E se poi Dio dorme davvero?
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E se fosse una parabola in forma di cronaca? La tempesta sedata intendo. Se fosse come un racconto interpretato da Cristo e i suoi discepoli, come parole infuocate che dalla forma parabolica vengono portate sulla scena della vita? Le tinte forti e paradossali ci sono tutte: come può dormire Gesù durante una bufera? Capisco il non aver paura ma il dormire a poppa mentre i suoi discepoli addirittura pensano di morire… E poi questa cosa del dormire, non possiamo dimenticarci che poche ore prima (poche ore prima! basta leggere il Vangelo) Gesù aveva raccontato quella parabola del seme gettato nel campo e dell’uomo che può vegliare e che può anche dormire, una parabola che chiedeva al seme il coraggio di diventare grande e di farlo da solo. Di sprigionare la vita che chiedeva solo di esplodere. E se la tempesta sedata fosse solo un modo diverso di raccontare la parabola con l’unica motivazione di stanare i discepoli, di farli venire allo scoperto, di farli misurare con la realtà ? Un mio professore diceva che le parabole sono trappole per chi le ascolta, per me la tempesta sedata è una trappola bella e buona.
Insomma pagina scritta ispirandosi certamente a un fatto storico (di portata molto ma molto meno eclatante) ma usando appositamente i toni della “parabola in atto” per raccontare una verità altrimenti difficile da mostrare? Non sono un esegeta e se non ti piace la proposta ti chiedo di fermarti qui, sono solo parole scambiate in amicizia, ricerca fatta per amore. Nessuna polemica, se invece vuoi seguirmi… proviamoci.
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La prima immagine di questa parabola raccontata in forma di cronaca è la frase di Gesù “passiamo all’altra riva”, fosse solo cronaca sarebbe semplicemente la richiesta di uno spostamento ordinario per via mare ma è una richiesta che arriva alla fine di una giornata carica di insegnamenti, arriva di sera e ha tutta l’aria di voler dire molto di più di quello che appare. Come se Gesù dicesse: la vita è una traversata notturna, non si vede l’altra riva, è un viaggio condiviso (ci sono altre barche) ma è un viaggio pericoloso (nella vita ci sono molte bufere che rischiano di farci maledire il giorno in cui siamo nati), questa è la vita, questo è essere seme lanciato nel campo. Questo siete voi.
“Lo prendono nella barca così come era”, ecco bravi, in questa grande parabola che è la vita imparate questo, sembra dire Gesù, a prendere la vita così come è e non come la vorreste voi, perché avere fede non è affidarsi a una forza superiore che ammansisce gli eventi. La vita è una traversata notturna verso la speranza di una riva attraverso le tempeste con un Dio che non sta sopra gli eventi ma dentro, imbarcato, fa parte della tua storia, vive le bufere con te. Prendere la vita così come è, prendere Cristo così come è, che poi vuol dire accogliere e dire da subito che l’unica cosa che possiamo cambiare non è fuori ma dentro, non sono gli altri ma siamo noi, è il nostro modo di interpretare gli eventi.
Potresti obiettare che però, in questo caso Gesù, interviene in modo potente e placa gli eventi, potresti obiettare che questo testo sembra avvalorare la tesi che se svegli Dio a suon di preghiere lui poi sistema le cose e placa la tempesta… ma io ti dico invece di non dimenticarti di quello che dice Gesù ai suoi amici alla fine del “miracolo”, dice loro “Perché siete paurosi? Non avete ancora fede?”. Non dimenticare che siamo all’inizio del Vangelo e che questa è una parabola raccontata in forma di cronaca, non dimenticare che i discepoli non hanno ancora vissuto la passione e la Pasqua, non dimenticare che siamo nella grande fase della rivelazione di un Dio che si fa uomo in Cristo. Non dimenticare che il Vangelo è un percorso e che qui il centro non è il presunto miracolo di Gesù ma la mancanza di fede dei discepoli!
“Taci, calmati” dice Gesù al vento e il vento cessò.  Un Gesù che si sveglia richiamato da una poderosa domanda dei discepoli “Maestro non ti importa nulla che moriamo?”. Sentite i toni della parabola? La grande umanità di un Maestro che non si preoccupa di spiegare come si placano le tempeste della vita ma che pazientemente torna a prendere per mano i suoi discepoli sapendo che dovranno capire in quei tre anni con lui il senso profondo della fede. Se il cuore della pagina fosse stata la vittoria miracolosa contro le tempeste perché Gesù non ha spiegato a loro e a noi come pregare per far tacere le bufere della vita? Perché non ha detto che basta la preghiera fatta con sincerità per svegliare l’Onnipotente e così farlo intervenire a nostro vantaggio? Perché non tutti quelli che pregano con fede vengono esauditi con una guarigione? Perché il padre dovrebbe fare differenze tra i figli?
