Terza domenica di Pasqua anno B
(I due di Emmaus) narrarono le cose che erano accadute nella via (…)
Gesù in persona stette in mezzo a loro”.
È nel cammino che le parole fioriscono in ali, ad ogni passo di ritorno la pesantezza diventa volo, e gli occhi, gli occhi!, germogliano in stelle, mentre le labbra lucidano parole come fossero nuove. Discepoli trasfigurati in angeli trafiggono la grotta del timore, il racconto profuma l’aria, è il nardo della rinnovata annunciazione. Lui accede. Ancora accade. Il Verbo non ha mai smesso di farsi carne suscitato dalla parola. Come all’Inizio. Come ad ogni inizio. Benedetti voi, benedetto il frutto che nascerà dal ventre delle vostre vite rinnovate, dal bacio dello Spirito. L’annunciazione si compie ancora a trafiggere ed annullare la distanza, diabolica, tra parola e carne, tra uomo e Dio.
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“Sconvolti e pieni di paura credevano di vedere uno spirito”
Molto diverso fu il timore di Maria, ma sempre, l’incontro con il Mistero, espone al tremore. Come se il roveto fosse di colpo troppo vicino, il fuoco a marchiare la pelle di chi scopre di essere stato scelto. Anche i due di Emmaus tremano, tremano del loro stesso annuncio, tremano perché la voce in loro è più grande di loro, succede sempre così, le nostre parole non possono incatenare il mistero, la nostra voce è fragile, solo un piccolo vaso, il profumo spinge dall’interno, i predicatori credibili rimangono a terra stupiti ed esanimi dopo aver parlato, sconfitti e sorpresi, come cocci rotti e inutili, mentre la Parola danza, nonostante loro.
Avevano riconosciuto Gesù nello spezzare il pane
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In un gesto ecco riaccadere i pani spezzati in tre anni di amicizia, ecco il ricordo delle folle sfamate e le briciole non negate a chi si sente meno di un cane, ecco la cena ultima, sembra passata un’eternità, eppure era lì, presenza mai percepita così reale. Il corpo di Cristo nel pane consacrato, la manna nuova per attraversare i deserti. Nessuna contrapposizione mai, ogni cosa adesso è segno e simbolo e concreta presenza. Forse lo era sempre stato, ma la resurrezione del Cristo crocifisso adesso rompe il velo del dubbio. Ogni cosa canta la Sua presenza.
“Perché siete turbati e sorgono dubbi nei vostri cuori? Guardate le mie mani e i miei piedi, sono proprio io!”
Il dubbio è che il desiderio abbia preso il sopravvento annullando il passato, rimuovendo il dolore. Il dubbio è che il cuore, che troppo aveva amato, ora, per non morire d’assenza, inventi un finale alternativo. Il dubbio è cadere ancora nella trappola, e dopo essersi affidati ad un falegname che diceva d’essere il messia arrivare ad di immolarsi persino al suo ricordo. Ma le mani sono trafitte e anche i piedi, nessuna contrapposizione tra il Cristo storico e la sua presenza risorta, nessuna opposizione tra la passione e la resurrezione. L’amore non nega il passato, la fede è un movimento a scendere negli inferi di ciò che è stato mostrando che la verità di ogni corpo è la resurrezione già in atto. Nulla è più da dividere, visibile e invisibile non si oppongono più, il corpo è visibile per mostrare l’Invisibile. Il corpo non si oppone allo spirito, siamo fatti per amare, siamo nati per manifestarlo. Credere è convertirsi a un visibile già gravido di Dio.
“Avete qui qualcosa da mangiare?”
Mentre per la gioia i discepoli non riuscivano a credere, mentre lo stupore bloccava la spinta all’abbandono, ecco che il Risorto chiede da mangiare. Non si dilunga in spiegazioni, nessuna catechesi, nessuna preghiera, dall’alto nessuna voce e sigillare la visione: una porzione di pesce arrostito. Nel corpo accade l’incontro, in queste nostre vite che hanno bisogno di essere nutrite per sopravvivere, nel ricordo dei pranzi condivisi, nel sapore delle cose buone, nel creato, in tutto ciò che vediamo, che abitiamo, nelle fragilità di cui dovremmo prenderci cura. Nel creato che noi siamo. Nessuna opposizione tra l’illusione di un paradiso posto in qualche spiritualistico altrove e la concretezza delle nostre storie. Sono proprio io, e sono qui, dice il Risorto. E possiamo così iniziare a fare esperienza di resurrezione dentro le cose di ogni giorno, ascoltandole, lasciandole parlare, perché Lui ci viene costantemente incontro da ogni cosa, Lui che risorge perfino dal peccato, dal male, dalla morte. Perfino nel dolore possiamo incontrarlo. Sarà lì, è sempre stato lì, è nato per svelarlo. Nessuna opposizione netta nemmeno tra vita e morte, basta provare a vivere da risorti, adesso.
Era stato più facile aprire le porte del sepolcro che le menti dei discepoli, il pensiero ostinato moltiplica ostacoli. Aprire le menti per svelare il senso profondo delle Scritture. Nessuna contrapposizione con Mosè, dice Gesù, con la legge e i profeti, un compimento, invece. L’avevano già detto che i nostri corpi hanno bisogno di un Esodo per far accadere in noi la libertà di Dio. Che la Legge è ciò di cui l’uomo ha bisogno per fare spazio alla fantasia di un Dio affamato di incarnazione. E che ogni profezia non fa altro che mettere in guardia chi cede alla tentazione di credere ancora che il divino sia in contrapposizione con la libertà umana.
Nessuna contrapposizione più. Essere testimoni invece, camminare le strade del mondo riconoscendo che il Risorto è presente, che abita ogni lacrima, che vive in ogni abbraccio. Essere testimoni non per portarlo, non per convertire, ma per riconoscerlo. Evangelizzare con lo stupore di chi si commuove perché lui è, vivo, presente, ora. Ed è bellissimo. Cantare la sua presenza fedele. Amarlo questo mondo che altro non è che la poesia che vela, rivela, svela il Risorto.
Per gentile concessione dell’autore don Alessandro Dehò – pagina Facebook