don Alessandro Dehò – Commento al Vangelo del 11 Dicembre 2022

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Credere è ben Altro

Il Battista dubita. È in carcere e dubita. Lui che ha passato la vita a raccontare del Messia, Lui che tra le canne sbattute dal vento del deserto è rimasto in pedi, fiero e sicuro davanti a ogni tipo di potere, lui che aveva lasciato vesti morbide ai cortigiani e aveva assunto i panni del profeta, lui che non predicava ma gridava, lui che vedeva scuri poste alla base degli alberi e godeva del taglio imminente, proprio lui, in prigione: dubita.

E nel dubbio fa la cosa più tenera e inutile da fare: prega i suoi discepoli di portare la sua domanda a Gesù: “sei tu quello che deve venire?”. E cosa avrebbe dovuto rispondere Gesù se non un semplice “sì”? Il Battista, colui che ha immerso folle a fare i conti con il proprio peccato, ora si affida a un lieve e inutile fiato di parole, come se bastasse. Davvero fa tenerezza. Come se la fede fosse una domanda a cui basta rispondere affermativamente.

A volte mi pare che arriviamo anche noi così, nelle cose della fede dico, ci fermiamo e proviamo a chiederci se crediamo o non crediamo, cerchiamo tra le definizioni del catechismo e proviamo ad avere il coraggio per un . Come recitare la preghiera del Credo, e mentalmente provare a dire di sì a ogni strofa… credo in un Dio unico e onnipotente? Credo in Gesù Cristo? Credo che lui sia il Messia? Credo nella Chiesa? E nello Spirito Santo?…Credo?

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Il Battista nella solitudine del carcere, a un passo dalla fine, sembra cedere alla tentazione di aver bisogno di una definizione chiara e netta, da Gesù in persona, se Lui è il Cristo che lo dica chiaro e io crederò in lui. Illusione, o paura davanti alla morte, tentativo di un movimento pulito a livello intellettuale, grande rischio di credere che il luogo della fede sia solo il pensiero.

Poteva dire di sì Gesù, rispondere affermativamente e magari ringraziarlo del lavoro da precursore, poteva dire di sì Gesù e cercare di convincere i discepoli del Battista a rimanere con lui. Poteva, ma non sarebbe servito a nulla, quello lo facciamo noi con le nostre infinite lezioni di catechismo, quello lo facciamo noi, come quando tentiamo di convincere, come quando ci illudiamo che credere sia spiegare, capire, affilare i ragionamenti o accettare delle regole. Invece questo è solo l’inizio, invece credere è ben altro.

Gesù infatti non risponde con un semplice “sì”. Il Battista non avrà conferme desiderate e nemmeno noi ne avremo fino a quando ci limiteremo a fermarci nella solitudine delle nostre riflessioni illudendoci di poter verificare da soli lo stato della nostra fede.

Andate e riferite ciò che udite e vedete”, la risposta di Gesù coinvolge, da subito, come se scucisse la domanda per confezionare abiti nuovi, su misura, per chi sta ponendo l’interrogativo. La risposta è una vita coinvolta e rivestita a nuovo.

La cosa importante non è quello che io dico di me, questo sembra dire Gesù, la cosa che serve davvero è cosa siete disposti a diventare voi usando l’ascolto e la vista. Nessun concetto astratto, nessun dogma, nessuna sicurezza. Avete udito il battito silenzioso e sacro della vita? Questo serve. Avete immerso gli occhi oltre la soglia del visibile, siete scesi fin nella profondità del mistero umano? Credere non è questione di definizioni ma di una vita che si lascia trascinare nella storia di Cristo presente e vivo dentro ogni battito del tempo che viviamo.

Non potremo mai dire con certezza se crediamo nella Resurrezione ma con sicurezza possiamo guardare alla vita passata e valutare se abbiamo vissuto da Risorti oppure no, quello conta. Abbiamo risorto la vita ascoltandola e amandola? Alla fine o saremo stati noi la risposta viva all’appello di fede o non avremo in mano nulla se non la paura di non riuscire a credere a ciò che il cervello spiega saccentemente con eccessiva lucidità.

È la domanda ad essere sbagliata, il Battista sbaglia, non deve chiedere a Gesù se sia proprio lui colui che deve venire ma, alla fine della vita, dovrebbe chiedersi se lui, Giovanni, è stato quello che doveva essere, se lui Giovanni è stato spazio per la manifestazione del Creatore, se lui Giovanni è stato così umile da lasciar fiorire la vita nella sua carne. Gesù lo dice bene parlando proprio di Giovanni a chi lo interrogava, è stato un grandissimo, il più grande ma voi non dovete diventare lui, voi dovete diventare voi stessi, voi dovete lasciar venire alla luce Dio dentro la vostra storia. Non dovete credere al Natale ma diventarlo, poco importa se crediamo nella mangiatoia e negli angeli e nei pastori oppure no, quello che conta è se noi siamo mangiatoia e angeli e pastori. Se noi siamo la risposta.

Che senso ha fermarsi a chiedersi se crediamo o meno, cosa significa porsi una domanda come questa, a chi interessa? Quello che possiamo fare è cedere all’Amore e ascoltare e guardare il mondo come lo guardava Lui. E lasciar divenire il Padre in noi per fiorire a unica libertà.

I ciechi riacquistano la vista, questo è credere, ricordarsi di quando gli occhi erano chiusi e non si vedeva possibilità di futuro. Ricordarsi di quando la morte aveva cucito le nostre palpebre, in quel momento ci siamo fidati di Colui che ci riconsegnava a uno sguardo nuovo, abbiamo avuto il coraggio di non lasciarci affogare dalla tranquilla disperazione del lutto?

Non la domanda sulla fede ma la vita, quella di quando eravamo zoppi e non ci siamo fermati perché il cuore è stato trascinato verso la meta, perché non ci bastava quello che eravamo, non una domanda generica sulla fede ma il ricordo del Suo volto incarnato nei profili di chi ci ha risollevato, e poi il ricordo delle lebbre che abbiamo riconosciuto e a cui non ci siamo arresi, ricordo di quei gironi in cui si è riusciti a credere che Lui potesse divenire nuovamente in noi facendo nuove tutte le cose, perfino noi. Non chiederci se Gesù è quello che deve venire ma se noi sappiamo vincere le nostre sordità e se sappiamo farci risorgere, perché siamo morti tante volte e tante volte siamo già stati risuscitati. A questo possiamo credere. E sperare di non essere stati scandalo troppo grande, impedimento per il Risorto continuamente desideroso di nascere e rinascere. Di risorgere e risorgerci.

AUTORE: don Alessandro Dehòpagina Facebook

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