don Alessandro Dehò – Commento al Vangelo del 18 Dicembre 2022

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Giuseppe (e lo scialle di preghiera di Dio)

Forse Giuseppe aveva paura, o forse aveva addosso quel senso di inadeguatezza che è tipico dei poveri e dei giusti. La vita stava esplodendo, nobile imprevedibile e divina, e lui, in quel ventre caldo di miracoli, si sentiva di troppo. Troppa vita, troppo Dio, troppo tutto. Quell’incedere di eventi miracolosi sconfinava i gesti abituali del giusto, forzava i confini del credere semplice e devoto, la vita si accaniva sulla semplicità con la caparbietà che hanno le ribelli schegge di legno quando si incagliano sotto lo strato duro della pelle.

Anche dubitare di Maria era sentimento troppo grande per Giuseppe, servivano attitudini del cuore che lui aveva piallato ben prima che germogliassero in nodi a cui appigliare il proprio orgoglio. Serve predisposizione all’attacco per dubitare, serve di volersi salvare la faccia per accusare la donna che si ama. E lui, Giuseppe, la sua faccia non l’amava a sufficienza, come ogni povero lui la sua faccia l’aveva ereditata e ci si era affezionato, amarla era troppo, era quello che era e non si era mai dato il peso di chiedersi se avesse potuto o dovuto darle altre forme. Quella era, quella rimaneva, sia lodato il Dio dei padri.

Il sudore di una giornata di lavoro, sedersi al riparo guardando un tramonto, tirare grande i figli, pregare e stare obbediente alla Legge, questo bastava, questi erano i contorni a cui si sentiva pronto di rispondere. E anche bene. Non avrebbe tradito, lui. Non ne aveva l’attitudine. Maria aveva tradito invece? O era questo Dio inatteso il vero traditore, Colui che gli stava chiedendo troppo, Colui che gli stava chiedendo di forzare i confini della sua obbedienza. Di chi fosse la colpa non gli interessava, non cambiavano le cose, si sentiva come una trave troppo fragile sotto il peso degli eventi, il rischio di rottura era evidente, la delusione del crollo insostenibile. Avrebbe preferito tirarsi indietro, chiedendo perdono, chiedendo comprensione.

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Gli sembrava così semplice credere in Dio, fino a quel momento dico, gli sembrava ordinaria la fede, come credere nel sole, nell’acqua e nelle montagne, e aveva ragione, credere nel Creatore per chi ha occhi che sanno vedere e mani che sanno costruire non è per nulla difficile, tutto parla di Lui. Giuseppe si sentiva parte viva di una storia più grande, la storia di profeti, re e guerrieri, la storia miracolosa d’Israele, e questo lo consolava, gli sembrava d’esser nato per non dar fastidio, per confondersi nel popolo, per essere dell’esodo una comparsa fedele, nella storia della salvezza era pronto a immergersi e lasciarsi portare.

Non avrebbe tradito, avrebbe creduto senza ombra di dubbio. Sarebbe sparito nel caldo dello scialle di preghiera di Dio. Non è difficile credere in Dio, difficile è accettare che Lui voglia credere in noi, e cambiarci la vita, e costringerci a esporci ad uno sconfinamento, a una ridefinizione di identità che chiede un cambiamento radicale, che chiede di morire prima del tempo. Questo non solo sembrava troppo per Giuseppe, questo sembrava semplicemente impossibile. Un conto è credere nella storia della salvezza, un conto è diventarne parte viva e responsabile. Per questo Giuseppe tentò di farsi afferrare dal buio e dal silenzio. Provò a sparire. Chiedendo scusa.

Chissà come avvenne quel sogno, chissà quanto durò, chissà se sentì la beffa di chiamarsi come il sognatore dei Testamenti Antichi, qualcuno disse che Giuseppe da quel momento in poi non smise di sognare nemmeno per un istante. Si addormentò e nel sonno perse il controllo e non lo seppe riacquistare più, cedettero le difese e non vennero sostituite da altre mura. Il sonno dei giusti è pericoloso perché non ha freni, perché non ci si può trattenere, perché non dubita.

Nel sonno i giusti gustano le rivelazioni divine, nel sonno è Dio che parla all’uomo, è una preghiera al contrario, nel sonno non puoi sottrarti per paura o per umiltà, nel sogno sei esposto e allora, così si disse Giuseppe, tanto vale non svegliarsi più. Intollerabile sognare solo di notte, i cuori semplici hanno fame di coerenza. Non è che il sogno diventava realtà è che non ci sarebbe stata più differenza, se era questo quello che il Signore gli chiedeva lui l’avrebbe fatto, sarebbe diventato il sogno vivente di Dio, sarebbe diventato altro rispetto alle sue attese, si sarebbe lasciato afferrare, a costo di perdersi, a costo di non riconoscersi più. Ma non è questa, alla fine, la fede?

Iniziò a prendere la vita come veniva, questo fece Giuseppe, con la dura caparbietà che hanno i timidi dopo essersi decisi, prese Maria in sposa, prese questo volto di Dio impertinente che gli chiedeva di fidarsi, prese gli eventi e le domande e le paure. Un giorno prese pure il figlio di Dio per portarlo in salvo, in Egitto. Quando Dio interpella l’uomo accadono cose incredibili, come di dover salvare il Salvatore. Giuseppe maturò la ferma decisione di lasciarsi abitare da Dio e di incamminarsi verso l’ignoto. Giuseppe iniziò a credere nel momento esatto in cui si rassegnò a credersi degno di essere stato visitato, amato e scelto da Dio.  Un atto di resa e di accoglienza, un vero atto di fede, credere che oggi le profezie, per compiersi, abbiano bisogno ancora di noi.

Lo consolò il nome, Emmanuele, il nome di questo Dio bambino, di questa impertinenza sacra, di questo enigma piangente e adorabile. Lo consolò il nome, che è il nome che possono pronunciare solo le persone di fede. Emmanuele, Dio con noi. Il sogno aveva permesso l’invadenza del Mistero nella vita ordinaria di un uomo semplice.

Ma quel nome, Dio con noi, quel nome per Giuseppe aveva il suono dello scatto secco di una tagliola, quel nome metteva Dio in trappola, se era stato scelto, se nel sogno il Signore aveva scelto esattamente lui, se tutti i progetti di una vita regolare erano stati devastati dalla Sua profezia, ecco lui, in cambio, aveva fatto scattare la trappola: Emmanuele, ora Dio con noi, per sempre. Giuseppe aveva messo in trappola Dio.

Ora Dio era costretto a non lasciare più i suoi figli, a implicarsi nella storia degli uomini, a mischiarsi e immischiarsi ancor più di come aveva fatto fino a quel momento, diventando carne della carne, divinizzando la carne. Non avrebbe più potuto tradire l’uomo, questo diceva la trappola escogitata dal sognatore a un Dio che non vedeva l’ora di farsi imprigionare dalle mani forti e buone di quel vecchio falegname.

AUTORE: don Alessandro Dehòpagina Facebook

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