don Alessandro Dehò – Commento al Vangelo del 17 Ottobre 2021

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Bisogna annientarsi

«Maestro, vogliamo che tu faccia per noi quello che ti chiederemo»

Adesso invece non chiedo più nulla, ho paura di essere esaudito ancora. Ho paura che i miei desideri possano tornare a essere realtà. Un inferno. Credo che l’uomo sia abile a costruirsi la propria trappola. La tentazione per essere tale deve apparire promettente e divina. L’inferno è l’accadimento di una vita che fa coincidere i miei desideri profondi con quello che io credo essere la volontà di Dio. Una trappola mortale, si resta invischiati, il divino diventa un alibi, Dio un colpevole, un carnefice. Invece abbiamo scelto noi, solo noi, e ci siamo illusi che fosse la risposta a una vocazione. E anche sul termine vocazione sarebbe urgente tornare…

«Che cosa volete che io faccia per voi?»

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Sì è vero, è Gesù a chiedere ai discepoli, ma è chiaramente una caricatura terribile del rapporto uomo-Dio… è la creatura che dovrebbe chiedere “cosa vuoi che io faccia?” al massimo. E comunque non credo sia mai questione di fare o non fare, fino a quando rimani in questa prospettiva sei sempre come spaccato in due, e Dio è sempre troppo altrove, appare come un qualcosa da conquistare. Non c’è alleanza, non so se mi spiego. Io se amo qualcuno non voglio che “faccia qualcosa per me” io voglio che “sia con me”. Forse anche, capiscimi bene, che “sia me”. Ecco credo che Gesù cerchi, invano, di portarci in altra prospettiva, oltre il fare o non fare di Dio, oltre il fare o non fare dell’uomo, dovrebbe esserci un dimorare, un rotolare, un precipitare in Lui. Ma anche viceversa. Il Vivente precipita per amore nella mia vita e io mi lascio invadere.

«Concedici di sedere, nella tua gloria, uno alla tua destra e uno alla tua sinistra».

Immagino sia una richiesta nobile, tipo occupare uno spazio d’onore. Il problema vero è che ci siamo già alla destra o alla sinistra di Cristo, come bestie nel presepe, come demonio tentatore nel deserto, come discepoli incapaci di capire, come malfattori condannati a morte sulla croce. Ci siamo già ma solo perché Lui sceglie di stare con farabutti, prostitute e ladri. Con noi. Che siamo anche come madri che perdono il figlio, ciechi che ricominciano a vedere, peccatori perdonati. Lui c’è già, nel Vangelo si capisce bene, il problema vero è: dove è questa gloria? A cosa serva averlo a fianco se poi la vita frana e la malattia ti mangia da dentro e la solitudine ti stordisce… cosa vuol dire averlo a fianco, cosa è questa benedetta gloria? È tutto rimandato a una eternità che sarà e questa è solo una valle di lacrime, come da certa tradizione ci viene consegnato? Oppure la Sua gloria è presente ma io come dice qualcuno non la vedo? E così si moltiplicano in me pure i sensi di colpa per una mancanza di fede. Questo credo sia interessante indagare. Io credo che oltre la destra e la sinistra sia ora di unificarci, Lui è dentro. Serve di imparare una grammatica che ci impedisca di pensare a Dio come a un Ente da adorare o da chiamare sul banco degli imputati in base allo scorrere degli eventi.

“Voi non sapete quello che chiedete”

Infatti non lo sappiamo. Nel campo della fede dico, se avessimo anche solo il vago sentore di sapere cosa ci stia proponendo la follia del Vangelo credo non avremmo il coraggio di restare un minuto in più. Beata incoscienza mi viene da dire, come si fa a sapere che quando preghiamo stiamo chiedendo di uniformarci al massacrato per incomprensione, allo schiavo, al vomitato dalle istituzioni? Non lo sappiamo. Forse lo intuiamo quando la vita ci porta lì, a un passo dallo scarto definitivo che si chiama morte e allora ci ricordiamo di aver pregato un Maestro che ci è già passato ma che aveva maturato una fede profonda nella Consegna a un Tu. A un Padre.

Potete bere il calice che io bevo, o essere battezzati nel battesimo in cui io sono battezzato?

Possiamo bere il calice che è giuramento di alleanza anche davanti a un tradimento? Possiamo immergerci nella vita con la stessa ferocia misericordiosa di Cristo? Non lo so, se solo riuscissi almeno a chiederlo mi sentirei di aver intuito qualcosa del Vangelo. Di certo qualcuno ci riesce, perché la vita lo accompagna a certe scelte, per chissà quali misteriosi giri. Davanti alla vita che tradisce bere il calice amaro del rifiuto e trasformarlo nella coppa dell’alleanza, rimanere fedeli alla vita nonostante la vita. Liberarsi da ogni risentimento o desiderio di vendetta. È eroico vero?

