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don Alessandro Dehò – Commento al Vangelo del 19 Maggio 2024

Domenica 5 Maggio 2024
Commento al brano del Vangelo di: Gv 15, 9-17

« Infatti il Figlio di Dio si è fatto uomo per farci Dio »
Sant’Atanasio di Alessandria, De Incarnatione

Venne all’improvviso dal cielo un fragore, quasi un vento che si abbatte impetuoso, e riempì tutta la casa dove stavano.

L’incarnazione è il Cielo che si apre, lacerazione dolorosa e salvifica, gli opposti si fanno vicini, le distanze di penetrano, l’Infinito feconda la terra. È il fragore di un vento impetuoso che scompiglia le nostre rigidità, le ginocchia ancora si piegano d’emozione e paura, ci vuole coraggio per farsi riempire la vita dalla forza dello Spirito. Sembra che il cielo, fortunatamente, ancora non riesca a contenere la potenza di questo Dio che vuole trasformarci in Lui.

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Così ancora accade l’amore, procede sempre e solo da un cielo partoriente. Ci saremmo accontentati di molto meno, ci sarebbe bastato dare un poco di senso alla vita, aiutarci tra noi, per quel che si può, masticare la fatica di essere vivi sperando di assaporare qualche briciolo di felicità, ci sarebbe bastata la nostra vita, per quel che è.

Invece il cielo si strappa ancora e grida d’amore il desiderio divino. Non basta essere vivi, non basta il respiro serve lo Spirito, Cristo si è fatto uomo per farci Dio. Non bastano le raffinate antropologie che ci fanno credere che basti essere pienamente uomini estromettendo di fatto Dio dalla vita, non bastano filosofie spendibili tra i sapienti, saranno accoglienti e comprensibili, ma non sono vere, non hanno fede. E a Dio comunque non basta. Così il suo fragoroso amore ci interpella ancora. Per farci Lui.

“Apparvero loro lingue come di fuoco, che si dividevano, e si posarono su ciascuno di loro, e tutti furono colmati di Spirito Santo e cominciarono a parlare in altre lingue, nel modo in cui lo Spirito dava loro il potere di esprimersi.”

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Serve una lingua nuova, come infuocata, come avere un roveto ardente tra le labbra, come a lasciar parlare di Dio in noi. Diventare Dio, trovare la lingua per svelare l’unica verità, che ogni cosa è abitata da un gemito inesprimibile che chiede di tornare a casa. Che tutto è un travaglio che chiede nascita. Che in ogni brandello la realtà spinge per rinascere in Eternità.

Serve una lingua nuova, e che sia infuocata e divina, una lingua che sia comprensibile da tutti, ma comprensibile nel profondo, nel luogo segreto e spesso dimenticato della nostra anima, lì dove tremante confidiamo di aver capito di essere nati per lasciarci trasformare in Dio.

Fratelli, camminate secondo lo Spirito e non sarete portati a soddisfare il desiderio della carne. La carne infatti ha desideri contrari allo Spirito e lo Spirito ha desideri contrari alla carne; queste cose si oppongono a vicenda, sicché voi non fate quello che vorreste.

Dio si è fatto uomo per liberarci dai bisogni che muoiono nella ripetizione dell’identico. Dio si è fatto uomo per liberarci dal dominio delle cose della terra, dagli istinti che non conoscono orizzonti infiniti, della sessualità che si accontenta del godimento e non riesce nemmeno più a sognare d’essere atto divino, creativo, estatico, liberatorio. Dio si è fatto uomo per Liberarci da un moralismo che ha sfigurato la sessualità dimenticandone la vocazione divinizzante.

Per liberarci dalla paura che prende chi ha dimenticato che la Legge non dev’essere adorata ma deve servire solo a mantenere puro, cioè libero e divino, il nostro modo di guardare il mondo. Dio si è fatto uomo per insegnarci a guardare il mondo come lo guarda lui, per restare in relazione viva con noi, perché senza relazione non c’è verità.

Dio si è fatto uomo per mostrarci che ogni fratello è strada percorribile per arrivare a Lui. Ma anche ogni cosa, nella sua essenza, non è altro che possibilità di svelare la sua presenza. Tutto canta la Sua prossimità, tutto è varco, porta, feritoia. Anche la morte, soprattutto la morte. Dio si è fatto uomo per trasformare la morte in Pasqua, per renderla passaggio, perché morendo diventassimo Lui.

“Molte cose ho ancora da dirvi, ma per il momento non siete capaci di portarne il peso. Quando verrà lui, lo Spirito della verità, vi guiderà a tutta la verità”

 Ed è questa la verità, quella che era inaccessibile prima che la croce e la resurrezione mostrassero il vero volto delle cose. Questa è la verità, la verità tutta intera, perché ricomposta in un atto d’amore infinito. Questa è la verità, perché non è limitata a Cristo, perché con la Pentecoste non smette di accadere in ognuno di noi. Noi che ci accontentiamo di molto meno, noi che non troviamo più il coraggio di desideri infiniti, noi che nemmeno più diciamo che possiamo lasciarci trasformare in Lui. Forse perché è un peso, una responsabilità grande.

Forse perché preferiamo credere ad un Dio separato da noi. Forse perché sembra impossibile credere in questo nostro corpo che non interroghiamo mai abbastanza: non lo facciamo suonare come potrebbe. Forse perché ci sembra impossibile che dalla nostra miseria possa nascere qualcosa anche solo somigliante al divino.

Forse perché non crediamo d’essere culla e sepolcro. Forse perché non crediamo nel suo amore. Forse perché non crediamo nell’uomo come ci crede lui. Forse perché non amiamo il corpo, il mondo, le nuvole, le pietre, gli animali, la montagna, l’acqua, il legno, la resina, la carta… forse perché non lo sentiamo cantare anche lì. Forse perché non lo ascoltiamo presente in ogni respiro. Forse perché non vogliamo semplicemente farci Dio.

Ma il cielo si apre, e sarà sempre all’improvviso, e con un fragore che sentiremo solo noi, in un vento di cui riconosceremo immediatamente il profumo, saremo riempiti da Lui. Diranno che siamo morti. Invece saremo finalmente diventati Lui, con chi ci ha preceduto. Finalmente.  

Per gentile concessione dell’autore don Alessandro Dehòpagina Facebook

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