Vogliamo vederti, non muore in noi la pretesa dei Greci, “dove sei?” ci permettiamo di dire quando le cose non vanno secondo i nostri desideri, “dove sei?” quando la fatica di vivere ci sale alla gola e ci toglie il fiato, “dove sei?” quando ci sentiamo troppo soli.
Vogliamo vederti, come per i Greci anche in noi è sempre presente quell’orgogliosa pretesa di chi è convinto di poterti finalmente afferrare, così scostiamo pazientemente le parole per frugare dentro le pagine dei libri, ci nutriamo di liturgie che devono essere secondo i nostri gusti, cerchiamo i predicatori più affini, partiamo per pellegrinaggi sicuri di poterti vedere nei luoghi santi dove, un tempo, ti avevamo sentito così vicino, così presente, così vivo. E funziona, almeno per un po’ funziona, e possiamo solo ringraziare. Poi però viene un giorno in cui si trovano solo pietre. Dolci nostalgie, ma nulla di più. Per fortuna il Vivente non è monumento ai nostri ricordi.
In questi giorni ero ad Assisi, la primissima cosa che è successa appena arrivato è che qualcuno mi ha sfondato il finestrino dell’auto e mi ha rubato tutto: i vestiti, i libri, tutto. Anche la traccia di un possibile nuovo libro. Ogni cosa. All’esterno dell’eremo delle carceri, in una splendida giornata di sole. In un attimo quello che c’era non c’era più, solo frammenti di vetro, come l’esplosione di una stella. Nell’amarezza e nello smarrimento questo è stato per me un nuovo inizio.
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Infatti anche quello che cercavo ad Assisi non c’era più. O meglio, io non dovevo più mettermi nella posizione di chi voleva “vedere Gesù” lì, come facevo un tempo, come la prima volta nel lontano 1992, ora il tempo era cambiato, ora io ero cambiato. Dovevo farmi infrangere, mandare in pezzi il cristallo delle mie illusioni, ancora una volta dovevo imparare a fermarmi, a frantumarmi. Lui non era più nemmeno ad Assisi, perché anche ad Assisi ogni pietra finalmente sussurrava “non mi trattenere”.
Nulla da vedere, dovevo farmi derubare anche delle mie sacre abitudini spirituali. Dovevo smettere di volerlo vedere e ricominciare, ancora, a farmi vedere, io da lui. Lui cercava me, non il contrario. Dovevo ricominciare a mendicarlo.
«È venuta l’ora che il Figlio dell’uomo sia glorificato. In verità, in verità io vi dico: se il chicco di grano, caduto in terra, non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto.
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Mi sono fermato davanti alla tomba di Francesco, messo all’angolo, guardavo le pietre e le grate, e sapevo che nemmeno Francesco era lì. Hanno tentato di imprigionarlo, alla fine, di regolarizzalo, di renderlo attraente, commestibile. Ma lui non era lì. Non si può rubare la libertà ad un santo.
Stavo all’angolo della tomba di Francesco e sentivo che lui rideva felice e libero, altrove, perché era finalmente morto, stimmatizzato, trafitto dall’amore, non era più chicco di frumento, era ormai libero, era solo frutto.
Ieri sera, tornando a casa, a Crocetta, in un silenzio uggioso, tra la nebbia e il freddo, aprendo la porta di casa e abbracciando Dulcinea mi sono detto una cosa soltanto: pace e bene.
Potevo ricominciare a morire in pace.
Per gentile concessione dell’autore don Alessandro Dehò – pagina Facebook