ArriverĂ quel giorno
“Figlio oggi va’ a lavorare nella vigna”
Arriverà quel giorno Signore? Quello in cui io riuscirò a sedermi sulle tue ginocchia, quello in cui il silenzio sarà la mia Betlemme. E insieme guarderemo la parte di me che non comprendeva, che si ribellava, a cosa, ora, non so più. “Non ne ho voglia” dicevo, e tu: silenzio.
Forse sarebbe bastato poco, una tua parola in piĂą, un tentativo di convincermi, il profumo buono del vino condiviso, una carezza, ma tu nulla, lasciavi sospeso il tuo invito, e il me stesso, sotto, a inscenare ipotetiche rivoluzioni interiori.
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Arriverà quel girono Signore? Io metterò il mio capo sul tuo seno e sarà come sorridere del mio agitarmi, del mio non comprendere di essere meno di un soffio nel Creato. “Non ne ho voglia”, gridavo, non ho voglia di Te, del mondo, e della vita, non ne ho più voglia della tua vigna, della tua faccia, dei tuoi ordini, non ne ho più voglia, e forse non ho più voglia nemmeno di me. Ma come hai fatto Signore a sopportare il mio infantilismo?
Arriverà quel giorno Signore? Io starò ai tuoi piedi, senza disturbare, mi basterà stare, guarderemo da lontano quei patetici giorni, quelli in cui io ti dissi di sì, una solenne promessa, forse per convincere me stesso, ma per non andarci, in verità , nella tua vigna. Tu hai visto, tu sapevi, chissà se hai sofferto, eppure non hai detto niente, perché non mi hai umiliato? Mi chiedevo. Perché mi hai lasciato ad affogare in quella menzogna così banale? Bastava venirmi a cercare, bastava mettermi davanti alle mie responsabilità , alla mia bassezza. Perché non sei venuto a punire la mia disobbedienza, perché non mi hai mostrato la tua ira? A me della tua vigna non importava niente, io volevo Te, lo capisci? E invece niente: silenzio. Chissà se arriverà quel giorno in cui io, appoggiato alle tue labbra, sentendomi chiamare “figlio” mi vergognerò, finalmente, di quella parte di me arrogante, presuntuosa, stupida e banale che non aveva il senso della misura, che si credeva il centro del mondo, che si credeva di avere diritti, che pretendeva di chiedere ragione delle logiche del mondo. Chissà se arriverò quel giorno in cui io starò, radicato come un castagno, a dare frutti e a ha piangere sul me stesso che non sapeva sentirti padre amante e dolce.
Chissà quando arriverà davvero quel giorno, quello senza fine, quando sprofonderò finalmente nel giardino profumato del tuo cuore e io con Te, io in Te, insieme, dolcemente, sussurreremo: “figlio”. E ci scioglieremo in un pianto condiviso. Sarà il giorno in cui tutto tornerà a casa: ogni padre incontrerà i propri figli. Sarà il giorno senza tramonto in cui non ci sarà più ieri e nemmeno domani ma solo “oggi”, un oggi luminoso in cui tutto troverà presenza. Chissà quando verrà quel giorno in cui finalmente comprenderò che l’invito ad andare a lavorare nella vigna non era altro che l’unica possibilità per andare incontro a me e a Te, insieme, che la vigna era spazio di identità , era sentire di essere tralcio, e vite, e radice, e frutto, e vino: tutto. Di essere te e tu in me. Non ero nato se non per liberarmi del mio orgoglio, della mia stupida vanità .
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Arriverà quel giorno Signore, arriverà vero? Quando convertirò definitivamente la mia volontà nella tua. Intanto, ti prego, aspettami, porta pazienza, sopporta la mia paura di perdermi, aiutami a sconfiggere il mio orgoglio, aiutami a scomparire, a lasciare ogni cosa, per dimorare finalmente in Te.
Per gentile concessione dell’autore don Alessandro Dehò – pagina Facebook
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