don Alessandro Dehò – Commento al Vangelo del 15 Marzo 2020

Rabdomante di vita

Gesù dunque, affaticato per il viaggio, sedeva presso il pozzo. Era circa mezzogiorno”. Quanta poesia ho fatto Signore su questa tua stanchezza, su questo tuo bisogno di acqua, su questo tuo “voler aver bisogno di noi”, ricordi quante volte ho declinato questo pensiero? Solo che adesso è difficile, adesso che abbiamo bisogno che qualcosa cambi davvero…adesso che non è possibile continuare con questa tortura di assenze, adesso che ci è stato tolto perfino lo spazio dell’accompagnamento e del lutto, adesso è ancora più difficile accettare di vederti lì seduto, e stanco, come noi, nella sosta di un questo viaggio che tutti avevamo sognato diverso. Adesso è proprio dura accettare che tu sei il volto del Dio inutile.

Ma mi siedo con te, posso? Non dico niente, non ho parole, manca la lucidità di mettere in fila due pensieri. Mi metto qui solo perché sono abituato a te, e perché tra gente povera ci si capisce no? Mi siedo qui con te, nel cuore di questo mondo che in poco tempo ha dovuto imparare a nascondersi, non eravamo più abituati, ci è voluto un po’, adesso però non c’è quasi più nessuno in giro, l’orologio si è fermato per sempre su questo torrido mezzogiorno che toglie il respiro, come ora, qui al pozzo, tempo in cui nessuno esce di casa, per sempre mezzogiorno, un incubo. Ognuno è solo con le sue seti sempre più brucianti, senza un secchio per cavar un po’ d’acqua, davanti a un pozzo profondo che ha sempre promesso vita e che ora invece rimbomba solo sirene di morte. Ognuno è solo, come me e te adesso, e la solitudine fa più paura perfino della morte.

Il mondo si è ritirato. È una brutta sensazione. Abbiamo scoperto la verità, siamo sospesi su un mucchio di false sicurezze che semplicemente si sciolgono, sottrazione, una “contro-Genesi”, il silenzio inghiotte la Creazione. Un Dio che sembra rimangiarsi la Parola. Ed è cosa tragica.

Mi chiedi della Chiesa? L’ho vista in difficoltà anche stavolta sai? Ma è un mio punto di vista. Sappiamo solo litigare, da una parte chi crede che a furia di preghiere il Padre si svegli e faccia smettere questo flagello. Che per me questa è una bestemmia bella e buona. Dall’altra parte una fede moderna che, detto tra noi, non mi sembra in grado di reggere l’urto del mistero. Tante parole troppo insignificanti. Tanta aggregazione. Tanto illudersi che il Vangelo si chinasse fino a passare dentro a mille banalità. Io non ci ho mai creduto. Lo dico sottovoce ma mi sembra che la pastorale degli ultimi tempi si sia concentrata su altro, che abbia tradito il campo di gioco, invece noi siamo al mondo per fare i conti con la morte. E con l’amore. Che però senza morte è orfana ed inutile. Tenerle insieme amore e morte, questo il nostro compito. Il resto non conta nulla.

“Giunge una donna samaritana ad attingere acqua. Le dice Gesù “dammi da bere”. Non ti avrebbe chiesto niente lei, sarebbe arrivata, avrebbe preso ciò che le serviva e se ne sarebbe andata. Eppure tu la fermi. La obblighi a sentirsi importante. Utile. Cercata. Non risolvi mai nulla tu, non sei per niente un Dio che risolve i problemi, neanche a pregarti, invece preferisci resuscitare nelle persone quel poco che hanno, rendi importanti le persone attraverso pochi pani, pochi pesci, un po’ di profumo, un’anfora…

Non riesco a non pensare a questo dramma collettivo, a questo smarrimento infinito, alla balbuzie pastorale delle nostre parrocchie. Bloccate non tanto da un decreto ma dallo smarrimento che viene dall’essere divise dentro. Ci siamo scandalizzati per la facilità con cui la gente ha fatto a meno di noi. In verità questo avviene già da tempo. E forse è giusto. Ci siamo intestarditi sulle liturgie da celebrare e non ci siamo scandalizzati per la nostra incapacità di resuscitare umanità buona nella gente. Sì, avremmo dovuto imparare da te e non ci siamo ancora riusciti, avremmo dovuto sederci al pozzo insieme a tutti a dire semplicemente “abbiamo sete” e “non abbiamo risposte”. Avremmo dovuto rimanere lì, stanchi e seduti e in silenzio, a ringraziare medici e infermieri, a fare i complimenti a chi si curava della vita, a chi non smetteva di cercare soluzioni, a chi teneva la mano ai morenti. A vedere presente il Vangelo dentro quei gesti di umanità che sono la vera e unica liturgia possibile. Il Vangelo resuscitato nei gesti di chi cerca, spesso invano, di mantenere umano l’atto del morire.

Invece di stare zitti proprio non riusciamo e riempiamo spazi con catene di preghiere, benedizioni dal testo discutibile, novene e…ti risparmio le forme di pastorale più bizzarre e di poco gusto.

Io ti guardo assetato e inutile e bello, qui sul bordo del pozzo, e mi vergogno della mia incapacità di accettare con pacificazione questo momento di sete e di inutilità profonda. Questo momento in cui non riesco ad accettare la mia fragilità, la mia rabbia, il mio senso di vuoto. Chiedilo anche a me Signore, chiedi qualcosa anche a me, chiedimi di darti da bere! Perché io non credo di avere nemmeno un goccio d’acqua. Ma tu la vedi. Rabdomante di vita.

“L’acqua che io gli darò diventerà in lui una sorgente di acqua viva”. Stai parlando con la samaritana, è una storia d’amore, le tue sono tutte storie d’amore. E come in ogni storia d’amore i baci non hanno capo né coda, non si comprende più chi dona e chi riceve, chi bacia e chi è baciato, e l’acqua diventa solo l’elemento per sostenere a galla due corpi che credevano di affondare. Amare e essere amati diventano inscindibili, si scende tutti nello stesso pozzo, abbracciati alla stessa corda, vertiginosamente immersi in un baratro profondo di estasi. E così scopriamo che c’è una sorgente di vita in noi. Ma che solo l’amore può svelarlo. Noi siamo il pozzo.

E io non so a cosa serva adesso amare e che acqua sia questa di cui anche io sarei sorgente, non lo so davvero. Non so davvero se riesco a chiedere il dono di diventare sorgente perché mi sento ancora e sempre più assetato. Ho sete di aria, di strade, di cielo, di sguardi, di affetti, di sorrisi, di tempo. Ho sete di rivedere chi mi manca, ho sete di strappare dal cellulare tutte le voci e i messaggi per seminarli nei loro corpi. Che lì è il loro posto, lì danno frutto. Ho sete di considerare ogni uomo una sorgente. Mi sorridi, forse finalmente ho capito, è questo l’unico miracolo. La sete di considerare ogni uomo una sorgente di divinità.

Mi sciolgo in un pianto senza fine. Sgorga acqua dalle ferite. Tra i singhiozzi le mie parole spezzate “…non finisce tutto qui vero? Non siamo comparse di un qualche perverso spettacolo? Parlami di eternità, dimmi che l’amore è più forte…”. Tu sorridi e bevi.

Fonte – il sito di don Alessandro

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