Perché quello che fa Gesù nel Vangelo è far vivere una parabola, è dar vita a un racconto, è parlare come si parla a dei bambini (i discepoli in quella pagina hanno una fede bambina), sapendo che dopo la sua morte (morte di un padre) non avranno più tempo per essere infantili e dovranno capire che Dio non interviene così! Gesù è come il papà che lascia credere a suo figlio di avere essere “onnipotente” ma che poi si aspetta di veder crescere la sua creatura e di vederla pronta a reggere la bellezza di quello che un padre può fare: lanciare e promettere una alleanza più forte anche della morte. Gesù parte da una tempesta sedata ma non si ferma lì, accompagnerà i suoi discepoli a vedere il volto di un Padre che nel cuore della tempesta drammatica del Calvario rimarrà silenzioso, come morto, imbarcato in quella traversata drammatica che si chiama Pasqua. E noi non possiamo più permetterci di tornare indietro, la Pasqua è evento senza ritorno.
Ecco quello che credo, che sia una parabola di transizione e che a noi, dopo la Pasqua, non è più convesso di credere che il miracolo sia solo una bufera che cessa, una guarigione, un fatto inspiegabile. Dopo la Pasqua rimanere bambini è un peccato grave. E ancor più grave è quando i predicatori trattano i fedeli come bambini capricciosi.
Io credo nei miracoli perché il miracolo vero è la domanda dei discepoli “Maestro non ti importa nulla che moriamo?” eccolo l’inizio del vero miracolo, che quel gruppo di uomini si rivolge al loro Maestro con una domanda radicale, da grandi. Il vero miracolo non è la guarigione ma far diventare matura la nostra fede e nel cuore della tempesta della vita saper dire a Lui, faccia a faccia, con schiettezza: ma a te importa di noi? Perché questa cosa della morte è seria! Perché non è più tempo di giocare, perché la fede è misurarsi con questo Dio che deve tener fede alla sua alleanza!
Credo che la tempesta sedata sia una parabola raccontata come se fosse un evento storico perché agisce come esattamente come una parabola, sembra che parli di tempeste e invece parla di noi, sembra che parli di miracoli e invece serve a far esporre i discepoli, serve a stanarli, serve a provare a partorirli a un grado maggiore di umanità . Miracolo è quando noi smettiamo di chiedere a Dio di sistemarci la vita e cominciamo a cercarlo per intessere con lui un dialogo senza esclusione di colpi.
No, non credo a un Dio che se prego tanto e prego bene interviene a sistemarmi le cose della vita, scusatemi ma non ci credo, soprattutto perché ho conosciuto troppe persone che hanno visto morire i figli, che hanno perso qualcuno di caro, che hanno pregato e non hanno avuto guarigione. Credo però nei miracoli, ci credo tanto e sono vivo e continuo a camminare grazie a questa fede, credo nel miracolo per eccellenza della resurrezione di Cristo, l’unico punto da cui poter guardare il mondo senza morirci, credo che solo dalla Resurrezione io possa sentire come credibili le parole di Cristo “perché hai paura? Non hai ancora fede?”, il miracolo è che qualche volta non ho paura nonostante abbia visto tanta gente morire, nonostante senta lo strappo di tanti affetti lontani. Il miracolo è che succede che io non ho paura, anche nel cuore delle tempeste e ci dormo dentro aspettando che passino o aspettando di sbucare su un’altra riva perché l’ho capita che questa cosa chiamata vita è solo una traversata. Il miracolo è che non ho paura perché in questa tempesta ci sono altre barche con me, barche di uomini e donne che danno la vita per me, e questo per me è un miracolo più che sufficiente per dire di credere che loro sono il volto di Dio. Credo nel miracolo di un Amore che non placa le tempeste ma che sta imbarcato con me e che non mi molla, amore alleato, eucaristica presenza, pace infinita quando invece di chiamarlo a lottare contro il vento riesco a farmi chiamare e a scendere con lui e a dimorare sul tuo petto, a poppa, in un abbandono di intimità .
Il miracolo è che qualche volta ho sentito il brivido della fede e non ho avuto dubbi che i miei morti avessero attraversato la riva e che ora stessero dimorano in Lui.
Limitarsi a sedare le tempeste è inutile e infantile, questa è una parabola buona per discepoli all’inizio del loro cammino di fede, discepoli che iniziano a chiedersi “chi è mai costui che anche il vento e il mare gli obbediscono?”. Eccolo il miracolo, cominciare a farsi domande. Solo che noi abbiamo un vantaggio, si chiama Pasqua, vuol dire passaggio, che da grandi lo scopriamo, le tempeste non si sedano, si attraversano.
AUTORE: don Alessandro DehòSITO WEB Leggi altri commenti al Vangelo della domenica