Cadaveri di stelle (e non fa nulla se non capisci, una specie di confessione)
Serviva lo spegnersi del sole, a me serviva che il sole implodesse. Lo so amico mio che è difficile da accettare ma ti giuro che è andata proprio così. Servivano il freddo e il ghiaccio sul cuore, serviva che non capissi più la differenza tra giorno e notte. Ho avuto bisogno di veder collassare tutte le stelle, una a una, il firmamento dei miei riferimenti religiosi, politici, culturali, i miei miti erano lì, ai miei piedi, camminavo sopra quella frantumazione di cristalli e mi stupivo: neppure un taglio ai miei piedi, camminavo impunito.
Certo che non è facile guardare il cielo che sembra l’interno dello stomaco di un predatore, certo che ti viene la nostalgia di quando ti stupivi per ogni incontro e di quando ogni cosa aveva il suo posto nell’ordine del visibile e dell’invisibile, assurda nostalgia di una religiosa ordinazione.
Certo che invidi la sicurezza apparente degli allergici a ogni tipo di dubbio ma non puoi fare nulla, succede, a me è successo, di camminare smarrito sulla frantumazione di ideali che sembravano eterni.
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Per prima cosa ho provato a ricomporre le stelle, a rianimare la luna, ad implorare al sole di tornare. Volevo solo rimettere le cose a posto. Come se non fosse successo nulla. Inutile dire non avevo la grazia di riaccendere quelle stelle. Così entrai in una fase di ribellione, perdonami se procedo per immagini, per metafore, è che così poi tu avrai le tue, perdonami se continuo a parlare di stelle ma forse è l’unico modo che ci è concesso per non svilire tutto. Comunque io, dopo tutti quei crolli, sai perché mi sono ribellato? Perché mi ero accorto che quell’apocalisse mi aveva lasciato vivo. Non ero degno io di esplodere con il sole o di eclissarmi dietro la faccia nera della luna o di essere sommerso da detriti di stelle? Perché mi lasciava vivo se non avevo più il mio firmamento? Per chi avrei dovuto continuare a respirare?
Ti è mai capitato di arrivare a un grado di smarrimento tale da chiederti il motivo per cui la morte non ti degni della sua falce? Cosa avevo fatto di male per non meritare la morte? Condannato a vivere, ma senza la vita che avevo imparato ad amare.
Solo che a quel punto, poco alla volta, prima come una specie di sensazione, quasi come un fastidio, poi nel dubbio che stessi tradendo qualche sacra memoria, fu come l’incrinatura del guscio, e io non volevo ma non potevo non cedere. E così vidi il volto di Dio. Lo sentii venirmi incontro, mentre io sprofondavo tra cadaveri di stelle.
Ti prego di non chiedermi oltre, non posso specificare, se ancora non capisci non preoccuparti, godi delle tue luci, difendile, amale. Dimentica queste parole. Se invece stai intuendo qualcosa allora comprenderai cosa significhi sentirsi in colpa per essere sopravvissuti a un dolore, allora capirai cosa significa che tutto ciò che consideravo luce (e tu sai la fatica e l’orgoglio per aver raggiunto certi traguardi) si stava tramutando in un ostacolo. Capisci? Se il sole e la luna e le stelle non fossero morti io non avrei mai visto il volto di Dio.
Il vertice della disgrazia per sprofondare nella grazia.
Adesso sono stanco di grandi discorsi, fanno parte di una vita che non è più mia. Ora mi inabisso nelle piccole cose, mi basta la corteccia scalfita di un ramo di fico e mi pare di vederci Dio.
Mi pare di camminare il mondo come se fossi uno sciocco, il matto del villaggio, ogni cosa, ti giuro ogni cosa, mi sembra una porta aperta al Mistero, piango per un niente. Quello che per abitudine continuiamo a chiamare Dio mi sembra dimori perfino nel punto più intimo della tasca dei miei pantaloni, intanto la gente con poca pietà si indigna per il mio disertare le chiese. A loro dico che l’estate è vicina. Che Lui è alle porte. Ma ora lo balbetto, come fosse una confidenza.
È che se sei abbagliato da troppa luce non vedi, non ti accorgi, che ciò che possiamo vedere è solo la parte visibile di una soglia, che la verità non si possiede ma si attraversa, è roba per folli, o per bambini o per sopravvissuti.
Se non hai ancora capito non importa. Forse sei troppo poco bambino o troppo sano di mente. O credi ancora troppo nelle luci. Lo so sono affascinanti, ci hanno insegnato a custodirle, difenderle. Lascia fare e aspetta, intanto, se puoi, dimenticati di queste parole.
AUTORE: don Alessandro DehòSITO WEB Leggi altri commenti al Vangelo della domenica