don Alessandro Dehò – Commento al Vangelo del 19 Dicembre 2021

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Io vedo ancora sacrifici

“Fratelli, entrando nel mondo Cristo dice…” rallento il respiro, lascio che i muscoli riscoprano la consapevolezza di occupare lo spazio, mi sembra di essere connesso al movimento lento delle sistoli e delle diastoli, mi commuove il respiro lento del cane, appoggio i miei pensieri a quel ritmo animale e divino. Lo faccio perché voglio crederti ancora, sospendere le delusioni, accettare di farmi sbranare dalla tua audacia. Voglio crederti ancora mia Infinita tentazione, lasciare che le tue parole mi sprofondino nel mondo, accetto di tornare a scavare, rompermi ancora le unghie, torturare a sangue le parole. Se tu dici che sei entrato nel mondo io non sono niente, il mio dubbio è irrilevante. Sposterò i detriti come dopo un terremoto, la fede forse è nient’altro che ricerca di scampati.

Chi sono io per dubitare di Te? Non ho l’audacia di Giobbe, la sua santità mi è estranea, il suo tormento troppo nobile. Voglio tornare a credere che tu ci sia, dentro le meccaniche terrestri, infangato nelle mie ipocrisie, nella banalità che mi deprime, perfino nel vuoto che crepa una distanza tra le parole e la realtà. Vorrei tornare bambino a quando tutto era scontato stupore. Non posso. Voglio tornare a credere che tu lo abiti questo mondo, che lo hai penetrato, trafitto, incarnato, ma tu aiutami, da solo non ce la faccio. Mi perdo tra le paure.

“Tu non hai voluto né sacrificio né offerta” perché allora tutte questi cadaveri? Perché il ripetersi infinito di vite macellate all’ennesimo idolo? Sai bene che qui il sacrificio continua, purtroppo sotto alta forma. Si ammazzassero solo i buoi, almeno. Invece qui si macellano i nostri sogni. Abbiamo strutture da conservare, identità da difendere, case religiose da presidiare, sacre intuizioni di megalomani padri fondatori da non sperperare. Dillo tu che è sospeso il sacrificio a quel mio amico prete che è stato abbandonato dalla chiesa dopo che tutto di lui è stato depredato. Dillo tu che nessun Dio voleva il sacrificio della sua vita e che tutto quello che ha costruito non era in Nome tuo ma a difesa di un sistema di potere sotto falso nome che ora non ha più bisogno di lui. Io non ce la faccio, la vita è sacrificio, abuso di potere, ricatti emotivi e retorica, e falsificazione. Se tu ci sei, e voglio credere che tu ci sia, come oltrepassare la condanna del sacrificio umano?

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“Un corpo invece mi hai preparato” così hai scritto e io non opporrò resistenza. Un corpo, il tuo, da subito adorato dai magi ma anche minacciato dal potere, prima venerato e poi crocifisso. Sacrificato, infine. Un corpo, anche il mio, che prometti di abitare. Ma come?

“Non hai gradito né olocausti né sacrifici per il peccato” voglio credere sia vero, lo ripeti, nessun olocausto, nessun sacrificio, ma il peccato rimane, lo vedi anche tu, respira a ogni passo. Lui sì lo sento dentro di me, sempre pronto a disumanizzarmi.

Allora ho detto: “Ecco, io vengo – poiché di me sta scritto nel rotolo del libro – per fare, o Dio, la tua volontà”». Mi fanno paura queste parole, lo sai, sono cariche di presagi di morte, vibrano del fruscio del Getsemani. Non c’è davvero altra scelta? Solo il fragilissimo “eccomi” della mia storia? Ricordo quotidianamente l’amicizia con Claudio, il suo Eccomi risuonò solenne nel duomo di Milano, ordinazione sacerdotale, ma ritornò quell’eccomi, solo pochissimi anni dopo, nel canto struggente in quella chiesa gremita per il suo funerale. Non sacrificio, non olocausti, aveva scritto sulla sua immagine della prima messa. Lui, che finì massacrato dalla leucemia in un letto di ospedale. Io voglio credere, ma è davvero tutto qui? Ci è dato solo questo? Una consegna alla volontà del Padre? Il fragile sì di una creatura alla perversità della vita?

“Così egli abolisce il primo sacrificio per costituire quello nuovo”. Mediante quella volontà siamo stati santificati per mezzo dell’offerta del corpo di Gesù Cristo, una volta per sempre.

Così mi stai portando ancora ai piedi della croce, il sacrificio nuovo e definitivo, cioè l’ultimo. La croce, capolinea della logica sacrificale, lì dove c’è solo la libertà regalata ai tuoi amici e il perdono senza senso apparente dilatato sui tuoi carnefici. Io voglio ancora crederti ma ho paura, capisci? C’è troppa libertà in quello che mostri. Gli idoli sono mimetici, affascinano, si travestono di bene, dicono di essere te! Come smascherarli? Qual è questa volontà del Padre, quella che oltrepassa i sacrifici, che riconsegna a libertà? Come relegare la logica sacrificale al passato?

“Non perdere nessuno di quelli che mi hai dato” questo risuona in me, sono parole tue, il tuo testamento. Non perdere nessuno per nessun motivo. Salvare sempre la relazione, ad ogni costo, sapere prima, sapere sempre, se il fratello che ho davanti lo sto amando o lo sto usando. E quando sbagliamo tornare e chiedere scusa. E perdere, perdere qualsiasi struttura, perché la struttura chiede sacrifici umani per essere mantenuta. La tua volontà è la mia nudità, il mio perdere qualsiasi cosa, prima di tutto la faccia. Il mio orgoglio. La tua volontà è la mia capitolazione, è il mio scomparire, è la decostruzione di qualsiasi progetto.

C’è solo il volto della persona che ho di fronte. Il resto conta nulla. E per lui accettare di far morire ogni cosa. Sacrificare le parrocchie perché non generano legami di libertà, sacrificare le ideologie perché si nutrono di cieca disciplina, sacrificare i progetti pastorali se trasformano gli uomini in ingranaggi, sacrificare il proprio ego perché inevitabilmente ruba spazio all’altro, sacrificare i sinodi se sono generati da strutture gerarchiche senza accenni di smantellamento, sacrificare l’idealizzazione che trasforma le persone in idoli, far saltare il meccanismo perverso di ogni sistema di potere, questo è l’unico e definitivo sacrificio da operare. Questa è la croce. L’amore che fa paura. La troppa libertà.

Unico e definitivo sacrificio è quello del potere e della sopraffazione, su quel legno dove ha vinto la misericordia, dove i legami di cura, seppur sussurrati, hanno resistito all’infamia dei chiodi e della bestemmia, da quella volontà, da quel tuo eccomi, continuamente ripartire. Sarà la mia grotta, la mia capanna, il mio Natale sarà ormai sempre sul Golgota. Anche se non ne sono all’altezza, proverò ancora, tornerò sempre. Se tu mi chiami.

Conoscere il carnefice che ci abita, misurare con spietatezza la nostra tentazione per l’idolo, smascherare la falsificazione che ci fa credere di servire il vangelo dove invece siamo proni alle logiche umane. E pagarla questa cosa. Pagarla fino in fondo. Crocifiggersi a te. Unico Natale credibile.


AUTORE: don Alessandro DehòSITO WEB Leggi altri commenti al Vangelo della domenica