Non basta
“Non hanno vino”, disse la madre, e nessuno osò replicare. Perché non basta l’amore dei due, non bastano le piccole cose, non basta una festa, non basta sposarsi, non basta far finta di nulla, non basta accontentarsi, non basta scusarsi, non basta confidare nella comprensione degli invitati, non basta chi dice che tanto l’essenziale è nel nostro cuore, non basta niente se non c’è il vino divino dell’alleanza. Maria è lucida, feroce, implacabile. Invitata come tutti alle nozze della vita non si fa bastare l’illusione che l’uomo possa costruirsi da solo una felicità tascabile.
Non siamo solo una somma di piccole cose, non basta chiudersi nel guscio dell’intimismo, non basta nemmeno liberarsi dai bisogni, non basta credere di potersi sbarazzare dei desideri, delle fami, dall’istinto d’eterno che spinge dal fondo dell’anima. Se non sappiamo più gridare ciò che manca siamo già morti. “Non hanno vino”, poche parole esplose nel cuore della festa, come una sfida, il vero regalo per i due sposi: finirà l’illusione, è già finita, non vi bastate, non lasciate che la vita scorra dalla festa al dramma, dalla vita alla morte, finirà , è già finita, se il vostro amore non rimane una fame condivisa, se il vostro incontro non si tramuta in una moltiplicazione di supplica al padrone della festa, se il vostro incontro non svela la vera natura dell’innamoramento, la vostra sia fame moltiplicata, fate vostro il bisogno di chi amate, siate come passeri che dal nido spalancano il becco in attesa del cibo che dispieghi le ali dell’eternità .
Maria non predica consolazione, svela il dramma del bisogno, punta il dito sull’ingranaggio malato delle apparenze. Il vino manca sempre. Ed è la nostra fortuna. “Donna che vuoi da me? Non è ancora giunta la mia ora”. L’uomo nuovo risponde alla donna nuova, tratti di una genesi evangelica, la donna ha fame di eterno, l’uomo nuovo conosce il tempo, arriverà e sarà lui a trasfigurarsi in vino nuovo rosso sangue, a grappoli le sue parole saranno vendemmiate, torchiate. Ma non è ancora giunta l’ora della cena ultima, del velo strappato alle apparenze. C’è solo il tempo di un segno, che però rischia il fraintendimento, quanti capiranno che sarà pericoloso chiedere di diventare vino? Che la spremitura sarà dolorosa e definitiva?
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“Qualsiasi cosa vi dica, fatela” ma non solo ora, non solo in questo inizio ma sempre, anche dopo, anche quando vi brucerà la gola per la sua assenza, anche quando vi farà paura dover decidere di essere voi il pane e il vino, anche quando vi accorgerete che moltiplicare pane sarà solo sfumatura di diabolica tentazione, anche quando resterete ancora più soli, anche quando davanti al sepolcro di un amore, alla morte di un figlio, al tramonto di un sogno vi sembrerà d’essere nient’altro che terribile mancanza.
“Riempite d’acqua le anfore”. Servono ancora le anfore, serve l’acqua, serve la vita con i suoi tradimenti, serve la legge, serve tutto, serve soprattutto un cuore scavato dal desiderio, serve non perdere niente, non dimenticare niente, non rinnegare niente. Nessuna fuga in paradisi spiritualistici, nessuna condanna della vita così com’è, nessun delirio di pacificazioni profonde solo un grande riempimento, fino all’orlo, un’immersione. Ma poi la trasfigurazione. L’acqua non basta se non è segno del vino. La vita non basta, nemmeno il matrimonio basta, se non è trasfigurato in promessa d’eterna alleanza. Il segno di Cristo è scomodo, della vita anche lui prenderà tutto, si lascerà riempire dal dolore e dalle miserie, dai fallimenti umani e dalle regole antiche, dalle lacrime e perfino dalla morte ma tutto, tutto sarà trasfigurato in vino. Noi siamo anfore cave e affamate, noi siamo uomini e donne pieni di vita, con tutte le contraddizioni, ma possiamo diventare segno. Segno e non miracolo.
Segno di una speranza, segno di un desiderio, segno di un incontro. Noi possiamo essere segno di una relazione. Nessuna soluzione, le fami del mondo rimarranno e solo uomini profetici sapranno muoversi elencando mancanze, loro non illuderanno, nessuna consolazione, qui e ora la fame sarà nostra compagna di viaggio. Ma sarà quel bisogno a prendere nome di Padre, quando sulla croce il vino dell’uomo nuovo si tramuterà in supplica per il Suo intervento. Siamo nati per imparare la mancanza d’eterno. Siamo nati non per subire il riempimento di una vita che rimarrà comunque sempre mancante, siamo nati per diventare desiderio di Lui, come il Padre desidera noi.
Cana è la salvezza, benedizione è il vino che finisce, svelamento della nostra profonda natura, salvezza da ogni illusione. Ma anche trasparenza della natura divina. Siamo tutti, noi e Lui, desiderio in ricerca, bisogni d’amore. Siamo poveri che elemosinano pienezza. E anche il Padre lo è, in Cristo si mostra bisognoso. Bisognoso di noi. Anche Lui sembra senza vino lontano dalla sua creatura. “Tu invece hai tenuto da parte il vino buono finora”.
Il segno vero è la vita che inverte le apparenze. Da morte a vita. Da fine a inizio. Il segno è trasformare in gravidanza lo scorrere del tempo. Il segno è che i nostri tentativi d’amore non sono altro che transitorie, tenere e impacciate richieste d’Infinito di uomini e donne che hanno il coraggio di ammettere che non basta niente, nemmeno l’amore più grande, se non amplifica la fame d’Eterno.
AUTORE: don Alessandro DehòSITO WEB Leggi altri commenti al Vangelo della domenica