L’acqua si incendiò
Perché tu abbia deciso di venire verso di me rimane ancora un dolcissimo mistero. Parlavo di te, ricamavo teorie e stendevo al sole affascinanti proposte pastorali, studiavo teologiche disquisizioni, mi tuffavo tra le pagine della storia biblica, assediavo ogni tuo possibile movimento, cercavo tracce di verità nelle tradizioni vicine, mi schieravo accanto ai pensatori che mi sembravano più promettenti, abitavo la chiesa come fosse l’avamposto da cui ti avrei sicuramente avvistato, tessevo ragnatele di parole per poterti imprigionare. E ancora non capivo.
Che bisogna vivere la vita come in un deserto. Accanto a un fiume magari, e battezzare ogni cosa, immergerla, che poi significa ucciderla per il gusto di vederla risorgere, di veder che cosa risorge, che cosa rimane. Bisogna provare la resistenza delle cose della vita, immergere le illusioni, lasciare che la corrente porti al mare il superfluo. Bisogna immergersi e stare, a muso duro contro la corrente e fare l’unica cosa che conta, resistere. In attesa di qualcosa che sappia finalmente di eterno.
Non sapevo che fosse deserto. Vivevo oppresso dalle cose e dai volti e dalle illusioni, non sapevo che il mio deserto fosse il caos. Nulla reggeva la prova dell’acqua, battezzavo la vita e quasi niente restava tra le mani, se non la strana nostalgia di un incontro. Immergevo ogni cosa, e ogni cosa risorgeva per quello che era: mancante. Ho passato anni a bagnare ogni cosa passasse attraverso il mio cuore e quello che emergeva era solo mancanza, vuoto, attesa. Dove ti stavi nascondendo? Dove sbagliavo? Cosa della mia ricerca non andava? Mi stavo illudendo? L’uomo è solo questo grumo di mancanze che i più illusi chiamano Dio?
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Quel giorno mi hai sorpreso alle spalle. Avevo smesso di cercare. Avevo abbassato la guardia e così tu ti sei infilato, lucido e diretto, come una serpe che sbuca dalla tana, e mi hai morso la giugulare, io ho sentito un dolore finalmente vivo, il veleno del tuo amore era in circolo, avevo smesso di cercarti e tu ne avevi approfittato, per mostrarti diverso da come ti avevo sognato. Eppure irresistibile, come la bellezza elegante di una tigre, come una belva assettata di me.
Così mi sei venuto incontro, e io non ero pronto a rifiutarti, non ero pronto a scappare, ad oppormi, così mi hai aggredito e io ho avuto paura, la fede, l’amore, non procedono per accumulo di informazioni ma per cedimenti, naufragai nei tuoi occhi, l’acqua si incendiò di colpo, il Giordano mi parve improvvisamente il rigagnolo delle mie illusioni.
Agnello di Dio che togli i peccati affila la lama, azzannami e costringimi al suolo, sai bene che solo di sorpresa potevi prendermi, mi hai rubato il tempo della giustificazione, l’amore sorprende, solo così diventa possibile, svergognato, violento irresistibile. Sono questo, sono io, sono così, con i tuoi artigli nella carne sento che non posso fuggire da me stesso, mi hai crocifisso al male che ho commesso, mi stai salvando amandomi, occhi di tigre e di madre insieme, forte come la morte è l’amore, forte solo se provato dalla morte è l’amore. Aggredendomi alle spalle, venendo incontro a ciò che ero davvero, mi stavi amando nella mia miseria
Alzo lo sguardo su di te e non ho dubbi, solo questo assalto poteva salvarmi, sei Tu, so che sei Tu, ma non potevo immaginarti così. Il deserto e il fiume, gli anni passati tra le mura delle chiese, ripeterei ogni istante, ogni singolo istante, ringrazio, ogni incontro, ogni tentativo battezzato con il tuo nome, ringrazio ogni pagina letta con ardore, ogni ridicolo confronto credendo di poter aver ragione su di te. Le delusioni, anche quelle ringrazio, e le battaglie tra visioni diverse di futuro. I catechismi e le riunioni, di ogni cosa ringrazio, solo ora posso dire che “non lo conoscevo”, vorrei tornare a chiedere scusa a chi si è fidato di me, io non lo conoscevo, io non sapevo, io solo credevo di poter dire qualcosa di lui. Invece Lui è l’assalto, artigli a coglierti di sorpresa, lui ti viene incontro per sorprenderti indifeso, per poterti sorprendere così come sei, per spingerti a terra e ruggire il suo amore per te. Vorrei tornare per imparare da chi credevo di dover convincere, per imparare come esistano assalti diversi, come Lui venga incontro in modi inimmaginabili. Vorrei tornare a dire, a chi ho cercato di convincere, che io non so nulla di lui se non che quando ti morde il cuore rischi di essere per sempre in balia della sua ossessione per noi.
Come colomba, un volo, come quando la traversata del diluvio termina. Come qualcosa che discende ma che, soprattutto, rimane. Io non so niente di lui, so solo che si è immerso nella mia stessa acqua ed è rimasto. Io non so niente di lui, ancora mi sorprende, so solo che costretto a terra dal suo amore, spinto contro i miei limiti e le mie miserie, trafitto d’amore proprio nel punto in cui credevo di morire, l’agnello prese il volo, io divenni leggero e rimase in me nient’altro che la sicurezza di essere amato, quella rimaneva, rimane, amato per quel che son stato, per il ridicolo tentativo di essere ministro del sacro, profeta o asceta, per la sicurezza della mia predicazione, per la durezza delle mie parole, amato quando giuravo di conoscere la strada per la salvezza, amato in ogni fratello battezzato. Amato quando sono stato costretto a fare i conti con ciò che davvero sono. E sarò amato, di lui mi fido, anche quando la morte verrà a bere l’ultimo respiro.
Sarà sorprendente l’assalto dell’Eterno,
io che ho sempre cercato finalmente morirò,
e lo vedrò,
venirmi incontro, venirmi dentro,
predato da un violento amore
mai dimenticato
sorpreso lo riconoscerò.
Saprò il mio nome
finalmente
artigliato nei suoi occhi.
Non ti conoscevo, dirò piangendo,
non ti conoscevo, riderò confuso
ma mi hai assalito il cuore,
e io so che sei sempre stato Tu,
in ogni cosa Tu,
mia dolcissima ossessione. Â Â Â Â Â Â
AUTORE: don Alessandro Dehò – pagina Facebook
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