spaventa i farisei. E affascina ogni discepolo della verità. Gesù è questo.

Non c’è potere aggressivo in Cristo, in lui solo la luminosità di un Dio che in un uomo si manifesta, in lui solo la vertiginosa immagine di un uomo che manifesta Dio. Date pure a Cesare le monete, date ai governi e ai papi obbedienza, date quello che volete a chiunque, date quello serve per tenere in piedi le illusioni del mondo, ma non credeteci troppo. Datevi a Dio invece, in un abbandono fiducioso, perché noi siamo sua immagine, perché su di noi c’è la sua iscrizione. Datevi a Dio, lui si è già dato a voi, e questa contemporanea duplice consegna svelerà ogni cosa.

P.S.: Non so perché la liturgia ometta il versetto 22. Eccolo: E avendo udito (i discepoli dei farisei) furono meravigliati, e lasciando lui se ne andarono. Alla fine ci salverà la meraviglia, sempre ci salva la meraviglia. Quella di chi è ancora discepolo e non maestro, quella di chi non deve difendere niente. Alla fine: meraviglia. O all’inizio, forse. Il testo dice che i discepoli dei farisei se ne andarono da lui. Probabilmente saranno tornati dai loro maestri. Chissà però magari uno di loro, almeno uno, sospinto dalla meraviglia, se ne sarà andato anche dai farisei, libero, bello, a immagine e somiglianza di Dio, a immagine e somiglianza di sé stesso, tra cielo e terra, crocifisso allo stupore. Non resta che sperarlo, oppure sforzarsi di diventarlo.

Per gentile concessione dell’autore don Alessandro Dehòpagina Facebook

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