Fino ad alba definitiva
“Il regno dei cieli è simile a un padrone di casa che uscì all’alba…”
Sta tutto qui, nel gesto lento e quotidiano dell’alba.
Sta tutto qui, nel padrone della luce che esce, e il suo uscire fa fiorire la vita.
Sta tutto qui, nell’alba che cammina le tenebre. Lui è l’alba, e le tenebre iniziano a ritirarsi. Come nuova Genesi.
Esce di casa il padrone dell’alba perché la luce non può rimanere nascosta, perché un padre soffre la mancanza dei suoi figli, esce perché l’amore è estroverso, esce e il suo cammino è solenne e tenero, dolce e deciso. È un padre, è il sole. Esce, per istruire il cadavere crocifisso. Per prepararlo all’alba definitiva. All’Esodo di luce tra le tenebre. La resurrezione non si improvvisa.
I primi operai a farsi raggiungere dall’Alba si accordano con Lui. C’è tanta luce nella capacità di accordarsi con il Padre. “Accordarsi” è parola preziosa, contiene il “cor”, il “cuore”, e poi è parola musicale, di sinfonie possibili. Siamo creati nello stesso accordo divino.
I primi hanno il tempo di accordarsi al suono della luce, hanno tutta la giornata, hanno tutta la vigna per sperare che il cuore impari la melodia della divina bellezza. Non è facile, perché il nostro cuore conosce le tenebre e spesso è stonato. Non è facile, l’accordatura all’alba prevede prove, tentativi, errori. Ma è il senso profondo e ultimo del nostro essere al mondo: accordarci con la luce nascente. Non è richiesto altro. Il nostro lavoro è accordarci con il sole, credere nella possibilità di una luce che uscendo di casa cammina nel cuore di tenebra della notte. Forse resurrezione è questo, accordare la propria vita con l’incedere solenne del sole, accordare la propria storia a quella speranza quotidiana di una luce che arriva a trasformarci in alba, a raccontare di noi, a trasformarci in quel denaro bastante per un giorno, fino a nuova alba. Fino ad alba definitiva.
“Uscito poi verso le nove del mattino… quello che è giusto ve lo darò”
Poi succede però che io non sono pronto, perché le tenebre si sono incagliate nei fondali e scendere a risorgerle è impervio, vuole tempo e cocciutaggine d’amore. C’è un alba in me che non è pronta a sorgere. C’è una resistenza che chiede giustizia. Ciò che è giusto, ciò che è imparato con impegno, ciò che è Legge mi aiuta a scorgere alba anche alle nove, anche in ritardo.
Poi però non è più neppure questione di giustizia, è pura follia. Agire insensato, solo per amore, solo per incapacità di stare in casa, solo per la gioia di illuminare anche gli aspetti più infami della mia vita, lì dove io non scendo più nemmeno a guardare, fino all’orlo della notte. Fino a un passo dalla morte. Fino nel cuore della morte. “Uscì di nuovo verso mezzogiorno, e verso le tre… uscito ancora verso le cinque”… se non conoscessi il male che ancora mi abita anche io ti direi che è ingiusto portare il sole fino a lì. Che l’alba non può resistere al buio. Ti direi di smettere perché non me lo merito. Perché è stato colpevole il mio nascondermi, perché è troppo profondo il buio. Se non mi conoscessi sufficientemente anche io mi arrabbierei, e invece ti guardo camminarmi dentro e piango. Perché sto imparando a conoscere te.
E allora mi commuovo perché ti ho visto, luce negli occhi morenti di chi non avrebbe mai pensato (e forse nemmeno si è accorto) di come si può diventare alba nel cuore della notte.
Forse anche io sarei tra quelli che mormorano ma il mio cuore ormai è stanco e ha deciso di arrendersi alla luce, fai di me quello che vuoi, ti lascio entrare nelle mie ombre, non ho vergogna. E canta, mia luce, canta ancora dentro le pieghe dei miei peccati, canta la tua fantasia, dillo a tutti che ho provato fino allo sfinimento a non farti uscire di casa, che volevo mostrare agli altri solo la mia parte di alba, quella naturalmente accordata a te, quella che non prevede tenebre, la mia parte più divina. Dillo a tutti che era poca cosa.
Dillo, dillo a tutti che quello era solo l’inizio, l’alba di ogni alba. Poi bisognava passare per la giustizia delle nove del mattino, andare a illuminare la volontà di trasformare i colpevoli ritardi in possibilità. Rendere divina la mia storia con un agire giusto, con l’amore per i comandamenti, con la ferocia di chi prega con scrupolo, di chi è obbediente e rispetta le attese, di chi pensa che basti tenere tutto sotto controllo e che quel controllo si possa chiamare santità. Era alba pure quella, non lo rinnego, ma per fortuna non ti sei fermato. E ora io non so che ore sono, ma so per certo che non è più questione di giustizia ma di pura gratuità il tuo camminare dentro di me. Dentro le mie ombre che pian piano sto imparando a non nascondere più.
Io sono ombra. Non sono luce per nessuno. Io sono spazio buono per il Tuo cammino. E non per giustizia ma per resa. Non per impegno ma per innamoramento.
Ecco quel che mi resta da vivere vorrei fosse una definitiva resa alla luce. Un arrendersi alla testarda e gioiosa danza del sole. Non per merito ma per abbandono. E se qualcuno vedrà tracce di luce nel mio buio e riconoscerà Te, ecco quello per me sarà la gioia più grande.
Ho visto morire gente nel ventre più lontano e doloroso della tenebra, ma li ho visti morire benedicendo. E quella è alba. Alba di resurrezione. Io voglio solo imparare a morire benedicendo. Lasciando entrare luce nel sepolcro.
Voglio imparare a morire benedicendo la luce per imparare la sorpresa e la gratitudine di quando alla fine tu mi dirai che tutto è stato pienezza. Che anche l’ultimo brandello di buio ceduto all’alba ha lo stesso accordo di divinità, anche se magari sarà stato ceduto solo per sfinimento. Tu intanto, ti prego, continua a uscire e trasforma in alba ogni ora del giorno.
AUTORE: don Alessandro Dehò
FONTE: Sito personale
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