Affondare nella vita fino ad affogarci, non rimanere mai in superficie, battezzarsi che poi vuol dire morire per amore. Se solo riuscissimo a liberare la Sua proposta da tutta la melassa in cui la stiamo affogando sentiremmo la violenza dell’amore. Perché di questo si tratta, e ci fa paura. La propaganda a cui siamo abituati non può permettersi di spaventare. Invece i discepoli si spaventano spesso.

Ma fino alla croce non scappano, e poi tornano per farsi ammazzare. Sono maestosi.

Lo possiamo

Certo che lo possiamo, il problema vero è se nel momento esatto in cui il mondo ci crollerà addosso noi lo vorremmo. Non so se mi spiego. Si può passare una vita a credere e predicare sulla nostra chiamata alla sequela di Cristo, ci possiamo scrivere libi e predicare esercizi, poi però il problema è che nella vita accade la frana, il fallimento, l’abbandono, il ripudio. Per mille motivi. E in quel momento certo che “lo possiamo” il problema vero è che forse non ci riusciremo e cercheremo colpevoli, e alibi. Che è poi quello che hanno fatto Adamo ed Eva incolpandosi a vicenda nel giardino e tirando in ballo il serpente. Il peccato è la falsificazione della vita per crearsi un alibi. L’amore invece è franare nelle braccia dello Scandalo, crocifiggersi a un respiro, scegliere di non disintegrare il nemico. Credere che divino sia lo svuotamento di sé pur di evitare l’annientamento dell’altro. La risposta all’albero del peccato è l’albero della croce. Lo possiamo, se vogliamo, diventare nuovo Adamo, bisogna capire se siamo riusciti a smettere di sentire Dio come un accusatore, bisogna capire se siamo riusciti a sentirci abitare dallo scandalo del Suo silenzio.

Il calice che io bevo, anche voi lo berrete, e nel battesimo in cui io sono battezzato anche voi sarete battezzati. Ma sedere alla mia destra o alla mia sinistra non sta a me concederlo; è per coloro per i quali è stato preparato

Alla fine impossibile agli uomini ma possibile a Dio. Calice e battesimo saranno possibili per dono scandaloso. Non come merito ma come cedimento, come svuotamento in lui. Se siamo discepoli è per la sua fede nei nostri confronti e non il contrario. Alla fine è l’unica cosa che può regalarci un po’ di speranza, il fedele è lui e solo lui e noi siamo destinatari di un amore impensabile.

Ed è toccante sentire dire da Cristo “non sta a me concederlo”, la concessione, qualsiasi concessione è sempre un atto di potere, e Cristo non regge questa logica. Rimanda a un Amore più grande. Solo Lui è buono, noi qui ci sentiamo come destinatari di una cura immeritata.

Voi sapete che coloro i quali sono considerati i governanti delle nazioni dominano su di esse e i loro capi le opprimono.

C’è un modo di affrontare la vita che è quella di “governarla”, che poi è illudersi di tenerla sotto controllo. Alla fine la vita così si opprime, si soffoca. Manca il vento dello Spirito. Chiaramente un Vento che non sai dove ti porterà. Serve libertà e una certa incoscienza.

Tra voi però non è così; ma chi vuole diventare grande tra voi sarà vostro servitore, e chi vuole essere il primo tra voi sarà schiavo di tutti. 

Non c’è alternativa, cosa vuoi che ti dica? Svuotare il potere dall’interno e pagarne le conseguenze. L’unico modo per non vivere sotto il dominio del potere è svuotarlo da dentro, ucciderlo uscendone.

Uscire dal suo campo d’azione. E no, non basta giocare con le parole, bisogna annientarsi. Il potere buono non esiste. Ogni potere istruisce dominati e dominanti, ogni gerarchia è violenta anche se esercitata con il sorriso o dietro l’illusione della carità, pensare di cambiare i vertici è inutile, lo schema del potere si ripeterà, sopravvivrà a qualsiasi rivoluzione. Unica possibilità è quella di annientarsi. Deporsi. Crocifiggersi. E accettare che il potere tenterà comunque di usare il tuo sacrificio per costruire gerarchie. Siamo sottomessi al Fascino. Per ora.

Anche il Figlio dell’uomo infatti non è venuto per farsi servire, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti».  

Come se la morte, quel tipo di morte sia l’unico modo per creare una crepa, una fessura, un pertugio. In fondo lo schema è sempre lo stesso no? Sconfiggo il potere svuotandolo. Sconfiggo la morte svuotando un sepolcro. La libertà della resurrezione forse non è altro che la coincidenza con la forma più alta di schiavitù.


AUTORE: don Alessandro DehòSITO WEB Leggi altri commenti al Vangelo della domenica