Mi hai cercato Tu
Gesù chiamò a sé i Dodici
C’è un cuore in mezzo al caos, un punto incandescente a cui tornare, un appiglio sulla parete esposta dei giorni, una seduzione che vibra nella profondità delle cose. C’è un posto a cui tornare, una chiamata contro la dispersione, un richiamo verso se stessi che fa risalire la corrente e permette di resistere e a volte di attraversarle le tempeste.
Una chiamata a sé, spazio indispensabile per non smarrirsi, coincidenza tra un Verbo Altro e famigliari profumi, uno spazio intimo e feroce, rassicurante e insieme esposto. Un punto pericoloso in cui perdersi per salvarsi. Se non ci fosse questa chiamata divina su di noi nulla avrebbe senso. È lì il punto in cui senza recriminazione si può soffiare in un vento di fiato: “mi hai cercato Tu”. Lontani dalla retorica della chiamata vocazionale, coincidente con l’erotismo dell’amore. Solo quando si è preso contatto con quel punto si smette di essere in balia degli eventi.
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E prese a mandarli a due a due e dava loro potere sugli spiriti impuri
Prese a mandarli, perché la verità intima del Vangelo è questo lancio verso la vita, semente scagliata verso zolle gravide di attesa. Un mandato e non un ruolo, come invece siamo soliti pensare. La verifica personale alla nostra storia, la fedeltà alle nostre radici e ai nostri sogni, non sarà mai misurabile sulla fedeltà a una funzione vissuta con ortodossia, non ci sarà chiesto se abbiamo vissuto senza sbavature l’interpretazione del ruolo che la vita ci ha affidato (fosse anche il ruolo più sacro) quello che dobbiamo avere il coraggio di verificare è se lo slancio di vita buona ci abita ancora oppure no, se l’amore per la vita danza in noi oppure no, se quel mandato a vivere in pienezza si è accresciuto in noi oppure se è stato addomesticato dagli eventi. A volte bisogna avere il coraggio di cambiare ruolo per essere fedeli al mandato.
E poi a due a due ma senza la retorica falsa delle fraternità imposte, dei gruppi sempre sorridenti, di una pericolosa e falsa dolcezza dell’incontro, andare a due a due scarnifica le nostre illusioni! Senza idealizzare la forma esterna (sappiamo, si può vivere in comunità ed essere sordi a chiunque!) ma intuendo la verità graffiante della proposta.
Scegliere di andare a due a due è cedere e scegliere di avere puntati addosso due occhi capaci di scavarci dentro, affilati come lama e dolci come una carezza, occhi spietatamente innamorati, occhi davanti a cui non riusciamo a mentire a noi stessi. Occhi che verifichino cosa è rimasto di noi, cosa è rimasto vivo in noi, sotto le macerie delle attese altrui, delle pretese del sistema, delle seduzioni del potere. Occhi capaci di spogliare, occhi che ci rimandino alla nudità del nostro essere. Occhi che sappiano vedere se il nostro cuore respira ancora. Occhi che mettono in discussione il mandato e non una qualche obbedienza al ruolo, nemmeno quello scelto.
E poi un bastone, per appoggiarsi a una chiamata più grande di noi, un bastone a ricordarci che siamo poveri pellegrini e che solo Lui può trovare strade nel mare, solo lui vede. Un bastone da riconsegnare a chi dopo di noi continuerà il cammino di liberazione, il parto a vita nuova. Un bastone da afferrare come uno scettro e da consegnare quando si avrà intuito che la vita deve andare avanti senza di noi.
E niente pane, e niente sacca, e niente denaro, perché o camminiamo nel mondo mostrando che la verità dell’uomo è quella di essere bisognoso di cura, bisognoso d’amore, bisognoso di vita oppure siamo inutili. E arriverà il momento, forse sta già arrivando, benedette crisi, in cui come Chiesa smetteremo di offrire servizi e inizieremo a mostrarci per quel che siamo: bisognosi d’affetto. Sarà un momento di vera conversione, torneremo credibili.
Smettere di compiacersi nel servizio ai poveri ma diventare poveri, non offrire risposte ma condividere domande, non imporre etiche ma allearsi con le minoranze. Fino a renderci inutili e ridicoli agli occhi del mondo, come il Nazareno travestito da re prima della crocifissione.
E sandali ai piedi. Dicono fossero i calzari degli sposi. Mi piace come immagine. A cosa serve il cammino se non sei innamorato, a cosa serve il Vangelo se non è ricerca di un amore che mette in salvo la vita? Ridurre il gesto eroico ed erotico del Vangelo a una morale è un tradimento blasfemo. Invece il mandato è che siamo cuori innamorati, è che se andiamo per il mondo e se siamo credibili è perché non abbiamo vergogna di dire che l’unica cosa di cui abbiamo bisogno è di un po’ di amore sincero, il resto conta nulla.
E poi rimanere in una casa fino a quando non si parte da lì. E sembra una banalità, ma non lo facciamo quasi mai. Perché si può rimanere in una casa con il copro ma essere lontani con il cuore. Rimanere significa scegliere, significa che quando ascoltiamo siamo presenti a noi stessi, significa che scelgo il posto che abito, la gente che incrocio, significa che non uso degli altri. Significa che ci sono e li lascio entrare e sono per loro. Non è per nulla facile. Se immagino gli occhi di Cristo io immagino occhi presenti al presente.
E infine sapere che si può non essere accolti. E non farne un dramma, fare anche del rifiuto una possibilità di testimonianza. E ridere di se stessi, prendersi poco sul serio, anche queste mie parole che mentre le sto rileggendo sembrano così troppo sicure da essere ridicole. Scusatemi.
Essere leggeri, che non vuol dire banali, ma saggi di quella saggezza che dona il peso giusto alle cose e anche a se stessi. Che ne sappiamo noi se non era tempo di conversione? Che ne sappiamo se in quella casa non si era pronti, che ne sappiamo noi degli altri?
E poi ogni tanto mettersi dall’altra parte. Noi non siamo solo i Dodici, noi siamo le persone che non erano pronte e che non lo sono tuttora, noi siamo quelli che non si sono nemmeno accorti di essere raggiunti dal Vangelo. Noi siamo la porta a cui la pazienza di Dio continua a bussare, grazie agli apostoli che non si sono stancati di togliersi la polvere dai sandali, grazie a chi continua ad attenderci.
AUTORE: don Alessandro DehòSITO WEB Leggi altri commenti al Vangelo della domenica